Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22113 del 06/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22113 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GENTILI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
NDIAYE MATAR N. IL 01/01/1995
DIAGNE EL HADJI N. IL 26/06/1986
avverso la sentenza n. 1171/2015 CORTE APPELLO di TORINO, del
22/10/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA GENTILI;

Data Udienza: 06/05/2016

Ritenuto che la Corte di appello di Torino ha con sentenza del 22 ottobre
2015 confermato la decisione con la quale il Tribunale di Alessandria aveva
dichiarato la penale responsabilità di Ndiaye Matar e Diagne El Hadji in ordine
al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 del dPR n. 309 del 1990 per avere,
in concorso fra loro illecitamente detenuto della sostanza stupefacente del tipo
cocaina per un quantitativo pari a gr 61,5, idoneo alla preparazione di oltre
180 dosi medie singole, e li aveva, pertanto, condannati alla pena di anni 3,
mesi 6 e giorni 20 di reclusione ed euro 12.000,00 di multa ciascuno;
che i due formulavano ricorso per cassazione per l’annullamento della
predetta sentenza, articolando motivi di impugnazione in parte coincidenti;
che, in particolare, il Diagne, contestava la sentenza impugnata, in
relazione sia alla violazione di legge che al vizio di motivazione, nella parte in
cui in essa era stata confermata la sua colpevolezza a titolo di concorso nel
reato;
che, in particolare, il detto ricorrente deduceva la ascrivibilità del suo
comportamento alla figura della mera connivenza, come tale non punibile;
che ambedue i ricorrenti, il Diagne subordinatamente al mancato
accoglimento del precedente motivo di ricorso, deducevano, sempre con
riferimento al vizio di motivazione ed alla violazione di legge, la mancata
qualificazione della condotta loro attribuita entro i limiti del fatto di lieve entità
di cui all’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990.
Considerato che i ricorsi presentati dai due prevenuti sono entrambi
inammissibili;
che il motivo di censura articolato esclusivamente dal Diagne è destituito
di fondamento, posto che la Corte subalpina, con valutazione in fatto, come
tale non suscettibile di essere riesaminata in sede di legittimità, ha rilevato
come il ricorrente in questione non si sia limitato ad un atteggiamento di mera
connivenza dell’operato dello Ndiaye, avendo, invece, svolto le funzioni di
“palo” al momento in cui il complice aveva ricevuto lo stupefacente oggetto
del capo di imputazione e, successivamente, provvedendo al nascondimento
del sacchetto contenente la sostanza in un ripostiglio ubicato nel lato da lui
occupato del veicolo con il quale i due stavano facendo ritorno verso Novi
Ligure al momento dell’intervento delle forze dell’ordine;
che, come questa Corte ha segnalato, il discrimine fra la mera
connivenza, come tale non punibile se commessa da chi non ha alcun dovere
di impedire l’evento, e la complicità è dato dal fatto che nel primo caso vi è
una condotta meramente passiva, consistente nell’assistenza inerte, inidonea
ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell’illecito, di cui pur si
conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si

,

offra un consapevole apporto – morale o materiale – all’altrui condotta
criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del
concorrente (così: Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 ottobre 2015,
n. 41055);
che nel caso che interessa la Corte di Torino ha correttamente escluso che
a carico del Diagne fosse ravvisabile un atteggiamento di semplice
connivenza, in relazione al fatto che questi, assicurando una forma di

indubbio apporto causale all’espletamento della operazione delittuosa;
che, relativamente al secondo motivo di censura, avente ad oggetto la
mancata sussunzione del reato contestato ai due ricorrenti nell’ambito della
fattispecie di lieve entità, deve osservarsi che anche in questo caso la Corte
territoriale, rilevata la non trascurabile quantità di sostanza acquistata e
trasportata, ha escluso la applicabilità alla fattispecie del comma 5 dell’art. 73
del dPR n. 309 del 1990 in conformità con il consolidato orientamento
giurisprudenziale, secondo il quale deve negarsi la richiesta qualificazione
laddove anche uno solo degli indici sintomatici elencati dalla predetta
disposizione legislativa, fra i quali vi è espressamente contemplata “la
quantità” dello stupefacente, indirizzi l’interprete verso un grado di offensività
del fatto commesso non nninimale (Corte di cassazione, Sezione III penale, 4
giugno 2015, n. 23945);
che i ricorsi devono perciò essere dichiarati inammissibili e, tenuto conto
della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché
rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativarnente
fissata in C 1500,00 per ciascuno di essi in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500,00 ciascuno in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016
Il Consigliere estensore

il Presi

sorveglianza alla fase di materiale consegna dello stupefacente, ha fornito un

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