Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2211 del 16/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 2211 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) DI ROCCO GUIDO N. IL 11/09/1975
avverso la sentenza n. 816/2009 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
13/01/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 16/11/2012

1) Con sentenza del 13.12011 la Corte di Appello di L’Aquila confermava la sentenza
del &UP del Tribunale di Pescara del 6.3.2008, con la quale Di Rocco Guido, applicata
Io diminuente per la scelta del rito, era stato condannato alla pena di anni 1, mesi 4 di
reclusione ed curo 3.000,00 di multa per il reato di cui all’art.73 DPR 309/90,
riconosciuta l’ipotesi di lieve entità di cui al comma V.
Propone ricorso per cassazione il Di Rocco, a mezzo del difensore, denunciando la
violazione di legge con riferimento agli artt.191, 192, 63 co. 2 e 64 c.p.p. ed il vizio di
motivazione, non avendo i Giudici di merito tenuto conto che le dichiarazioni rese da
Mantini Paolo, peraltro ritrattate davanti al Gup, erano inutilizzabili.
2)11 ricorso è manifestamente infondato.
2.1) E’ pacifico che la qualità di indagato si assume anche quando un soggetto venga a
trovarsi sostanzialmente in tale condizione pur non risultando iscritto nel registro
delle notizie di reato di cui all’art.335 c.p.p. A norma dell’art.63 comma 2 c.p.p.,
infatti, se la persona doveva essere sentita fin dall’inizio in qualità di imputato o di
persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.
La norma non distingue tra dichiarazioni sollecitate e dichiarazioni spontanee, né
limita l’inutilizzabilité alle dichiarazioni di imputato o di indagato interessato o a quelle
di imputato o di indagato in reato connesso e, neppure alle dichiarazioni di chi abbia
già la veste formale di imputato o di indagato.
La giurisprudenza di questa Corte deve ritenersi ormai consolidata, a partire dalla
decisione a sezioni unite del 1996, che, risolvendo il contrasto in precedenza
esistente, ha affermato che le dichiarazioni della persona, che fin dall’inizio avrebbe
dovuto essere sentita come indagata o imputata, sono inutilizzabili ex art.63 comma
secondo c.p.p. anche nei confronti dei terzi, quando questi assumono la veste di
coimputati dello stesso reato o di imputati di reato connesso o collegato. La ‘rafie è
evidente: nel momento in cui il soggetto rende dichiarazioni accusatorie nei confronti
di altri che si trovano in una posizione processuale in qualche modo legata alla propria
(concorso nel reato, attribuzione di reato connesso o collegato), può riferire
circostanze che per l’intima connessione e l’interdipendenza tra il fatto proprio e
quello altrui, possono coinvolgere la sua responsabilità ed indurlo, anche per questo
solo motivo, ad esercitare il diritto al silenzio (cfr. Cass.sez.un.9.10.1996dep.13.1.1997- Campanelli ed altri).
2.1.1) Le sezioni unite di questa Corte, in relazione specificamente alla “posizione”
dell’acquirente di modiche quantità di sostanze stupefacenti, hanno affermato il
condivisibile principio che quando non siano emersi elementi indizianti di uso non
personale, il predetto *deve essere sentito, nel corso delle indagini preliminari come
persona informata dei fatti, essendo irrilevante, a tal fine, che egli possa essere

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OSSERVA

soggetto a sanzione amministrativa per l’uso personale” (cfr.Cass.sez.un.n.21832 del
22.2.2007-Morea).
21.2. L’eccezione di inutilizzabilità, tenuto conto delle stesse prospettazioni
difensive, è destituita di fondamento, non essendo stati neppure indicati gli elementi
indizianti emersi a carico del Mantini che avrebbero dovuto imporre l’esame del
medesimo come indagato (si fa genericamente riferimento alla “patologica”
propensione di un consumatore abituale di stupefacenti a spacciare).
2.2. La Corte territoriale ha, poi, ampiamente argomentato in ordine alle ragioni per
cui la ritrattazione, peraltro confusa, doveva ritenersi assolutamente falsa.
2.3. Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento
della somma che pare congruo determinare in curo 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di curo
1.000,00.
Così deciso in Roma il 16 novembre 2012
Il Consigli r est.
gIP
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