Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22108 del 07/02/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22108 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cosimo Salvio, nato a Galatone (LE) il 4.9.1948
avverso l’ordinanza del 25 settembre 2012 emessa dal Tribunale di Bari;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del sostituto procuratore generale Alfredo Montagna, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato Viola Messa, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 07/02/2013

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RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Bari, in sede di
riesame, ha confermato il decreto del 2 luglio 2012 con cui il G.i.p. di quello
stesso Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo, funzionale alla
confisca di cui all’art. 12-sexies legge n. 356/1992, di un immobile e di un

Salvi° – sebbene formalmente intestati il primo alla figlia Luana e il secondo al
genero Antonio Calò – indagato per una serie di reati di commercio di
sostanza stupefacente e di associazione per delinquere finalizzata al traffico di
droga (artt. 81, 110 c.p., 73 e 74 d.P.R. 309/1990).

2.

L’avvocato Viola Messe ha proposto ricorso per cassazione

nell’interesse di Cosimo Salvia.
Con il primo motivo eccepisce la nullità dell’ordinanza per avere il
Tribunale arbitrariamente modificato le date di commissione dei fatti
contestati, così impedendo qualsiasi possibilità di difesa in ordine al
presupposto del fumus commissi delicti. Il ricorrente sottolinea che i reati fine
contestati e posti a base del provvedimento cautelare reale risulterebbero
posti in essere nell’arco di un periodo in cui Salvia era detenuto, come
attestato dal certificato prodotto dinanzi al Tribunale da cui risulta lo stato
detentivo dal 9.1.2007 al 23.7.2010; il Tribunale, oltre a non rispondere a
questo rilievo, avrebbe fatto riferimento a diverse date di commissione dei
reati, senza alcuna giustificazione e senza rifermenti a circostanze di fatto.
Con il secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 321 c.p.p. e la
mancanza di motivazione.
In particolare, si assume che il sequestro preventivo dell’immobile di via
Duca di Genova in Galantino è stato disposto senza la prova che lo colleghi ai
reati contestati al Salvia, tenuto conto che si tratta di un acquisto risalente al
2003, cioè ad un periodo notevolmente anteriore alla commissione di quei
reati, come dimostrato mediante le cambiali depositate in udienza.
Analogo discorso viene fatto in relazione al compendio aziendale della
ditta individuale “Caffetteria Garibaldi di Calo’ Antonio”, oggetto di contratto
di locazione a seguito di un regolare contratto di mutuo in epoca precedente
alla costituzione dell’associazione per delinquere di cui al capo a).

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compendio aziendale, in quanto beni ritenuti nella disponibilità di Cosimo

Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 321 c.p.p. e 12sexies cit. e il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sproporzione
tra il valore dei beni sequestrati e i redditi accertati del Salvi° e dei suoi
familiari. Parte ricorrente assume, innanzitutto, che il Tribunale non avrebbe
preso in esame i redditi di tutti i componenti del nucleo familiare;
ciononostante la presunta sproporzione ammonterebbe a soli euro 15.601,

Infatti, per quanto riguarda l’immobile la difesa ha prodotto al Tribunale
l’estratto conto di Grazia Pastore, moglie del Salvia, assieme alle cambiali;
mentre, per il compendio aziendale sono stati esibiti la relazione notarile
preliminare del contratto di mutuo ipotecario, le fatture di acquisto dei beni e
le dichiarazioni dei redditi di Antonio Calò, genero del ricorrente. In sostanza,
si rileva che al Tribunale sia stata offerta la prova della provenienza lecita
dell’azienda, acquistata dal Calò attraverso un regolare mutuo ipotecario.
Sotto un altro profilo, si lamenta che i giudici del riesame non abbiano
valutato la presunta sproporzione confrontando il reddito non al momento
dell’applicazione della misura cautelare, ma all’epoca degli acquisti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi.

4.1. Il sequestro in questione è stato disposto in funzione della confisca
ai sensi dell’art. 12-sexies legge n. 356/1992. Come è noto si tratta di una
figura autonoma rispetto alla fattispecie disciplinata nel comma 1 dell’art. 321
c.p.p., dalla quale si differenzia innanzitutto per il suo carattere non
obbligatorio (cfr., Sez. un., 29 gennaio 2003, n. 12878, PM in proc. Innocenti)
e per il fatto che la sua applicabilità non è condizionata alla sussistenza del
presupposto del pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare
o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri
reati, essendo sufficiente la condizione di confiscabilità del bene oggetto del
sequestro, che non è subordinata alla pericolosità sociale dell’agente (Sez. VI,
19 gennaio 1994, n. 151, Pompei).
Le condizioni per il sequestro in vista della futura confisca si riducono,
quindi, alla sussistenza del fumus, nel senso della configurabilità di un reato,

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somma che deve essere messa in rapporto con l’intero reddito della famiglia.

e alla verifica che le cose da sottoporre a sequestro siano suscettibili di
confisca.

4.2. Quanto al primo motivo il ricorrente denuncia la nullità dell’ordinanza
impugnata assumendo che l’indicazione, da parte del Tribunale, di date
diverse di commissione dei reati avrebbe impedito la difesa in ordine alla

in quanto non vi è stata nessuna modifica della contestazione in sede di
riesame, ma una semplice collocazione nel tempo dei fatti avendo specificato
che l’associazione è stata ritenuta operante sin dal marzo 2006, con la
conseguenza che l’imputato vi avrebbe partecipato materialmente per almeno
dieci mesi.

4.3. Con il secondo motivo, oltre a censurare l’ordinanza per un vizio,
quello di motivazione, non deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 325
comma 1 c.p.p., si lamenta la mancanza di prove in ordine al collegamento
dei beni acquistati con i reati contestati.
Si osserva che la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di chiarire
che per quanto riguarda il requisito del periculum, nel sequestro disciplinato
dal comma 2 dell’art. 321 c.p.p., esso coincide con la “confiscabilità” del bene,
che non è subordinata alla pericolosità sociale dell’agente. In questo caso il
sequestro non presuppone alcuna prognosi di pericolosità connessa alla libera
disponibilità delle cose, le quali proprio perché confiscabili sono considerate di
per sé oggettivamente pericolose. Si è precisato che l’art. 321 comma 2 c.p.p.
consente il sequestro delle cose confiscabili non solo ai sensi dell’art. 240 c.p.,
ma in virtù di qualsiasi disposizione dell’ordinamento giuridico (Sez. VI, 25
giugno 1999, n. 2415, Sicignano).
Ne consegue che il rapporto di pertinenzialità tra bene e reato è
interamente assorbito nella verifica della “confiscabilità” del bene e si ritiene
che l’illegittimità del sequestro può essere affermata solo nel caso in cui ictu
ocv/i sia da escludere, alla stregua delle risultanze processuali conseguite o in

base alle norme giuridiche, la confiscabilità delle cose (Sez. III, 8 luglio 1992,
n. 1298, PM in proc. Cocchi).
Le Sezioni unite hanno infatti affermato che essendo irrilevante il requisito
della “pertinenzialità” del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la

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sussistenza del fumus: si tratta di un’eccezione che non ha alcun fondamento,

confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti
in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che
il loro valore superi il provento del medesimo reato (Sez. un., 17 dicembre
2003, n. 920, Montella).

4.4. Del tutto infondato è, infine, anche il terzo ed ultimo motivo, con cui si

inoltre che i giudici del riesame non abbiano valutato la presunta
sproporzione confrontando il reddito non al momento dell’applicazione della
misura cautelare, ma all’epoca degli acquisti.
Con riferimento a quest’ultimo punto, si deve sottolineare che proprio le
Sezioni unite sopra menzionate hanno affermato che allorché sia provata
l’esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato dal condannato o i
proventi della sua attività economica e il valore economico dei beni da
confiscare e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di
essi, è necessario, da un lato, che, ai fini della “sproporzione”, i termini di
raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei
valori economici in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attività
economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma
nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta
acquisiti, e, dall’altro, che la giustificazione credibile consista nella prova della
positiva liceità della loro provenienza e non in quella negativa della loro non
provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna (Sez. un., 17 dicembre
2003, n. 920, Montella).
Per quanto riguarda la’ sproporzione l’ordinanza impugnata l’ha
correttamente individuata, precisando che l’immobile risulta acquistato nel
2003 per una somma di euro 25.100, quando all’epoca il reddito dell’intera
famiglia ammontava a circa euro 10.000; per il compendio aziendale locato
con mutuo nel maggio 2006 per euro 28.800 dal Calò, si è rilevato che questi
aveva un reddito bassissimo, che non giustificava neppure l’accensione di un
mutuo.

5. In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in

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contesta la rilevata sproporzione tra redditi e beni acquistati, lamentando

favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro
1.000,00.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle

Così deciso il 7 febbraio 2013

Il Consig re stensore

Il Presidente

ammende.

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