Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22108 del 06/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22108 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GENTILI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RAZZANO PASQUALE N. IL 15/10/1976
avverso la sentenza n. 1180/2015 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
08/04/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA GENTILI;

Data Udienza: 06/05/2016

Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con sentenza del 8 aprile
2015, ha integralmente confermato la decisione assunta in data 8 gennaio
2015 dal Gip del Tribunale di Napoli all’esito di giudizio abbreviato e con la
quale, dichiarata la penale responsabilità di Razzano Pasquale in ordine al
reato di cui all’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, per avere detenuto, a fine di
spaccio, sostanza stupefacente del tipo marijuana, suddivisa in 19 confezioni,
contenenti complessivamente sostanza vegetale secca per un peso pari a kg

euro 10.000,00 di multa;
che avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione,
tramite il proprio legale di fiducia, il Razzano, deducendo il vizio di
motivazione e di violazione di legge per non avere la Corte ritenuto in suo
favore le circostanze attenuanti generiche nonché la ricorrenza della
fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990.
Considerato che il ricorso, essendone risultati manifestamente infondati i
motivi posti a sostegno, è inammissibile;
che, quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche, la cui
attribuzione è frutto del prudente apprezzamento discrezionale del giudice del
merito e la relativa valutazione non è suscettibile di riesame in sede di
legittimità, laddove esente da evidenti vizi logici o manchevolezze giuridiche,
osserva la Corte che i giudici del merito hanno puntualmente scrutinati gli
elementi che, secondo il ricorrente, militerebbero nel senso della
meritevolezza da parte dello stesso del predetto beneficio;
che, all’esito dello scrutinio svolto, la Corte territoriale ha rilevato che le
dichiarazioni rese dal prevenuto agli organi inquirenti, in quanto prive di un
effettiva utilità ai fini dello sviluppo delle indagini, non hanno fornito alcun
elemento dal quale desumere la avvenuta resipiscenza dell’imputato, così
come la ammissione della destinazione dello stupefacente ad un uso non
personale si palesa, a fronte della entità ponderale della sostanza nel cui
illecito possesso il prevenuto è stato sorpreso (si ricorda ben 13 kg), come un
fattore privo di alcun significato;
che analogo discorso deve valere per quanto attiene alla esclusione della
ipotesi di lieve entità di cui al comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990,
posto che la Corte partenopea, nel rigettare il relativo motivo di gravame, ha
semplicemente fatto applicazione della consolidata giurisprudenza di questa
Corte, secondo la quale siffatta ipotesi può essere riconosciuta solo in caso di
minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e
quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla
disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la conseguenza

13,427 circa, è stato condannato alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed

che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente,
ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Corte di
cassazione, Sezione III penale, 4 giugno 2015, n. 23945);
che, in relazione al dato ponderale dello stupefacente in questione, in
maniera del tutto condivisibile la Corte di Napoli ha escluso che ci si potesse
trovare di fronte ad una condizione di minima offensività penale;
che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto

rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente
fissata in C 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016
Il Consigliere estensore

A

della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché

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