Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22106 del 06/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22106 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GENTILI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI MARTINO MORENO N. IL 24/02/1993
avverso la sentenza n. 652/2015 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di LAGONEGRO, del 17/06/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA GENTILI;

Data Udienza: 06/05/2016

Ritenuto che il Tribunale di Lagonegro, con sentenza del 17 giugno 2015,
ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a Di Martino Moreno la
pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione ed euro 16.000,00 di multa in relazione
alla imputazione avente ad oggetto diversi episodi di violazione dell’art. 73
del dPR n. 309 del 1990, per avere in esecuzione di un medesimo disegno
criminoso illecitamente detenuto e ceduto a terzi in più occasioni sostanze
stupefacenti sia di tipo cocaina che di tipo eroina che di tipo hashish che,

che avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il
prevenuto, assistito dal proprio difensore di fiducia, deducendo la illegittimità
della impugnata sentenza per non avere il Tribunale applicato in suo favore
una delle cause di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il ricorrente si è, infatti, limitato a lamentare, senza alcun concreto
riferimento critico alla motivazione della sentenza impugnata, che il giudice
non avrebbe fornito alcuna motivazione circa la sua penale responsabilità e
l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.;
che deve, peraltro, richiamarsi il costante orientamento di questa Corte,
secondo cui l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111
Cost. e 125, comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del
giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti,
lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente
correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa
dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione;
che da tanto consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni
delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause
di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per
la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (ex plurimis: Corte
di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio 2012, n. 36610);
che tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, in cui
la motivazione della sentenza circa l’insussistenza di cause di proscioglimento
ex art. 129 cod. proc. pen. appare, in ogni caso, sufficiente, perché richiama
gli atti di indagine (in specie le numerose conversazioni intercettate ed i

infine, di tipo marijuana;

messaggi registrati, i verbali di perquisizione e di sequestro nonché i sercizi di
osservazione e controllo eseguiti dalla pg) da cui emergono gli elementi di
responsabilità a carico dell’imputato;
che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto
della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché
rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione

consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente
fissata in C 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016
Il Consiglier estensore ,

della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso

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