Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22102 del 19/05/2015

Penale Sent. Sez. 2 Num. 22102 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI ROMA
nei confronti di:
A.A.
avverso l’ordinanza n. 393/2015 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
19/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA;
lege/sentite le conclusioni del PG Dott. Q Dia ìq’tt otamiLta

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 19/05/2015

Con ordinanza del 19 febbraio 2015, il Tribunale di Roma, adito a seguito di
richiesta di riesame, ha, per quel che qui interessa, annullato l’ordinanza emessa dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli con la quale era stata
disposta nei confronti di A.A. la misura della custodia cautelare in carcere,
poi sostituita con quella degli arresti domiciliari, concorso nel reato di estorsione in
danno di tale Abdalla Samy, in dipendenza di somme pretese per il pagamento di
sostanze stupefacenti. In particolare, i giudici del riesame, evidenziavano come
l’unica telefonata che coinvolgeva l’indagato nel fatto di estorsione contestato, non
lasciava trasparire, a carico del A.A., né condotte violente o minacciose né che il
medesimo fosse a conoscenza dei metodi illeciti usati dagli altri indagati per indurre
l’Abdalla a pagare i debiti contratti per la fornitura di stupefacente, dal momento che
in quella intercettazione risultava solo che C.C.comunicava a B.B. di
aver versato 100 euro al A.A. (chiamato con il suo soprannome) in quanto questi
aveva detto “ce penso io”, evidentemente a girare la somma al B.B.. Osservano
quindi i giudici del riesame che «se dunque può ritenersi che il A.A. conoscesse la
causa illecita del credito dell’amico B.B. verso C.C.», non risultava che il
A.A. avesse usato violenza o minaccia o sapesse che la dazione era frutto delle
intimidazioni di cui l’Abdalla era stato vittima.
Propone ricorso per cassazione il pubblico ministero il quale, dopo aver
sottolineato che in altra intercettazione riguardante vicenda diversa era emerso un
atteggiamento minaccioso dello stesso A.A., in ciò dimostrando come il medesimo
fosse a conoscenza dei metodi utilizzati dai suoi amici per recuperare i crediti. Il
Tribunale avrebbe pi trascurato la circostanza che C.C. aveva consegnato la
somma al A.A. senza chiedere alcuna preventiva autorizzazione al B.B. e agli
altri indagati della estorsione, «dando quindi per scontato che il A.A. fosse
pienamente inserito non solo nella cessione di stupefacenti ma anche nel circuito di
illecita riscossione dei crediti derivanti dallo spaccio». Inoltre, il Tribunale ha
trascurato che il delitto si è consumato anche grazie al contributo offerto
dall’indagato. L’ordinanza sarebbe poi contraddittoria, in quanto mentre si ammette
che il A.A. fosse consapevole della causale illecita del debito dell’Abdalla, e che
avesse ricevuto una somma da questi proprio a quel titolo, non fosse poi a conoscenza
delle minacce e violenze degli altri indagati, tutti suoi amici.
Il ricorso è inammissibile in quanto il ricorrente si limita a proporre una lettura
alterantiva del compendio probatorio, sulla base di elementi di carattere deduttivo che
conducono ad approdi diversi da quelli fatti palesi dai giudici a quibus, ma senza che
le critiche condotte all’apparato argomentativo denotino vizi intrinseci sul versante
della esaustività della delibazione del materiale indiziario o evidenti aporie logiche
che incrinino la stessa plausibilità delle conclusioni rassegnate in punto di gravità
indiziaria. Sin da epoca ormai risalente, infatti, questa Corte ha avuto modo di
sottolineare che, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è
normativamente preclusa la possibilità, non solo di sovrapporre la propria valutazione
1

OSSERVA

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2015
Il Consilliere estensore

delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di
saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un
raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di
ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo
esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato
dell’intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato
di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sè e
per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri
valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano
ipoteticamente sostituibili da altri. (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000 – dep. 23/06/2000,
Jakani, Rv. 216260). Ed è pertanto ovvio che, alla plausibilità intrinseca di un
ragionamento — quale è certamente quello esibito nel provvedimento impugnato circa
il non scontato livello di consapevolezza del A.A. in ordine alla dinamica dei fatti
pregressi al suo sporadico intervento — altro o altri se ne possano affiancare ed
eventualmente giustapporre, dal momento che la interpretazione dei fatti e la
ricostruzione postuma di elementi tanto delicati, quale in particolare è quello del
dolo, non sempre ammettano soluzioni e letture di univoco (e “universalizzabile”)
significato, e percorsi logici di linearità tale da escludere interpretazioni alternative.
Da qui, l’assunto — anch’esso più volte ripetuto — secondo il quale l’illogicità della
motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lettera e) cod. proc. pen., è
quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, in quanto
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per
espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle
acquisizioni processuali. (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 – dep. 10/12/2003,
Petrella, Rv. 226074).
Nel caso di specie, il Tribunale ha dunque congruamente esaminato i diversi
profili che hanno riguardato la specifica condotta del A.A. nel quadro della
complessa vicenda estorsiva che lo ha visto materialmente partecipe in termini quanto
mai sfuggenti ed episodici, traendone da ciò l’assenza di indici affidanti in ordine al
suo consapevole inserimento nello snodarsi dei fatti, con la conseguenza di rendere i
rilievi del ricorrente — ancorchè in sé ugualmente plausibili — senz’altro devolvibili
alla competente sede del merito, ma inidonei a contrassegnare in termini di
contradittorietà o manifesta illogicità la motivazione del provvedimento impugnato.
Il ricorso, dunque, essendo stato articolato sulla base di motivi essenzialmente
di “merito”, deve essere dichiarato inammissibile.

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