Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 221 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 221 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Rando Federico, nato a Milazzo il 28.8.1986;
avverso l’ordinanza emessa il 17 aprile 2012 dal tribunale del riesame di
Messina;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’il dicembre 2012 la
relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Valter Militi;
Svolgimento de/processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Messina confermò
l’ordinanza emessa il 28 marzo 2012 dal Gip del tribunale di Messina, che aveva applicato a Rando Federico la misura cautelare degli arresti domiciliari in
relazione al reato di acquisto e detenzione a fine di spaccio di circa 8 gr. di cocaina il 23.6.2008 e di circa 7 gr. di cocaina il 7.8.2008.
L’indagato, a mezzo dell’avv. Valter Militi, propone ricorso per cassazione
deducendo:
1) violazione degli artt. 273 e 275 cod. proc. pen. e dell’art. 73 d.p.R. 309
del 1990. Osserva che in sede di interrogatorio egli aveva ammesso di avere acquistato dal Taranto lo stupefacente, che però era destinato ad uso personale e
non allo spaccio. Le telefonate intercettate richiamate dal tribunale del riesame
non sono significative perché egli, proprio per sottrarsi alle richieste del Taranto
che era solito chiedergli la restituzione di parte dello stupefacente ceduto, gli
rispondeva falsamente di averlo venduto a terzi. Del resto, durante tutti i mesi
nei quali sono proseguite le indagini, non sono state documentate attività d .
cessione di stupefacente ad opera del Rando.

Data Udienza: 11/12/2012

2) violazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. Lamenta che è stata omessa la motivazione sulla attualità e concretezza delle esigenze cautelari, e in
particolare del pericolo di reiterazione del reato. La motivazione poi avrebbe
dovuto essere particolarmente concreta e penetrante considerando che la misura
è stata applicata ben 4 anni dopo i fatti, senza che vi fosse alcun elemento da cui
desumere il rischio di reiterazione. E’ stata inoltre omessa la valutazione sulla
scelta della misura applicata che è dissonante rispetto alla distanza temporale
dei fatti ed alla attualità ed intensità delle esigenze cautelari.
Motivi della decisione
Il primo motivo è infondato. L’ordinanza impugnata ha infatti fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto del
tutto inverosimile l’assunto difensivo secondo cui il Rando era solito riferire
falsamente al Taranto che la sostanza stupefacente acquistata era stata spacciata
sia per indurlo a consegnargli l’esatto quantitativo concordato, sia per evitare
che il fornitore gli chiedesse la restituzione dello stupefacente già consegnato. Il
tribunale ha osservato infatti che questa spiegazione non solo era palesemente
inverosimile, ma era anche sprovvista di qualsiasi riscontro nonché contrastante
con il tenore delle conversazioni intercettate, nel corso delle quali il Rando aveva riferito di avere esaurito la cocaina acquistata nell’arco di poche ore.
E’ invece fondato il secondo motivo.
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «il principio
di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di
commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel
caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze
che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor
compressione possibile della libertà personale» (Sez. Un., 31.3.2011, n. 16085,
Khalil, m. 249324).
In particolare, per quanto concerne il tempo trascorso dalla commissione
del fatto alla applicazione della misura, il principio enunciato è che «in tema di
misure cautelari, il riferimento in ordine al “tempo trascorso dalla commissione
del reato” di cui all’art. 292, comma secondo, lett. c) cod. proc. pen., impone al
giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai
fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari. (Fattispecie di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in relazione a fatti commessi più
di tre anni prima)» (Sez. Un., 24.9.2009, n. 40538, Lattanzi, m. 244377).
Più specificamente, è stato affermato che «in tema di misure coercitive, la
distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché
tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare,
comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia
in relazione alla scelta della misura. (Fattispecie di intervenuta adozione della
custodia cautelare in carcere per fatti risalenti a tre anni prima)» (Sez. VI,
10.6.2009, n. 27865, Scollo, m. 244417); che «In tema di misure cautelari, la di-

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sposizione di cui all’art. 292 comma secondo lett. c) cod. proc. pen. – che prevede tra i requisiti dell’ordinanza lo specifico riferimento al “tempo trascorso dalla
commissione del reato” – impone al giudice di motivare circa il punto menzionato sotto il profilo della valutazione della pregnanza della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al “tempus commissi delicti” dovendosi ritenere che
ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponda un affievolimento delle esigenze cautelari» (Sez. II, 8.5.2008, n. 21564, Mezzatenta, m. 240112); che
«In materia di misure cautelari personali, qualora venga richiesta la custodia in
carcere per reati commessi dall’imputato in epoca non recente, il giudice, nell’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano la
misura richiesta ai sensi dell’art. 292 comma 2 lett. c) cod. proc. pen., deve procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato, gli elementi concludenti atti a cogliere l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere, evidenziando il perdurante collegamento dell’imputato con l’ambiente in cui il delitto è
maturato e, quindi, la sua concreta proclività a delinquere» (Sez. VI, 15.1.2003,
n. 10673, Khiar Mohamed Zenab, m. 223967).
Orbene, nella specie, le due intercettazioni risalgono al giugno ed
all’agosto del 2008 mentre la misura cautelare è stata applicata solo il 28 marzo
2012, ossia quasi ben quattro anni dopo. La stessa ordinanza impugnata, inoltre,
dà atto che l’indagato era incensurato. Ora, a fronte di un periodo temporale di
quasi quattro anni dai fatti oggetto di contestazione, il tribunale del riesame ha
completamente omesso di compiere la necessaria e rigorosa valutazione sulla
effettiva concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, essendosi limitato a
richiamare, del tutto genericamente, gli acquisti di cocaina da destinarsi allo
spaccio nell’arco temporale in contestazione (appunto dal giugno all’agosto
2008) che escludevano l’occasionalità della condotta criminosa. Ma ciò non
configura una specifica esaustiva motivazione sulle ragioni per cui permanga
dopo il tempo trascorso l’attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede, anche nell’intensità tale da non consentire
misure meno gravi, non risultando tra l’altro in motivazione indicazioni sull’eventuale effettiva attuale permanenza delle condotte addebitate all’indagato.
Non vengono indicati elementi da cui desumere l’attualità e la concretezza di
contatti del Rando con ambienti criminali, o condotte specifiche da cui desumere allo stato il rischio di commissione di reati della stessa specie. La motivazione è altresì del tutto generica e di mero stile anche in ordine alla valutazione
della scelta della misura cautelare, anche relativamente alla quale la motivazione deve essere particolarmente rigorosa stante la distanza temporale dai fatti.
L’ordinanza impugnata deve quindi essere annullata limitatamente alle esigenze cautelari con rinvio al tribunale di Messina per nuovo esame.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Messina per nuovo
esame.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, l’ 11
dicembre 2012.

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