Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22095 del 06/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22095 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GENTILI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TESTA PIERANGELO N. IL 04/01/1941
avverso la sentenza n. 1905/2015 CORTE APPELLO di MILANO, del
25/05/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA GENTILI;

Data Udienza: 06/05/2016

Ritenuto che con sentenza del 25 maggio 2015 la Corte di appello di
Milano ha riformato – con esclusivo riferimento alla entità della pena, che è
stata ridotta da anni 3 di reclusione ad anni 2 e mesi 6 di reclusione, fermo il
resto – la precedente sentenza con la quale il Tribunale di Milano aveva
dichiarato la penale responsabilità di Testa Pierangelo, nella qualità di legale
rappresentante della TEPIE srl, in ordine ai reati di cui agli artt. 5 e 8 del dlgs
n. 74 del 2000, per avere, nel corso dell’anno di imposta 2006, emesso

e per avere omesso di presentare relativamente all’anno di imposta 2006 le
dichiarazioni dei redditi ed IVA a fronte di elementi positivi di reddito pari ad
euro 19.642.635 ed IVA pari a euro 1.299.820.
che avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Testa, una prima volta con riserva di presentazione dei relativi motivi ed una
seconda volta formulandoli, deducendo la illogicità della motivazione della
sentenza impugnata nella parte in cui ha accertato che l’ammontare della
fatture emessa dalla Società gestita dal Testa fosse pari ad oltre 7 milioni di
euro, sebbene lo stesso teste di accusa escusso in dibattimento avesse
evidenziato che non vi erano elementi per quantificare nella cifra sopra
indicata il montante delle fatture fittiziamente emesse dal Testa;
che il ricorrente ha altresì dedotto la erroneità della applicazione
legislativa fatta dalla Corte territoriale nell’escludere l’avvenuta maturazione
della prescrizione in ordine al reato di cui all’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000 per
essere stata emessa l’ultima fattura relativa ad operazioni fittizie in data 31
dicembre 2007.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che, con riferimento al primo motivo di impugnazione, va osservato che in
sede di appello il ricorrente si era limitato a censurare il trattamento
sanzionatorio a lui inflitto dal giudice di prime cure, pertanto è inammissibile
la censura ora formulata avente ad oggetto la motivazione in ordine alla
sussistenza degli elementi concernenti la integrazione del reato e la sua
entità;
che relativamente al secondo motivo di censura, avente ad oggetto la
mancata affermazione della intervenuta prescrizione del reato di cui al capo a)
della rubrica, rileva il Collegio che, in conformità all’indirizzo già in passato
espresso da questa Corte, secondo il quale il termine di prescrizione del
delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti inizia a decorrere, per
l’unità del reato previsto dall’art. 8, comma 2, del dlgs n. 74 del 2000, non
dalla data di emissione di ciascuna fattura ma da quella di emissione
dall’ultima di esse per ogni anno fiscale, anche nel caso di rilascio di una

fatture per operazioni inesistenti per un imponibile pari ad euro 7.152.276,38,

pluralità di fatture nel medesimo periodo di imposta (Corte di cassazione,
Sezione, III penale, 7 marzo 2013, n. 10558), correttamente la Corte
territoriale lombarda ha fatto decorrere il termine prescrizionale del reato de
quo, rilevandone la mancata maturazione, non dal momento di emissione
delle singole fatture, ma da quello della emissione dell’ultima di esse riferita al
singolo anno di imposta;
che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto

rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente
fissata in C 1500,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016
Il Consigliere estensore

della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché

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