Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22093 del 06/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22093 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GENTILI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
JAMAI FAYCAL N. IL 21/01/1975
avverso la sentenza n. 1035/2015 GIP TRIBUNALE di MODENA, del
11/06/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA GENTILI;

Data Udienza: 06/05/2016

Ritenuto che il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Modena,
con sentenza del 11 giugno 2015, ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., a Jamat Faycal la pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ed euro
8000,00 di multa, in relazione alle imputazione a lui contestate, aventi ad
oggetto la violazione in più circostanze, dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990,
per avere, in un’occasione, in concorso con altri, illecitamente detenuto
sostanze stupefacenti del tipo hashish e del tipo cocaina, ed per avere in altra

hashish;
che avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il
prevenuto deducendo la omessa motivazione o comunque la violazione di
legge in particolare in ordine al suo mancato proscioglimento ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della
pena;
Considerato che il ricorsOè inammissibile;
che il ricorrente si è, infatti, limitato a lamentare, senza alcun concreto
riferimento critico alla motivazione della sentenza impugnata, che il giudice
non avrebbe fornito alcuna motivazione circa la sua penale responsabilità e
l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.;
che deve, peraltro, richiamarsi il costante orientamento di questa Corte,
secondo cui l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111
Cost. e 125, comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del
giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti,
lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente
correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa
dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione;
che da tanto consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni
delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause
di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per
la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (ex plurimis: Corte
di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio 2012, n. 36610);
che tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, in cui
la motivazione della sentenza circa l’insussistenza di cause di proscioglimento

occasione, da solo, detenuto altra sostanza stupefacente sempre del tipo

ex art. 129 cod. proc. pen. appare, in ogni caso, sufficiente, perché richiama
gli atti di indagine da cui emergono gli elementi di responsabilità a carico
dell’imputato;
che parimenti per ciò che attiene alla pena inflitta il giudice ha dato atto
della sua congrua entità e della correttezza del criterio applicato per la sua
quantificazione;
che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto

rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente
fissata in C 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016
Il Consigliere estensore

della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché

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