Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22080 del 06/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22080 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GENTILI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FRACASSETTI IVAN N. IL 07/07/1949
avverso la sentenza n. 2996/2014 TRIBUNALE di BERGAMO, del
03/07/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA GENTILI;

Data Udienza: 06/05/2016

Ritenuto che il Tribunale di Bergamo ha, con sentenza del 3 luglio 2015,
dichiarato la penale responsabilità di Fracassetti Ivan in ordine al reato di cui
all’art. 30, lettera e), della legge n. 157 del 1992, per avere esercitato
l’uccellagione attraverso la installazione di reti a tremaglio, condannandolo,
pertanto, alla pena di giustizia;
che avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il
prevenuto, affidandolo a due motivi fra loro connessi;

violazione di legge, la sentenza impugnata nella parte in cui, disattendendo
una sua specifica argomentazione, ha escluso la possibilità di derubricare il
reato a lui contestato da violazione della lettera e) dell’art. 30 della citata
legge n. 157 del 1992 a violazione della lettera

h)

della medesima

disposizione di legge, posto che la rete da lui utilizzata non era tale da
comportare, data l’ampiezza delle sue maglie, un’inutile sofferenza agli
animali catturati e l’indiscriminato depauperamento della fauna selvatica,
mentre col secondo ha censurato la sentenza impugnata in quanto la
motivazione della medesima sarebbe, ad avviso del ricorrente, mancante o
comunque manifestamente illogica nella parte in cui non avrebbe tenuto conto
della tipologia della rete utilizzata dal ricorrente onde escludere che tramite
essa si potesse esercitare l’uccellagione.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il secondo motivo di ricorso, implica valutazioni di merito in ordine
alla integrazione o meno del reato contestato dal ricorrente tramite l’utilizzo di
reti aventi maglie delle dimensioni di 32 mm che all’evidenza esulano dalla
competenza di questa Corte di legittimità;
che, in relazione al primo motivo di impugnazione, non è dato ravvisare
alcun vizio di motivazione nella sentenza impugnata la quale ha, invece,
correttamente applicato i principi espressi in più occasioni da questa Corte
nella materia de qua, ribadendo le regole secondo le quale, per un verso il
criterio distintivo fra l’uccellagione, punita ai sensi dell’art. 30, lettera e), della
legge n. 157 del 1992, ed il contermine reato dell’esercizio della caccia con
mezzi non consentiti, a sua volta represso tramite la successiva lettera h) del
medesimo art. 30 della legge n. 157 del 1992, sta nella diversa obiettività
giuridica che caratterizza i due illeciti, in quanto il primo mira principalmente a
tutelare la conservazione della specie, laddove il secondo ha lo scopo di
evitare che, con l’uso di modalità venatorie non consentite, vengano inflitte
agli animali inutili sofferenze (Corte di cassazione, Sezione III penale, 27
settembre 2007, n. 35630), e, per altro verso, integra il reato di cui all’art.
30, lett. e), della legge n. 157 del 1992, qualsiasi atto diretto alla cattura di

che col primo di essi il Fracassetti ha contestato, sotto il profilo della

uccelli con reti ed altro, atteso che il legislatore punisce con tale disposizione
ogni sistema di cattura che, come nel caso della predisposizione di reti, abbia
una potenzialità offensiva indeterminata (Corte di cassazione, Sezione III
penale, 17 febbraio 2006, n. 6343);
che nel caso in questione il giudicante ha correttamente rilevato, con
valutazione immune da vizi logici o giuridici, l’esistenza di tale indeterminata
potenzialità lesiva nella condotta del ricorrente;

della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché
rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente
fissata in C 1500,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016
Il Consigliere estensore

che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto

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