Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22079 del 06/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22079 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GENTILI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
VARDARO GIOVANNI N. IL 30/12/1960
avverso la sentenza n. 3108/2014 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
26/01/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA GENTILI;

Data Udienza: 06/05/2016

Ritenuto che con sentenza del 26 gennaio 2015 la Corte di appello di
Firenze ha confermato la decisione con la quale il precedente 3 ottobre 2013 il
Tribunale di Lucca aveva dichiarato la penale responsabilità di Vardaro
Giovanni in ordine a 4 ipotesi contravvenzionali a lui contestate, tutte
concernenti violazioni del dlgs n. 81 del 2008 in tema di sicurezza del
personale sul lavoro, riscontrate in occasione delle visite ispettive eseguite
dalla Asl di Lucca in data 26 febbraio, 8 marzo e 30 agosto 2010, riformando,

trattamento sanzionatorio inflitto, rideterminato nella misura di euro 5000,00
di ammenda per ciascuna delle contravvenzioni contestate ai capi 1), 2) e 3)
della rubrica ed in euro 3000,00 di ammenda per la restante contravvenzione;
che avverso la detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il
Vardaro, deducendo, in sintesi, che la Corte di appello avrebbe errato nel non
rilevare che, data la natura di reato istantaneo degli illeciti al medesimo
contestati, gli stessi si erano oramai estinti perché prescritti e che, pertanto,
la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare il suo proscioglimento ai sensi
dell’art. 129 cod. proc. pen.
Considerato

che il motivo posto a fondamento del ricorso è

manifestamente infondato;
che gli illeciti contestati al Vardaro, consistenti, quanto ai capi 1) e 2)
della rubrica, nel non avere messo il prevenuto a disposizione dei propri
dipendenti attrezzature conformi ai criteri di sicurezza ed adeguate alla
tipologia di lavoro che costoro dovevano svolgere, e, quanto al capo 3), nel
non avere formato e specificamente addestrato il personale addetto all’uso dei
carrelli elevatori, con conseguente pericolo per la loro incolumità, e, quanto al
capo 4), nell’avere fatto svolgere la prestazione lavorativa in ambienti
caratterizzati da una temperatura eccessivamente bassa, si segnalano tutti
per essere illeciti “di durata”, in cui la violazione del bene interesse tutelato si
protrae nel tempo sino a che non vengono poste in essere condotte volte ad
elidere, in questi casi, i fattori di rischio per la salute o la incolumità dei
lavoratori;
che, pertanto, essendo presenti al momento delle visite ispettive eseguite
presso l’opificio gestito dal ricorrente le condizioni che hanno condotto il
personale ispettivo della Asl di Lucca a segnalare all’autorità giudiziaria la
situazione, i reati contestati debbono essere considerati tuttora flagranti alle
date in questione;
che, pertanto, la valutazione della eventuale prescrizione dei reati
contestati al Vardaro va calcolata a far data dal 30 agosto 2010, data
dell’ultimo sopralluogo;

invece, la sentenza del giudice di prime cure esclusivamente in relazione al

che, quand’anche si volesse fare riferimento alla data del primo di essi,
collocato al 26 febbraio 2010, in ogni caso il termine prescrizionale dei reati
de quibus, avente la durata di 5 anni dal momento della interruzione della
flagranza (databile in questo caso, in base al principio del

favor rei, al

momento del primo intervento del personale della Asl di Lucca), non sarebbe
comunque decorso al momento della emissione della sentenza della Corte di
appello, essendo questa del 26 gennaio 2015;

a suo fondamento, deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
nonché rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che
«la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente
fissata in C 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016
Il Consigliere estensore

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che il ricorso, essendo risultato manifestamente infondato il motivo posto

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