Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22072 del 03/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22072 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
VECCHI RINO N. IL 08/08/1951
avverso la sentenza n. 1949/2014 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
16/10/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA
PELLEGRINO;

.77-777

Data Udienza: 03/05/2016

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

La Corte di Appello di Brescia, con sentenza in data 16.10.2014, confermava la condanna alla
pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Mantova, in data 25.09.2013, nei
confronti di Vecchi Rino, in relazione al reato di cui all’art. 640 cod. pen..

– con il primo motivo di ricorso, violazione di legge in relazione all’inosservanza dell’art. 192
cod. proc. pen. con riferimento all’art. 640 cod. pen. per aver ritenuto, sulla scorta delle
acquisizioni dibattimentali, integrato lo schema tipico del reato di truffa, in assenza di prova
alcuna riguardo alla sussistenza degli elementi costitutivi dello stesso, anziché l’illecito di
natura solo civilistica come restituito dal fatto storico emergente ex actis (primo motivo);
– con il secondo motivo di ricorso, violazione di legge per avere il giudice di secondo grado, in
violazione del combinato disposto degli artt. 336, 431, 511 e 526 cod. proc. pen., utilizzato ai
fini della decisione, ed allo scopo di colmare il salto logico della sentenza di primo grado sul
punto, non tanto quanto versato nel processo dalla persona offesa ma il contenuto della
querela, agli atti del dibattimento solo quale condizione di procedibilità (secondo motivo);
– con il terzo motivo di ricorso, vizio di motivazione con riferimento all’affermazione della
penale responsabilità (terzo motivo).
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato perché propone censure in fatto non
consentite in sede di legittimità.
Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di
cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione,
la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il
vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, dep.
02/07/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 4, sent. n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004,
Elia, Rv. 229369).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti
mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con
motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.
La novella codicistica, introdotta con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46, che ha riconosciuto la
possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali
specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di
cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchè gli atti eventualmente
indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza
del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, dì natura certa ed
obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo
alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e
devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta,
comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure

À

Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:

E’ stato ulteriormente precisato che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto
della legge n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione
a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette
valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto
travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti
rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile
“ictu ocue, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di
macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 4, sent. n.
20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099)
Il secondo motivo di ricorso è tardivo.
Invero, la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello
secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen.,
come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata, che
l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se
incompleto o comunque non corretto.
Il terzo motivo di ricorso è del tutto generico.
Invero, tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di
inammissibilità, della specificità dei motivi : il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le
censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare
gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.
Nel caso di specie, il motivo è manifestamente infondato perché privo dei requisiti prescritti
dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della
sentenza impugnata ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base
della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi
mossi ed esercitare il proprio sindacato.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al
versamento della somma, che si ritiene equa, di euro millecinquecento a favore della cassa
delle ammende
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro millecinquecento alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 03.05.2016

anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso
giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.

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