Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22070 del 12/04/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22070 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ARENA GIORGIO nato il 31/03/1975 a PALERMO

avverso l’ordinanza del 27/09/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;
lette le conclusioni del PG Dott. PAOLO CANEVELLI, che ha chiesto rigettarsi il
ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;
lette le conclusioni dell’Avvocatura Generale dello Stato per il Ministero
dell’Economia e delle Finanze che ha chiesto dichiararsi inammissibile o, in
subordine, rigettarsi il ricorso, con condanna alle spese.

Data Udienza: 12/04/2018

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Palermo, con ordinanza del 27/9/2017 rigettava la
richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex art. 314 cod. proc.
pen. dall’odierno ricorrente, Arena Giorgio, per la custodia cautelare in carcere
patita a seguito di ordinanza del GIP di Marsala del 17/7/2007, fino all’1/12/2007
in relazione alle imputazioni dei reati previsti dagli artt. 416 co. 1 e 5, 110, 640,
612, 646 e 594 cod. Veniva contestato al ricorrente di aver dato vita, con altri
soggetti, ad una associazione per delinquere, in qualità di gestore di fatto insie-

serie di truffe, falsi e appropriazioni indebite, in relazione alla contrattazione per
la compravendita di autovetture.
Il procedimento a carico dell’Arena si concludeva con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, resa in data 8/7/2015 dal Tribunale di Marsala,
irrevocabile in data 1/12/2015, quanto al reato di cui all’art. 416 cod. pen., e di
improcedibilità, quanto ai reati di cui agli artt. 110 e 640 cod. pen., perché estinti per remissione della querela, e quanto ai reati di agli artt. 110 e 485 cod. pen.
perché estinti per intervenuta prescrizione.

2. Avverso il sopra ricordato provvedimento di rigetto ha proposto ricorso
per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, Arena Giorgio, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 1.73, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..

a. Violazione di legge in relazione all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., rispetto alla ritenuta sussistenza di una condotta gravemente colposa dell’istante
che ha dato causa alla detenzione; mancanza di motivazione della impugnata ordinanza sull’esistenza della condizione ostativa medesima di cui all’art. 314,
comma 1, cod. proc. pen. (ex art. 606, comma 1, lett.re b) ed e), cod. proc.
pen. anche in relazione all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.).
Il ricorrente lamenta il mancato apprezzamento della portata della sentenza
di assoluzione con la più ampia formula liberatoria dall’imputazione che aveva
giustificato, quale reato più grave, l’applicazione della misura cautelare.
Detta pronuncia assolutoria – si rammenta in ricorso- ha riguardato la sussistenza del fatto contestato, atteso che la pluralità di soggetti agenti è elemento
essenziale della specifica fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen. poiché la struttura tipica dell’aggressione al bene giuridico tutelato non è concepibile senza la
plurisoggettività. Erroneo, pertanto, sarebbe il rilievo, formulato dal giudice della
riparazione che le “numerose condotte poste in essere da Arena Giorgio e integranti i reati fine al medesimo contestati” hanno integrato gli estremi della colpa
grave. Di fatto, continua il ricorrente, la condizione ostativa della colpa sarebbe
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me ad Arena Giovanni della società Auto Elite srl, finalizzata a commettere una

riferita alle condotte giudicate nel procedimento di merito e non al comportamento processuale dell’indagato.
L’Arena rileva di aver consentito con le proprie dichiarazioni di far luce
sull’intera vicenda storica corrispondente agli addebiti e alle imputazioni, come
avrebbe contraddittoriamente affermato lo stesso provvedimento impugnato. E
ritiene che, in ogni caso, non avrebbe potuto dar vita all’associazione per delinquere senza la condotta di almeno uno degli altri due imputati assolti. Sarebbe
dirimente, infatti, secondo la tesi del ricorrente, la circostanza che anche gli altri

meno dell’intera ricostruzione accusatoria sulla quale era stata fondata l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di Arena Giorgio.
La Corte di Appello di Palermo non darebbe conto nella motivazione dell’ordinanza di rigetto di aver valutato gli elementi già a disposizione del giudice della
cautela. Nessun riferimento vi sarebbe, poi, nel provvedimento impugnato, ad
una possibile valenza ostativa dei reati fine rispetto ai quali il proscioglimento
dell’Arena è stato determinato dalla remissione di querela e dalla prescrizione.
Precisa il ricorrente che, a seguito della decisione della Corte Costituzionale
n. 218 del 2008, la posizione di colui che sia stato assolto è assimilata a quella di
chi sia stato invece condannato ad una pena inferiore alla custodia cautelare sofferta.
Chiede, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata con eventuale
rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo per quanto di competenza.

3. Il P.G. presso questa Corte in data 24/1/2018 ha rassegnato ex art.
611 cod. proc. pen. le proprie conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
In data

27/3/2018 ha rassegnato le proprie conclusioni il Ministero

dell’Economia e delle Finanze per mezzo dell’Avvocatura Generala dello Stato che
ha chiesto dichiararsi inammissibile, ovvero rigettarsi il ricorso, con conseguente
condanna alle spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso
va rigettato.

2. La Corte d’Appello di Palermo motiva in maniera ampia e circostanziata,
nonché correttamente in punto di diritto, sui motivi del rigetto.
L’art. 314 cod. pen., com’è noto, prevede al primo comma che “chi è stato
prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver
commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla

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indagati siano stati assolti dalle rispettive imputazioni, con il conseguente venir

legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce
causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato
dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della
custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza
di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla

Guadagno, Rv. 226004).
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che,
in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi
dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini
fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la
condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit” secondo le regole
di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995
dep. il 1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637)
Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi
ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo
comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento
dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso.
In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto alla
riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia
posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella man-

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deduzione della parte (cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002,

cata revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008, Maisano, rv.
242034).

3. Gioverà anche ricordare il principio, pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale il giudizio per la riparazione dell’ingiusta
detenzione é del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti (cfr. da ul-

forme Sez. 4, Sentenza n. 39500 del 18/06/2013, Trombetta, Rv. 256764). Perciò il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter
logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto aquello seguito nel processo di
merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il
presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez.
4, Sentenza n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La Fornara, Rv. 268952).
Come già sopra diffusamente esposto, il provvedimento restrittivo applicato
nei confronti dell’odierno ricorrente si fondava su più contestazioni di reato che
hanno avuto esiti processuali diversi.
Ebbene, il provvedimento impugnato si palesa coerente e logico, sia nella ricostruzione dei fatti sia nella valutazione della condotta del ricorrente.
Il rigetto dell’istanza di riparazione si fonda essenzialmente sulla valutazione
della condotta dell’Arena che compiva una serie azioni integranti i reati fine contestati, ossia le truffe in danno degli acquirenti, consistite nella rivendita di autovetture che, nonostante l’incasso delle somme corrisposte, non venivano consegnate agli acquirenti denuncianti (che sono rimaste fatti provati ma per i quali vi
è stata remissione di querela), che integrano gli estremi della colpa ostativa al
riconoscimento dell’indennizzo, ingenerando nel giudice della cautela, per la loro
molteplicità, il ragionevole convincimento dell’esistenza di un’associazione per
delinquere finalizzata alla commissione di quelle truffe attraverso la Auto Elite
Srl. Quella stessa associazione per delinquere -come si legge a pag. 48
dell’ordinanza del 17/7/2007- di cui Arena Giorgio veniva considerato essere uno
dei promotori e per cui il Tribunale di Marsala operava nei suoi confronti
un’assoluzione ai sensi dell’art. 530 co. 2 cod. proc. pen. Restavano, tuttavia,
provati in fatto, un rilevante numero di reati-fine (17) commessi nel breve arco
temporale di cinque mesi e mezzo (da giugno a novembre 2006) divenuti improcedibili per difetto di querela. Ma il venir meno all’esito del processo del delitto

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timo Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039; con-

associativo a seguito del mancato raggiungimento, della prova della
contemporanea condotta di alcuni dei correi, determinando l’insussistenza del
delitto di cui all’art 416 cod. pen. per mancanza del numero dei partecipanti, non
può certamente considerarsi un elemento idoneo al riconoscimento del diritto alla riparazione, come sostenuto dal ricorrente. Del resto, come ricorda il provvedimento impugnato, che si palesa immune dai denunciati vizi di legittimità, lo
stesso Arena, nell’interrogatorio di garanzia, ha sostanzialmente ammesso i fatti

4. Al rigetto del ricorso consegue,

ex lege, la condanna della parte ricorrente

al pagamento delle spese del procedimento
Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese al resistente Ministero dell’Economia e delle Finanze che, alla luce dei pertinenti e puntuali motivi versati in atti dall’Avvocatura dello Stato, tesi efficacemente a contrastare
quelli di cui al proposto ricorso, vengono liquidati come da dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente
che liquida in euro mille.
Così deciso in Roma il 12 aprile 2018
Il C sigliere este sore
cenzo P

Il Presidente
Patrra

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i LLue,

in relazione ai contestati reati-fine.

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