Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22058 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22058 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: TORNESI DANIELA RITA

SENTENZA
sul ricorso proposto da: DOGARU Nela nata in Romania il 12.08.1957
avverso l’ordinanza del 22/12/2016 della CORTE APPELLO di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA RITA TORNESI;
lette le conclusioni del P.G. dott. A. Mura che ha ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato inammissibile.

Data Udienza: 15/02/2018

’RITENUTO IN FATTO

1. Nela Dogaru ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore
di fiducia, avverso l’ordinanza del 22 dicembre 2016 con la quale la Corte di appello
di Roma ha rigettato l’istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione in relazione
ai periodi nei quali è stata, dapprima, ristretta in carcere (17 maggio 2005 – 27
maggio 2005) e, poi, sottoposta agli arresti dorniciliari (28 maggio
2005 – 16 novembre 2005) nell’ambito del procedimento penale nel quale è stata

la sentenza del Tribunale di Roma del 09 ottobre 2013.
1.1. La ricorrente denuncia il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett.e)
cod. proc. pen. rappresentando che la Corte distrettuale, nel negare il diritto
all’indennizzo, è incorsa in un grave errore circa i presupposti logici su cui si
incentra la motivazione del provvedimento di diniego che impropriamente richiama
le argomentazioni, dal contenuto non liberatorio, contenute nella sentenza del
Tribunale di Roma del 09 ottobre 2013 riferibili ad altri imputati, cui era contestato
di far parte di altra associazione per delinquere ( quella di cui al capo A), diversa
e distinta da quella a lei contestata.
1.2. Sottolinea di essere stata prosciolta dall’accusa di far parte del gruppo
associativo di cui al capo C) per il decorso dei termini prescrizionali senza alcun
apprezzamento, nel merito, in ordine alla sua colpevolezza.
1.3. Conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.

2. Il Sostituto Procuratore Generale in Sede, dott. A. Mura, ha chiesto che
il ricorso sia dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

2. Si premette che nei confronti di Nela Dogaru è stata emessa ordinanza
di misura cautelare restrittiva in relazione ai delitti di cui agli artt. 416 e
648 cod. pen. in quanto accusata di essere partecipe di un’associazione per
delinquere finalizzata alla clonazione di carte di credito (nell’ambito della quale suo
figlio Gilbert Albert Dogaru svolgeva un ruolo organizzativo), nonché di avere
concorso alla ricettazione di 29 carte di credito. In tale contesto la Dogaru avrebbe,
tra l’altro, messo a disposizione di quest’ultimo e degli altri correi l’abitazione di
via Gozzadini n. 78 Roma, presso la quale era la badante di una coppia di anziani,
al fine di consentire lo svolgimento dell’attività illecita.

imputata dei delitti di cui agli artt. 416 e 648 cod. pen. (capi C e D), definito con

Nel corso delle indagini si procedeva alla perquisizione domiciliare e
venivano rinvenuti 50 supporti plastici con banda magnetica ancora vergine.
Inoltre, da una intercettazione telefonica delle ore 11.30 del 17 maggio 2005
sull’utenza intercettata sul RIT n. 1248/05 tra Gilbert Albert Dogaru e la madre
Nela Doragu, quest’ultima veniva avvisata dal figlio che presto si sarebbe recato
da lei per fare «quelle cose».
Nell’interrogatorio di garanzia la Doragu si avvaleva della facoltà di non
rispondere.

Dogaru dal delitto – fine per non avere commesso il fatto in quanto le carte di
credito erano state trovate nel possesso esclusivo del figlio e dichiarava la
prescrizione per il delitto di cui all’art. 416 cod. pen.
Gilbert Adrian Dogaru era condannato alla pena di anni quattro e mesi sei di
reclusione.

3.

Ciò posto, si osserva che l’ordinanza impugnata ha fatto corretta

applicazione dei principi di diritto applicabili in subiecta materia, alla cui stregua il
proscioglimento da un reato per intervenuta prescrizione preclude il diritto alla
riparazione qualora il periodo della misura cautelare sofferta, rilevante ai fini
dell’art. 314 cod. proc. pen., sia di durata inferiore rispetto alla pena astrattamente
irrogabile per tale delitto.

4. Si rammenta in proposito che la Corte Costituzionale, con la sentenza del
20 giugno 2008, n. 219, pur ritenendo manifestamente irragionevole e pertanto
lesiva dell’art. 3 Cost., la scelta legislativa prevista dall’art. 314, comma 1, cod.
proc. pen. di limitare il diritto di riparazione ai soli casi di assoluzione nel merito,
non è tuttavia pervenuta ad affermare che gli epiloghi decisori diversi da quelli
indicati dalla predetta disposizione radichino, per ciò solo, tale diritto.
Ed invero il Giudice delle leggi, in fine della parte motiva, ha espressamente
affermato che l’oggetto della decisione riguarda «la sola ipotesi (…) in cui la pena
definitivamente inflitta all’imputato ovvero oggetto di una preclusione processuale
che la sottragga a riforma nei successivi gradi di giudizio, risulti inferiore al periodo
di custodia cautelare sofferto».
La Consulta ha precisato al riguardo che «solo in apparenza la posizione di
chi sia stato prosciolto nel merito dalla imputazione penale si distingue da quella
di chi sia stato invece condannato, quanto ovviamente ai solo giudizio circa
l’ingiustizia della custodia cautelare che soverchi la pena inflitta; anche in questo
caso, risulta di immediata percezione che l’ordinamento giuridico, al fine di
perseguire le finalità del processo e le esigenze di tutela della collettività, ha

2

2.1. Con la sentenza del 9 ottobre 2013 il Tribunale di Roma assolveva Nela

imposto al reo un sacrificio direttamente incidente sulla libertà che ne travalica il
grado di responsabilità personale».
L’interpretazione ermeneutica della norma prospettata dal ricorrente,
secondo la quale sarebbe indennizzabile la detenzione subita in relazione ad un
reato poi dichiarato prescritto, in assenza di considerazioni di merito in ordine alla
sua colpevolezza, risulta implicitamente esclusa dalla Corte Costituzionale che,
ove avesse avuto tale intendimento, avrebbe dichiarato l’incostituzionalità della
norma senza porre le limitazioni sopra evidenziate (cfr. Sez. 4, n. 4071

Anche la Suprema Corte (Sez. Un. n. 4187 del 30/10/2008 – dep. 2009 Rv. 241855), ha affermato, in applicazione dei principi sopra enunciati, che la
riparazione per ingiusta detenzione spetta nel caso di durata della custodia
cautelare superiore alla misura della pena inflitta con la sentenza di primo grado
cui, poi, abbia fatto seguito una sentenza di appello dichiarativa della estinzione
del reato per prescrizione. In tal caso il giudice, qualora non ravvisi cause di
esclusione di tale diritto per dolo o colpa grave dell’istante, dovrà tenere conto, ai
fini della quantificazione dell’indennizzo, esclusivamente della parte di detenzione
cautelare patita in eccedenza rispetto alla pena corrisposta con la condanna inflitta
in primo grado.
La giurisprudenza successiva, in linea di continuità con il predetto
orientamento (Sez. 3, n. 2451 del 09/10/2014- dep. 2015 – Rv. 262396; sez. 4,
n. 5621 del 16/10/2013 – dep. 2014 – Rv. 258607; Sez. 4, n. 44492 del
15/10/2013 Rv. 258086), ha ulteriormente ribadito che, nei casi di estinzione del
reato per prescrizione, l’istituto di cui all’art. 314 cod. proc. pen. è applicabile nelle
ipotesi in cui la custodia cautelare superi la pena astrattamente applicabile e solo
in relazione a tale parte.
Al riguardo, si è osservato (cfr. Sez. 4 n. 34661 del 10 giugno 2010, Rv.
248076) che il proscioglimento per prescrizione richiede, pur sempre, una
valutazione di merito, ancorchè limitata alla verifica della inesistenza delle cause
previste dal secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen., che consente, già di per
sé, di escludere l’ingiustizia della detenzione. Inoltre l’ordinamento giudico offre
gli strumenti processuali che consentono di perseguire l’interesse della riparazione
del periodo di restrizione cautelare sofferto, pur in presenza di un reato prescritto,
avendo l’imputato la facoltà di rinunciare alla prescrizione ai sensi dell’art. 157,
comma 7, cod. pen. e di chiedere ed ottenere una sentenza che, assolvendolo nel
merito, conciami l’ingiustizia della durata della custodia cautelare (Sez. 4, n. 5621
del 16/10/2013 – dep. 2014 – Rv. 258607).

3

dell’08/10/2013, Rv. 258214).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15 febbraio 2018

Daniela/Rita Tornesi

Il Presidente
Frigia Piccii

Il Consigliere estensore

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