Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22045 del 01/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22045 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SANTORO MARIA nato il 02/01/1949 a NAPOLI

avverso l’ordinanza del 30/06/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
sentita la r zione svolta dal Consigliere EMANUELE DI SALVO;
lette/s

ite le conclusioni del PG G. Corasaniti

Rigetto del ricorso

Data Udienza: 01/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1.

Santoro Maria ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in epigrafe

indicata, con la quale è stata rigettata l’istanza di riparazione per ingiusta
detenzione, da lei formulata, a seguito di assoluzione per non aver commesso il
fatto dai reati di cui agli artt. 73 e 74 d. P.R. n. 309 del 1990.
2. La ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché il diritto
di difendersi avvalendosi della facoltà di non rispondere è costituzionalmente

rispondendo, abbia precluso al G.i.p. la conoscenza di elementi dirimenti e cioè
del fatto che ella avesse agito al solo fine di esaudire i voleri della sorella
Filomena. La valutazione delle risultanze processuali effettuata dal giudice della
riparazione collide, infatti, con quanto accertato nel corso del dibattimento. E,
comunque, anche se la Santoro, che è semi-analfabeta, fosse stata in grado di
comprendere i contenuti e la gravità della contestazione, a suo carico, di episodi
specifici di spaccio, all’interno di un contesto associativo, ciò non avrebbe
prodotto l’auspicato disinteresse della Procura in ordine alla posizione
processuale della Santoro. In ogni caso, non può fondarsi la colpa
dell’interessata, idonea ad escludere il diritto all’equa riparazione, solo sul
silenzio da quest’ultima serbato in sede di interrogatorio. Manca, d’altronde, ogni
indicazione del comportamento asseritamente determinante o sinergico rispetto
all’emissione del provvedimento limitativo della libertà personale, che possa
integrare gli estremi del dolo o della colpa grave.
3. Con requisitoria in data 17-7-2017, il Procuratore generale presso questa
Corte ha chiesto rigetto del ricorso.

4. Con memoria depositata il 19-1-2018, il Ministero dell’Economia e delle
Finanze, difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto declaratoria di
inammissibilità o, in subordine, rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Le doglianze formulate dal ricorrente sono infondate. Costituisce infatti ius
receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo cui,
anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui
vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della
decisione, di cui saggia l’oggettiva “tenuta”, sotto il profilo logico-argomentativo,

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garantito. Erroneamente il giudice a quo ha ritenuto che la Santoro, non

e quindi l’accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e
diversi parametri di valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -92006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155).
Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della
motivazione, non deve sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici di
merito ma deve limitarsi a verificare se quest’ultima sia compatibile con il senso
comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che

cassazione una diversa interpretazione delle risultanze processuali ma soltanto
l’apprezzamento della logicità della motivazione (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3,
n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez. fer., n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi;
Sez. 5, n. 32688 del 5-7-2004, Scarcella; Sez. 5, n. 22771 del 15-4-2004,
Antonelli).
2. Nel caso in disamina, l’impianto argomentativo a sostegno del

decisum è

puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere
intelligibile l’iter logico-giuridico esperito dal giudice e perciò a superare lo
scrutinio di legittimità, avendo la Corte territoriale preso in esame tutte le
deduzioni di parte ed essendo pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un
itinerario concettuale in nessun modo censurabile, sotto il profilo della
razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di
contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. La
Corte d’appello ha infatti evidenziato che il giudice che aveva assolto la Santoro
dal reato di cui all’art. 74 d. P. R. n. 309 del 1990 aveva ritenuto accertato che la
ricorrente, pur non partecipando al sodalizio di narcotrafficanti, avesse offerto il
proprio contributo alla sorella Filomena, che gestiva la piazza di spaccio,
eseguendone gli ordini, senza domandarsi se essi avessero contenuto lecito. La
condotta consistente nell’eseguire gli ordini della sorella, seppure penalmente
irrilevante nell’ottica del reato associativo, è senz’altro – aggiunge la Corte
territoriale – gravemente colposa, poiché la Santoro avrebbe dovuto astenersi dal
fornire qualsiasi forma di disponibilità o di contributo alla sorella, che trafficava
quotidianamente stupefacenti. Viceversa la richiedente, eseguendo gli ordini
della sorella Filomena, collegati all’attività di spaccio organizzato, da quest’ultima
quotidianamente esplicata, senza nulla domandarsi circa la liceità del contenuto
degli ordini stessi, aveva indotto il G.i.p. a ritenere ragionevolmente che ella
partecipasse al medesimo sodalizio di narcotrafficanti al quale faceva riferimento
la sorella. D’altronde, in sede di interrogatorio di fronte al G.i.p., la Santoro non
aveva spiegato di aver agito solo per obbedire alla sorella, senza rendersi conto

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l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di

di ciò che faceva, limitandosi ad avvalersi della facoltà di non rispondere e così
precludendo al giudice la conoscenza di elementi dirimenti, che ella era in grado
di fornire. Di qui la conclusione, senz’altro esente da vizi logico- giuridici,
inerente all’esistenza di colpa grave, ostativa all’indennizzo, ex art. 314 cod.
proc. pen. Tale conclusione è perfettamente in linea con il consolidato
orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è gravemente
colposa quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per
evidente, macroscopica, negligenza o imprudenza, una situazione tale da

giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della
libertà personale ( Sez. U., n. 34559 del 26-6-2002, De Benedictis, Rv. 222263;
Sez. 4, n. 43302 del 23-10-2008, Rv. 242034). Anche la stignnatizzazione della
mancata formulazione di spiegazioni al G.i.p. non è suscettibile di censura,
poiché si è evidenziato, in giurisprudenza, che, ai fini dell’accertamento della
sussistenza della condizione ostativa della colpa grave, fermo rimanendo l’
insindacabile diritto al silenzio da parte della persona sottoposta alle indagini e
dell’imputato, nell’ipotesi in cui questi ultimi siano in grado di fornire una logica
spiegazione, al fine di elidere il valore indiziante degli elementi acquisiti
nell’ambito delle indagini, non rileva, in quanto tale, il silenzio ma il mancato
esercizio, quantomeno sul piano dell’ allegazione di fatti favorevoli, di una
facoltà difensiva, che, se non può essere da solo posto a fondamento
dell’esistenza della colpa grave, vale però a indurre a ritenere l’esistenza di un
comportamento omissivo causalmente efficiente nel permanere della misura
cautelare, del quale può tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in
presenza di altri elementi di colpa (Cass., Sez. 4, n. 16370 del 18-3-2003, Rv.
224774; Sez. 4, n. 14439 del 12-1-2006, Rv. 234026; Sez. 3, n. 44090 del 911-2011, Rv. 251325; Sez. 4., n. 7296 del 7-11-2011, Rv. 251928).
Correttamente, pertanto, il giudice di merito, nel caso in esame, ha apprezzato,
in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori a sua disposizione,
appurando la riscontrabilità di comportamenti, anteriori e successivi alla perdita
della libertà personale, connotati da macroscopica negligenza e imprudenza e
fondando la deliberazione conclusiva non su mere supposizioni ma su fatti
concreti e precisi, dai quali ha desunto, con valutazione ex ante, che la condotta
tenuta dal richiedente aveva contribuito a ingenerare, nell’Autorità procedente,
la falsa apparenza del ricorrere, nel suo agire, di estremi di illiceità penale,
dando così luogo alla detenzione, con rapporto di causa- effetto ( Sez. U. , n.
32383 del 27-5-2010, D’Ambrosio; Sez. U., n. 43 del 13-12-1995, dep. 1996,
Sarnataro).

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determinare una non voluta, ma prevedibile, ragione d’intervento dell’autorità

3. Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute
dal Ministero resistente, che si ritiene congruo liquidare in euro mille.

PQM
Rigetta il- ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in

Così deciso in Roma, il 1°-2-2018.

euro mille.

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