Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22042 del 12/04/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22042 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

D’ANNA Salvatore 04/04/1984
avverso la sentenza della CORTE d’APPELLO di NAPOLI del 22 settembre 2017
visti gli atti;
fatta la relazione dal Cons. dott. Gabriella CAPPELLO;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Simone
PERELLI, il quale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avv. Pietro Pomanti del foro di Roma per D’Anna, il quale si è riportato ai motivi e
ne ha chiesto l’accoglimento.

Data Udienza: 12/04/2018

Ritenuto in fatto

1.

La Corte d’appello di Napoli ha riformato la sentenza del GIP del Tribunale

partenopeo, con la quale D’ANNA Salvatore era stato condannato in abbreviato per i reati di
falso di una patente di guida e di una carta d’identità e di contraffazione di timbri, nonché

contravvenzione di cui all’art. 697 cod. pen. (fatti accertati il 07/05/2010), dichiarando
l’estinzione dell’ultimo reato per intervenuta prescrizione e rideterminando la pena, anche
alla luce della sentenza n. 32 del 2014 della Corte Costituzionale.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato con proprio difensore,
formulando cinque motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, con
riferimento alla valutazione del compendio indiziario, rispetto al quale assume il
difetto della necessaria verifica di gravità, precisione e concordanza (avendo i
giudici del merito tratto due soli elementi a carico dell’imputato, vale a dire il
ritrovamento del documento con l’effigie dell’imputato nell’abitazione in cui era
stata rinvenuta la droga e la titolarità del relativo contratto di locazione in capo al
D’ANNA).
Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi quanto alla prova dei reati di falso,
avendo la Corte erroneamente ritenuto non formulata alcuna doglianza nell’atto di
gravame.
Con il terzo, ha dedotto analoghi vizi con riferimento alla mancata
riqualificazione della condotta sub D) dell’imputazione nella ipotesi di cui all’art.
73 comma 5, d.P.R. 309/90, avendo la Corte operato una inammissibile inversione
dell’onere della prova nella parte in cui ha ritenuto non dimostrata la condizione di
tossicodipendenza dell’imputato, elemento che dimostrerebbe un uso anche
personale del quantitativo di droga rinvenuto.
Con il quarto e il quinto motivo, infine, ha dedotto analoghi vizi, quanto alla
mancata applicazione della continuazione tra i reati sub C) e D) della rubrica e al
diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2.

La Corte partenopea ha previamente riassunto il contenuto delle doglianze

formulate con l’atto d’appello, in parte riproposte in sede di ricorso, richiamando, quanto
alla mancata assoluzione ai sensi dell’art. 530 comma 2, cod. proc. pen., per difetto di una
prova certa della disponibilità dell’immobile, le circostanze che portarono all’arresto del

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per una ipotesi di detenzione illecita di droga (gr. 132,50 di marijuana) e per la

D’ANNA, soggetto ricercato dalle forze dell’ordine con riferimento ad altra vicenda
processuale (relativa ad incolpazioni ai sensi dell’art. 74 d.P.R. 309/90 e 7 d.l. 152/91).
In particolare, era emerso che il D’ANNA, controllato dalla P.G. presso un bar del
comune di Villaricca, nel corso delle formalità per preliminari, aveva esibito un documento
di riconoscimento apparentemente riferibile a tale GAMBARDELLA Giovanni, risultata falsa,
accertando che, a nome del GAMBARDELLA era stato pure locato un immobile, presso il
quale si era proceduto a perquisizione domiciliare, accedendovi per mezzo di chiavi trovate
in possesso del controllato. Al suo interno era stato trovato un altro documento di identità,
risultato falso e sempre intestato a GAMBARDELIA Giovanni, anch’esso recante però

Il contratto di locazione era stato stipulato dal D’ANNA a nome di GAMBARDELLA
Giovanni, avvalendosi del falso documento d’identità.
Nella fase successiva alle suddette operazioni, il D’ANNA era riuscito a dileguarsi,
fatto rispetto al quale si era proceduto separatamente.
Gli elementi militanti a carico dell’imputato sono stati ritenuti dalla Corte territoriale
di numero elevato, di derivazione eterogenea, tra loro esattamente collimanti e di granitica
valenza significativa, tali da ricondurre quindi all’imputato la penaY1sponsabilità per i fatti
contestatigli. In particolare, il ritrovamento di un nuovo documento d’identità all’interno
dell’immobile ove era pure detenuta la droga e la circostanza che il contratto fosse intestato
proprio al soggetto il cui nome era riportato sul documento falso riportante l’effigie del
D’ANNA consentivano di ricondurre entrambi all’imputato. A fronte di ciò, senza prova era
rimasta la tesi prospettata a difesa, secondo cui altri soggetti avrebbero frequentato
quell’appartamento, rivelandosi insufficiente peraltro una sporadica presenza che non
avrebbe potuto consentire a tali ignoti soggetti di conservarvi la partita di droga rinvenuta.
Quanto all’ulteriore elemento addotto a difesa, la testimonianza della locatrice,
costei aveva in definitiva affermato di aver incontrato solo poche volte l’imputato,
fornendone peraltro una sommaria descrizione, il che finiva con confermare e non smentire
la ritenuta disponibilità dell’immobile.
Quanto alla destinazione a fini di spaccio della sostanza rinvenuta, la Corte ha
valorizzato il dato ponderale (che ha ritenuto spropositato rispetto al presumibile
fabbisogno di un consumatore medio, anche a prescindere dalla mancata dimostrazione
dello stato di tossicodipendenza), le modalità di conservazione (suddivisione in più
involucri) e il rinvenimento di un bilancino, facente parte del tipico “armamentario” dello
spacciatore, osservando che la difesa non aveva articolato alcuna specifica doglianza
rispetto ai reati di falso.
Le doglianze quoad poenam sono state unitariamente trattate, osservando la Corte
d’appello che correttamente il giudice di primo grado aveva riconosciuto la continuazione
solo con riferimento alle ipotesi di falso di cui al capo C)e non anche tra queste e il reato di
cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, non potendosi l’unicità del disegno criminoso identificare con
la esistenza di una inclinazione a delinquere, nel caso di specie apprezzandosi una
eterogeneità tra le condotte, del tutto svincolate tra di loro, quanto al diniego delle
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l’effigie dell’imputato.

generiche, lo stesso riposando su plurime considerazioni: vita ante atta (mediante rinvio al
certificato del casellario ove sono annoverate pesanti condanne per reati gravissimi); stato
di latitanza; fuga al momento dell’arresto, utilizzo di documenti falsi.
3. Tutti i motivi sono manifestamente infondati e la loro trattazione unitaria è
giustificata dalla comune natura delle doglianza, tutte incentrate sul merito della vicenda,
articolate in chiave dialettica e non critica rispetto alle ragioni esposte nel provvedimento
censurato, senza anteporre evidentemente un preventivo, necessario confronto con esse.
Pare sufficiente, quindi, un mero richiamo ai principi consolidati di matrice giurisprudenziale
per affermare anche in questa sede che i motivi dell’impugnazione devono indicare

Pertanto, il contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione è indefettibilmente il confronto
puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta
[cfr., in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584;
Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016 Cc. (dep. 22/02/2017 ), Galtelli, Rv. 268822, sui motivi
d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione].
Nel caso in esame, il ricorrente ha preteso di sostituire la propria valutazione del
materiale probatorio a quella operata dal giudice del gravame, a mezzo di una motivazione
congrua, priva di profili di manifesta illogicità e non contraddittoria. Tale operazione è,
tuttavia, preclusa in questo giudizio di legittimità, essendosi già precisato che é inammissibile
il motivo di ricorso per cassazione che censura l’erronea applicazione dell’art. 192, comma
terzo, cod. proc. pen. se è fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con
il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente
previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione della
sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (cfr. sez. 6 n. 13442 dell’08/03/2016,
Rv. 266294; n. 43963 del 30/09/2013, Rv. 266924).
Infine, quanto ai reati di falso, il relativo motivo è del tutto generico, nona vendo la
parte specificato quali siano state le argomentazioni difensive (ritenute inesistenti dalla Corte
d’appello), disattese con la sentenza impugnata, essendosi limitata a richiamare la
indicazione dei capi d’imputazione e l’incipit dell’appello.
4. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C. 2.000,00 in favore della cassa delle ammende,
non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità
(cfr. C. Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 12 aprile 2018.

Il Presidente

Il Consigliere estensore

Gabriella Cappello

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specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

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