Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22035 del 03/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22035 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MACCHERONE MAURO N. IL 31/08/1961
avverso la sentenza n. 2172/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/01/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA
PELLEGRINO;

Data Udienza: 03/05/2016

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– con il primo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla
ritenuta responsabilità;
– con il secondo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla
mancata pronuncia ex art. 530, comma 2 c.p.p.;
– con il terzo motivo dì ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al
trattamento sanzionatorio;
– con il quarto motivo di ricorso, violazione di legge con riferimento alla condanna al
risarcimento del danno nonchè al pagamento della provvisionale e delle spese di giudizio
sostenute dalla parte civile.
Il primo motivo di ricorso è generico e, comunque manifestamente infondato. Invero, le
osservazioni critiche ivi articolate si risolvono nella introduzione di temi in fatto diversi da quelli
emergenti dalla ricostruzione – vincolante perché esente da vuoti logici – resa nel doppio
giudizio di conformità operato dai giudici del merito, assumendo i toni tipici, ed altrettanto
inammissibili, delle valutazioni alternative rispetto a quelle segnalate in sentenza non
adeguatamente supportate dall’indicazione dei profili di manifesta illogicità del motivare della
Corte destinati ad inficiarne il portato. In ogni caso, nella motivazione della sentenza
impugnata non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Suprema Corte non deve stabilire se la
decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”,
secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (cfr., Sez. 5, sent. n. 1004 del 30/11/1999,
dep. 31/01/2000, Rv. 215745; Sez. 2, sent. n. 2436 del 21/12/1993, dep. 25/02/1994, Rv.
196955). Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o
la sua manifesta illogicità. E, sotto quest’ultimo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati
che la compongono.

Il secondo motivo di ricorso è del tutto generico.
Tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità,
della specificità dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o
più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che
sono alla base delle sue lagnanze.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 20.01.2015, confermava la condanna alla
pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Lecco, in data 16.01.2013, nei confronti
di Maccherone Mauro, in relazione al reato di cui agli artt. 99, 640 c.p..

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Invero, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti
per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito,
che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt.
132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non
sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, sent. n. 5582 del 30/09/2013,
dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una
specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione
alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto
dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”,
“pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a
delinquere (Sez. 2, sent. n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).

Il quarto motivo di ricorso è puramente assertivo. Lo stesso, infatti, non spiega in alcun modo,
le ragioni per le quali il ricorrente sarebbe dovuto andare esente dalla condanna al
risarcimento del danno e al pagamento della provvisionale e delle spese di difesa della parte
civile: la doglianza è quindi inammissibile per mancanza di articolazione delle ragioni della
censura proposta.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al
versamento della somma, che si ritiene equa, di euro millecinquecento a favore della cassa
delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro millecinquecento alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 3 maggio 2016
L’estensore

Il Presidente

Nel caso di specie il motivo è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581,
comma 1, lett. c) c.p.p. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata
ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura
formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed
esercitare il proprio sindacato. Peraltro, le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente
risultano adeguatamente giustificate dal giudice dì merito attraverso una rigorosa valutazione
delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da
contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede
non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti
compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi
dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

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