Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22034 del 12/04/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22034 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile PESHKU ADRIAN nato il 29/08/1978
nel procedimento a carico di:
ADDEZIO EMANUELE nato il 14/05/1985 a GENOVA

avverso la sentenza del 15/02/2017 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SIMONE PERELLI
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore della parte civile Peshku Adrian, avv. Maria Snaiderbaur del
Foro di Genova che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, depositando le proprie
conclusioni.

Data Udienza: 12/04/2018

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Genova, pronunciando nei confronti di ADDEZIO
EMANUELE, con sentenza del 15/2/2017, ha confermato la sentenza del
15/7/2015, appellata dalla parte civile, con la quale il Tribunale di Genova, aveva
assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato, dall’imputazione per il
reato di cui agli artt. 590, commi 1, 2, 3 cod. pen., 583, comma 1, n.

1 cod.

pen., in relazione all’art. 163 comma 1 D.L.vo 81/2008, perché, nella qualità di
datore di lavoro dell’impresa “E.LC.I. s.r.l.”, cagionava a PESHKU Adrian lesioni

arti inferiori; per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare
per non avere provvisto ad alcuna indicazione o segnalazione di pericolo, né
all’affissione di alcuna istruzione circa le cautele da osservarsi sul fusto metallico
impiegato per contenere gasolio (violazione dell’art. 163 comma 1 D.L.vo
81/2008); cosicché Adrian Peshku, dipendente dell’impresa “C.E.S.I. s.r.l.” con
la qualifica di operaio specializzato di terzo livello; mentre stava “assistendo il
collega Franco Favaretto, che stava tagliando con un flessibile il coperchio di un
fusto metallico chiuso che aveva contenuto gasolio, di proprietà dell’impresa
“E.LC.I. srl”, che Favaretto aveva ricevuto da Maurizio Guarnieri, dipendente di
“E.LC.I. s.r.l.”; era investito dalle fiamme sprigionate nell’esplosione provocata
dall’innesco tra i vapori di gasolio presenti nel fusto e le scintille e il calore generati dal contatto del disco abrasivo sulla lamiera, esplosione che proiettava il coperchio contro le gambe di Peshku, che riportava le ustioni sopra descritte; fatto
aggravato dalla gravità delle lesioni, avendo il fatto provocato una malattia della
durata superiore ai quaranta giorni e perché commesso con violazione delle
norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In Genova, 12/09/2012.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
del proprio difensore di fiducia, la parte civile Peshku Adrian, ai soli effetti della
responsabilità civile, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp.
att., cod. proc. pen.:

a. Violazione di cui all’art. 606, comma I, lett. b) in riferimento agli artt. 40
e 41 cod. pen. e artt. 590 commi 1,2,e 3 e 583 comma 1, n. 1 cod. pen., in relazione all’art. 163 comma 1 D.L.vo 81/2008.
Il ricorrente rileva che le conclusioni del provvedimento impugnato, sulla riconosciuta esclusione della responsabilità del datore di lavoro a causa della natura esorbitante e abnorme del lavoratore con conseguente interruzione del nesso
di causalità tra l’infortunio e l’inosservanza delle norme antinfortunistiche, non

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personali gravi, consistite in ustioni di terzo grado con perdita di sostanza agli

sarebbero condivisibili né sul piano logico né su quello giuridico. L’istruttoria dibattimentale aveva accertato l’avvenuta violazione di una serie di norme antinfortunistiche rappresentata dall’utilizzo di fusti non adeguati, sprovvisti della necessaria segnalazione del pericolo, e dalla mancata istruzione e formazione del
personale sul loro corretto utilizzo e smaltimento, nonché la sussistenza del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l’evento. L’incidente avveniva a
seguito della cessione di un fusto, da parte di un dipendente della EL.C.I., società amministrata dall’imputato, ad un collega della parte civile. Il fusto veniva

veniva l’infortunio. La cessione e l’inconsapevole utilizzo del fusto pericoloso sarebbero avvenuti a causa della mancata formazione del personale, che non conosceva le norme di sicurezza. Pertanto la condotta dell’Addezio sarebbe stata causa e non semplice occasione del comportamento imprudente del dipendente.
Il ricorrente ritiene che la condotta del lavoratore non possa considerarsi
imprevedibile, né tantomeno esorbitante, dal momento che lo smaltimento dei
fusti era un’attività normale, svolta ordinariamente dal lavoratore.
Il dipendente della E.L.C.I., in mancanza di una corretta formazione e della
necessaria conoscenza dei rischi e delle regole per la sicurezza, avrebbe ceduto il
fusto al dipendente Favaretto della Cesi, che, a sua volta, non ravvisandone la
pericolosità ha creduto di poterlo modificare per le proprie esigenze senza alcun
rischio. Tale operazione avrebbe determinato l’infortunio.

b. Violazione di cui all’art. 606, comma I, lett e) cod. proc. pen.
Il ricorrente definisce la motivazione del provvedimento impugnato illogica e
contraddittoria, in quanto il comportamento del lavoratore è stato definito abnorme senza chiarire in cosa sarebbe consistita tale abnormità, dal momento che
nelle mansioni del Guarnieri rientrava proprio lo smaltimento dei fusti usati e tale
pratica era svolta senza particolari attenzioni o precauzione.
L’avvenuta cessione del fusto, percepito come non pericoloso, avrebbe rappresentato solo un modo di liberarsene come un altro.
Pertanto, tenuto conto che l’attività del dipendente rientrava tra i suoi compiti, la stessa era certamente prevedibile in assenza delle dovute informazioni e
risulta evidente la responsabilità del datore di lavoro nel determinarsi
dell’evento.
Infine rileva il ricorrente che l’impugnato provvedimento, nel ritenere abnorme la condotta dei lavoratori, nulla avrebbe detto sull’effettiva incidenza causale dell’inosservanza della normativa da parte dell’Addezio.
Chiede, pertanto, l’annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata
con ogni conseguenziale provvidenza di legge.

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trasportato a poche decine di metri, sempre all’interno del cantiere, dove poi av-

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso
va rigettato.

2. Va evidenziato che siamo di fronte ad una “doppia conforme”, in questo
caso di assoluzione (e va ricordato che l’assoluzione non presuppone la certezza
dell’innocenza dell’imputato, ma la mera non certezza della colpevolezza dello
stesso – cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 42007 del 27/9/2012, M. e altro, Rv.

lo, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ciò tanto più ove, come in casi qual è quello che ci occupa, i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a
quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità
(confronta l’univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte Sez.
2 n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia, Rv. 256096; conf. Sez. 3, n. 13926 del
1/12/2011, dep. il 2012, Valerio, Rv. 252615: Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993,
dep. il 1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è
tenuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti
e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in
modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver
tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono
considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri Rv.254107).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini,
se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'”ossatura”
dello schema difensivo dell’appellante, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che
tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002,
dep. il 2003, Delvai, Rv. 223061).
E’ stato anche sottolineato di recente da questa Corte che in tema di ricorso
in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime
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253605), in cui le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella dì appel-

incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione,
che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non
siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono
dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della
motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati
dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni
elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la
decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della

9242 dell’8.2.2013, Reggio, rv. 254988).

3. Sulla scorta di tali premesse, va evidenziato che la parte civile chiede a
questa Corte di legittimità una nuova valutazione dell’esistenza di una
responsabilità dell’imputato nel prodursi dell’evento dannoso, ai fini di
un’affermazione di responsabilità civile.
I proposti motivi, come si anticipava, sono, tuttavia, infondati.
Le sentenze di merito, con motivazioni prive di aporie logiche e corrette in
punto di diritto, e pertanto immuni dai denunciati vizi di legittimità, hanno escluso l’esistenza di un nesso causale tra la condotta dell’imputato, datore di lavoro,
che utilizzava dei fusti per il gasolio privi di dell’indicazione della natura e pericolosità del contenuto, e la condotta del tutto imprevedibile prima del proprio dipendente che cedeva gratuitamente un fusto vuoto ad un dipendente di altra ditta, che effettuava lavori per proprio conto, e poi del lavoratore di questa ditta
che, per fare un uso personale del fusto, decideva di tagliarlo con un flessibile
munito di disco abrasivo.
Correttamente l’impugnata sentenza ha ritenuto l’interruzione del nesso
causale tra la condotta colposa del datore di lavoro e l’evento dannoso a causa
dell’imprevedibilità ed abnormità della condotta del lavoratore che esorbitava
completamente dalle sue attribuzioni e dall’uso degli strumenti di lavoro in relazione alle mansioni affidategli. Del resto coerentemente, già il giudice di primo
grado -senza, peraltro, che quella sentenza venisse attinta da specifici motivi
critici in appello- aveva sottolineato come la cessione a terzi e l’uso abnorme del
bene non potevano essere in alcun modo prevedibili dal datore di lavoro dell’impresa E.L.C.I. srl, sicché la responsabilità connessa a siffatto uso non poteva essergli imputata. Ciò sul corretto rilievo che è vero che l’incidente sarebbe stato
potenzialmente prevenibile attraverso un’indicazione di pericolo apposta sul fusto, ma che l’omissione in imputazione (omessa indicazione/segnalazione del pericolo) non può essere addebitata all’odierno imputato per qualsivoglia evento
occorso nel cantiere, atteso che la norma contestata non pone un obbligo gene-

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compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (sez. 2, n.

rale di garanzia nei confronti della generalità dei soggetti, ma un dovere specifico
di prevenzione da parte del datore di lavoro connesso al contatto degli operai
con potenziali fonti di pericolo operanti nello svolgimento dell’attività lavorativa.
Più in particolare, veniva evidenziato come nel caso che ci occupa non risulti contestata la violazione di un obbligo generale di apporre indicazioni sui fusti contenenti combustibili (analogamente alle norme che regolano la circolazione
dei prodotti pericolosi), prospettiva, invero, è del tutto estranea all’imputazione.
E’, invece, contestata la violazione di un dovere generico di prevenzione di peri-

non è emersa alcuna prova che i fusti rappresentassero in sé un pericolo per le
operazioni di cantiere prevedibili, avendolo invece rappresentato solo ed esclusivamente in relazione ad una deviazione del tutto anomala dalle operazioni medesime (condotta deviante posta in essere nel caso specifico – come già detto da soggetto estraneo all’impresa, per interesse suo proprio, previo acquisto non
autorizzato del bene, con imprudenza).

4. Rileva, condivisibilmente, la Corte territoriale, che in un caso come
quello che ci occupa occorre accertare in concreto la colpa del datore di lavoro,
individuando la regola di condotta generica o specifica che si assume violata, la
prevedibilità e l’evitabilità dell’evento lesivo, il rapporto causa – effetto tra violazione ed evento, e se la regola violata era funzionale a evitare il tipo di evento in
concreto verificatosi. Ne consegue che l’anzidetta responsabilità deve essere
esclusa per gli eventi estranei alla funzione propria della regola violata, anche se
cagionati dalla condotta inosservante.
In tal senso non pare conferente con il caso che ci occupa la denunciata
violazione dell’obbligo di formazione del dipendente. Ciò per due ordini di ragioni.
La prima è che si tratterebbe di un profilo di colpa non contestato. L’altra, sostanziale, è che, secondo il costante orientamento di questa Corte di legittimità,
iri\datore di lavoro risponde dell’infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della
formazione-informazione dei lavoratori, ma relativamente ai rischi connessi alle
mansioni loro affidate, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte
(Sez. 4, n. 45808 del 27/6/2017, Catrambone ed altro, Rv. 271079; conf. Sez.
4, n. 39765 del 19/5/2015, Vallani, Rv. 265178).
In altri termini, anche l’obbligo di formazione-informazione, è causalmente orientato, nel senso che vi è un generale obbligo del datore di lavoro di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i
dipendenti, ovunque essi siano situati (art. 15 d.lgs. n. 81/08) un parimenti ge6

coli per le lavorazioni di cantiere. E sul punto, come rilevano i giudici di merito,

nerale obbligo di formare i lavoratori, in particolare in ordine ai rischi connessi
alle mansioni loro affidate (art. 37, co. 1, lett. b) d.lgs. n. 81/08). E comunque,
anche ad interpretare estensivamente la norma, tale obbligo di formazioneinformazione deve riguardare anche rischi non specificamente legati alle mansioni affidate al singolo, ma ad attività lavorative non eccentriche rispetto a quelle
tipiche di quel tipo e luogo di lavoro.

5. Non è fondata la doglianza proposta dalla parte civile ricorrente, su cui è

traddittorietà o insufficienza di motivazione in relazione all’abnormità del comportamento dell’Addezio dipendente dell’imputato. L’impugnata sentenza ha
chiaramente esposto, infatti l’imprevedibilità dell’evento non solo della cessione
ma anche dell’utilizzo del tutto imprevedibile e avventato del fusto cedutogli da
parte di un terzo estraneo al rapporto di lavoro.
Va ricordato come, secondo il dictum di questa Corte di legittimità, il datore
di lavoro, e, in generale, il destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente
sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore
che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un
ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma
sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.
Si può dunque attribuire il carattere di abnormità non solo alla condotta del
tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite (come ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi a un’altra macchina o a un altro lavoro,
magari esorbitando nelle competenze attribuite ad altro lavoratore), ma anche a
quella che, pur rientrando nelle mansioni proprie del lavoratore, sia consistita in
qualcosa di radicalmente, ontologicamente lontano dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.
Questa Corte di legittimità ha recentemente chiarito – e va qui ribadito,
giungendosi sulla base dell’affermazione del medesimo principio a conclusioni diverse- che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa
del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità
tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che
essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della
posizione di garanzia (così Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 dep. il 2017, Gerosa
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imperniato il proposto mezzo di impugnazione, su un’assunta mancanza, con-

ed altri, Rv. 269603 che in quel caso ha escluso l’abnormità della condotta di due
lavoratori che erano deceduti, per mancanza di ossigeno, all’interno di una cisterna in cui si erano calati per svolgere le proprie mansioni, ma senza attendere
l’arrivo del responsabile della manutenzione e senza utilizzare dispositivi di protezione).
Ed è proprio il caso che ci occupa, in cui tanto la cessione ad un estraneo del
fusto da parte del dipendente dell’odierno ricorrente (e già ciò bastava) che
l’utilizzo che ne ha fatto il terso risultano accadimenti eccentrici rispetto alle

La Corte territoriale, con motivazione priva di aporie logiche, rileva che nel
caso di specie, deve essere riconosciuta l’abnormità del comportamento del lavoratore, essendosi l’evento verificato perché un dipendente dell’imputato, del tutto inopinatamente, ha ceduto gratuitamente un fusto di gasolio di proprietà del
suo datore di lavoro, ormai vuoto – il cui uso normale era quello di un qualunque
recipiente di combustibile, utilizzato per contenerlo e trasportarlo -, al dipendente di un’altra impresa attiva nello stesso cantiere, che lo ha richiesto per farne un
uso personale e privato, in nulla attinente al lavoro che si svolgeva in loco. E
quest’ultimo ha compiuto sul fusto una manovra del tutto imprevedibile, perché
estranea alla destinazione e alle modalità di utilizzo della cosa, ovvero il taglio
della lamiera con un flessibile munito di disco abrasivo, con l’assistenza del lavoratore poi infortunato.
Logico, oltreché corretto in punto di diritto, è stato l’aver ritenuto che si tratti di comportamenti che, per anormalità, atipicità ed eccezionalità, sono tali da
interrompere il nesso eziologico tra l’evento lesivo e la condotta inosservante
addebitata all’imputato, essendo irrilevante che il fatto si sia verificato sul luogo
in cui i predetti prestavano attività lavorativa, poiché deve escludersi ogni relazione tra i comportamenti in questione e il lavoro cui gli stessi erano addetti.
Né, evidentemente, può ritenersi, come afferma il ricorrente, che la cessione
del fusto ad un estraneo possa rientrare tra le modalità normali di smaltimento
dello stesso, rischio che doveva essere governato dal datore di lavoro.

6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12 aprile 2018
Il Presidente

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Giudiziario

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