Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22020 del 03/12/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22020 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FALSETTA MIRCO N. IL 19/08/1982
avverso la sentenza n. 2859/2012 TRIBUNALE di PESCARA, del
02/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 03/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata il 2 aprile 2013, ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., il Tribunale di Pescara ha applicato a Falsetta Mirco la pena di
giorni venti di reclusione per la violazione prevista dall’art. 9, comma primo,
legge n. 1423 del 1956, a titolo di aumento, ex art. 81, primo comma, cod.
pen., sulla pena applicata dallo stesso Tribunale con sentenza del 25 agosto

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Falsetta tramite il difensore di fiducia, il quale, con unico motivo, deduce
mancanza della motivazione con riguardo alla verifica di ricorrenza di cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un
meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico
ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta
contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le
stesse e sull’entità della pena. Da parte sua il giudice ha il potere-dovere di
controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della
pena richiesta e di applicarla, dopo aver accertato che non emerga in modo
evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc.
pen.
Ne consegue che -una volta ottenuta l’applicazione di una determinata
pena ex art. 444 cod. proc. pen.- l’imputato non può rimettere in
discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché essi sono
coperti dal patteggiamento.
In particolare, l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art.
111 Cost. e dall’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze,
opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle
parti. Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla
quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice ad una funzione di
semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee
argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare
1

2011, irrevocabile il 24 novembre 2011, per il delitto di furto.

i fatti dedotti nell’imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli
atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la
possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi
sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione
-anche implicita- che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che
non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento a norma del

n. 6711 del 15/12/2000, dep. 2001, Tonci, Rv. 218050; Sez. 4, n. 33214
del 02/07/2013, Oshodin Osi, Rv. 256071).
Tanto premesso, la Corte osserva che il motivo di ricorso, nel caso in
esame, è manifestamente infondato, atteso che il giudice, nell’applicare la
pena concordata, si è, da un lato, adeguato a quanto contenuto nell’accordo
intervenuto fra le parti, apprezzando la congruità della pena pattuita; e,
dall’altro, ha escluso la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 129 cod.
proc. pen., alla stregua delle verificate fonti di prova nell’acquisito fascicolo
delle indagini preliminari.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento
in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare
pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni,
secondo la costante giurisprudenza di legittimità (si vedano, tra le altre,
Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, dep. 15/05/1992, Di Benedetto, Rv.
191134 e 191135; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, dep. 18/10/1995,
Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n. 11493 del 24/06/1998, dep. 03/11/1998,
Verga, Rv. 211468).

2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria, che si stima equo determinare in euro
millecinquecento.

i”
2

citato art. 129 (Sez. 1, n. 752 del 27/01/1999, Forte, Rv. 212742; Sez. 1,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento
euro alla cassa delle ammende.

Così deciso il 3/12/2015.

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