Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22008 del 01/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22008 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
MAZZEI ARMANDO nato il 15/11/1976 a LAMEZIA TERME
TALARICO PASQUALINO nato il 15/11/1970 a LAMEZIA TERME
SESTO FRANCESCO nato il 01/07/1976 a LAMEZIA TERME
PINO SALVATORE nato il 11/01/1971 a LAMEZIA TERME
PALMIERI ROBERTO nato il 29/09/1979 a LAMEZIA TERME
COZZA PASQUALINO nato il 10/10/1965 a LAMEZIA TERME
PALERMO GIANLUCA nato il 09/07/1986 a LAMEZIA TERME
NOCERA RAFFAELE nato il 12/08/1967 a ROSARNO
MASTROIANNI ARMANDO nato il 26/08/1976 a LAMEZIA TERME

avverso la sentenza del 12/07/2016 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere EMANUELE DI SALVO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI
che ha concluso per l’inammissibilita’ dei ricorsi.
E’ presente l’avvocato BATTAGLIA EUGENIO del foro di CATANZARO in difesa di
MAZZEI ARMANDO, TALARICO PASQUALINO, SESTO FRANCESCO, PINO
SALVATORE, PALMIERI ROBERTO, COZZA PASQUALINO, PALERMO GIANLUCA,
NOCERA RAFFAELE e di MASTROIANNI ARMANDO, che si riporta ai motivi di

Data Udienza: 01/02/2018

ricorso, chiedendone l’accoglimento.

2

RITENUTO IN FATTO
1.1 ricorrenti impugnano la sentenza in epigrafe indicata, concernente i reati di
cui agli artt. 624- 625 cod. pen., in relazione all’impossessamento, previa
estrazione di inerti nell’area di una cava di calcare, di materiali rocciosi; 349
cod. pen., trattandosi di area sottoposta a sequestro; 635 cod. pen., in relazione
al danneggiamento di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di lavori attinenti
alla predetta cava; 434 cod. pen., in relazione alla perpetrazione di fatti diretti a

2. I ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di motivazione, poiché il
giudice a quo, invece di specificare quale sia stato il contributo apportato da ogni
singolo compartecipe, si limita ad affermare, sulla base della mera presenza sul
luogo, che tutti gli imputati concorrono nell’attività di illecita estrazione del
materiale inerte. Dalla presenza sul luogo non può però inferirsi un ruolo di
concorso e comunque, nel caso in esame, i ricorrenti avevano un legittimo
motivo per trovarsi in loco, attesa l’operatività, nella zona non oggetto di
sequestro, della s.p.a. Mazzei Salvatore. I ricorrenti sono stati infatti identificati
all’interno dell’officina meccanica e dunque al di fuori dell’area sottoposta a
sequestro. Quanto al Mazzei, non vi è prova che egli abbia offerto una qualsiasi
collaborazione ai materiali esecutori della presunta sottrazione. Non vi è
nemmeno prova che il materiale trasportato fosse effettivamente quello
sottoposto a sequestro dall’autorità giudiziaria, né che l’imputato, il quale non
era presente in loco, abbia impiegato i propri mezzi al fine di agevolare il delitto.
La Corte d’appello non indica nemmeno la condotta agevolatrice che sarebbe
stata posta in essere dall’imputato.
2.1. I fatti avrebbero dovuto essere giuridicamente qualificati ex art. 334,
comma 3, cod. pen., reato nel quale avrebbe dovuto ritenersi assorbito il delitto
ex art. 635 cod. pen., poiché il reato di furto presuppone l’altruità della cosa
sottratta mentre l’area di cava e . il materiale ivi estraibile erano di proprietà della
S.p.A. Mazzei Salvatore.
2.2. Il Comune di Lamezia Terme non ha subito alcun danno per effetto delle
condotte ascritte agli imputati. Nel caso di specie, infatti, nessun
danneggiamento suscettibile di incidere negativamente, in senso fisico ed
estetico, sull’originario assetto dei luoghi può essere ravvisato né è stato
prodotto alcun danno ai beni tutelati dall’Ente. Neppure è ipotizzabile la
violazione di un interesse protetto dall’Ente territoriale, onde il Comune di
Lamezia Terme non ha diritto a ottenere alcun risarcimento.

1

cagionare il crollo di fronti di cava interessati all’attività estrattiva.

A

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.La doglianza formulata con il primo motivo non può trovare accoglimento.
Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il
principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo
del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla
coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l’oggettiva “tenuta”, sotto
il profilo logico-argonnentativo, e quindi l’accettabilità razionale, restando
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della

e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv.
235508; Sez. 6, n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva
che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione,
non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore
ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso
comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso
che l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di
cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice
di legittimità, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge,
non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un
controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo
controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte
regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della motivazione
(cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez.
fer., n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5-7-2004,
Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli).
1.1. Nel caso in disamina, il giudice a quo ha evidenziato che i ricorrenti,
tranne il Mazzei, sono stati colti dalla polizia giudiziaria nell’atto di entrare
nell’area di cava, alle ore 6,30 del 24 11.2009, mettere in moto i mezzi
meccanici ivi presenti e dare inizio ai lavori di estrazione. Due di essi
provvedevano, infatti, all’estrazione del materiale inerte con gli escavatori,
un terzo lo caricava, con una ruspa, su alcuni autocarri e gli altri
supportavano le operazioni, sia pure senza altri mezzi meccanici. Non vi è
stata soluzione di continuità tra l’attività di osservazione, l’ingresso della
polizia giudiziaria nell’area di cava e l’ identificazione dei predetti imputati,
atteso che gli autisti dei camion già usciti dal cantiere vennero fermati ed
identificati da altri operanti appostati a valle della stessa area. Quanto alla
posizione di Mazzei Armando, la prova del concorso morale di quest’ultimo
2

decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione

nelle condotte poste in essere materialmente dai suoi dipendenti si ricava, in
via logica, dalla sua posizione di proprietario e amministratore unico della
s.p.a. Mazzei Salvatore nonché di datore di lavoro dei coimputati e
beneficiario dell’attività di questi ultimi. D’altronde – specifica il giudice a quo
-, le bolle di accompagnamento del materiale estratto e trasportato dai
camion fermati dalla polizia giudiziaria riconducono,anche documentalmente,
le predette attività alla ditta del Mazzei, ciò che corrobora l’asserto relativo
alla posizione di mandante di quest’ultimo ed esclude che gli operai possano

secondo cui tutti gli imputati concorsero nell’attività estrattiva. L’impianto
argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo
di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logicogiuridico esperito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità,
avendo la Corte d’appello preso in esame tutte le deduzioni difensive ed
essendo pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un itinerario logicogiuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla
base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà
o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
2. Nemmeno la doglianza formulata con

il secondo motivo può essere

accolta. Sarebbe stato, infatti, giuridicamente possibile attribuire alla
fattispecie concreta in disamina il nomen iuris ex art. 334, comma 3, cod.
pen. soltanto ove la sentenza con la quale era stata disposta la confisca non
fosse ancora passata in giudicato al momento in cui venne posta in essere la
condotta incriminata. In questo caso, infatti, la statuizione ablatoria, non
essendo ancora operativa, non avrebbe prodotto l’effetto acquisitivo della
proprietà dei beni in capo allo Stato. Non avrebbe pertanto potuto ravvisarsi
il requisito dell’altruità della cosa, perché i beni sarebbero stati ancora di
proprietà del Mazzei. E d’altronde, essendo ancora in vigore il sequestro, ben
avrebbe potuto configurarsi il reato di cui all’art. 334, comma 3, cod. pen.,
in relazione alla sottrazione dei beni in esame, sottoposti a sequestro
disposto nell’ambito di un procedimento penale, da parte del proprietario
non affidatario dei beni stessi. Ma l’analisi di questo profilo è completamente
estranea all’impianto argomentativo dei ricorsi, limitandosi i ricorrenti ad
affermare che l’area della cava e il materiale estraibile erano di proprietà
della s.p.a. Mazzei, senza nulla specificare circa l’irrevocabilità o meno, al
momento della condotta, della sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, in
data 6-4-2009, che dispose la confisca. Il motivo è, pertanto, generico, in
quanto mancante di un elemento essenziale, ai fini della decisione.

3

avere agito in proprio. Di qui la conclusione, formulata dal giudice a quo,

requisito della specificità dei motivi, di cui all’art. 581 cod. proc. pen.
implica,infatti, a carico della parte, non solamente l’onere di dedurre le
censure che intende muovere a uno o più punti determinati della decisione
ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono
alla base delle censure stesse, al fine di consentire al giudice
dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio
sindacato (Cass. 18-10-1995, Arra, Rv. 203513). E’ dunque necessaria una
indicazione precisa, anche se sintetica, dei dati essenziali alla base della

correttezza dell’apparato giustificativo che sorregge la decisione impugnata
(Cass., 9-5-1990, Rizzi; Cass., 14-5-1992, Genovese; Cass. 17-11-1993,
Settecase, Rv. 196795). E, in quest’ottica, in giurisprudenza, si è
ripetutamente sottolineato come sia inammissibile l’impugnazione che non si
confronti con la motivazione della sentenza impugnata e che non contenga
alcuna confutazione delle argomentazioni formulate dal giudice a quo (Cass.,
Sez. 6 ,n. 27068 del 23-6-2011; Cass., Sez. 6 n. 18081 del 2011; Cass.,
Sez. 3, n. 16851 del 2010), sì da elidere la correlazione con la ratio
decidendi del provvedimento impugnato (Cass. , Sez. 2, n. 6076 del 24-12012; Cass., Sez. 1, n. 19338 del 24-4-2008; Cass., Sez. 1, n., 16711 del
18-3-2008). Poiché, nel caso in esame, la motivazione della sentenza
impugnata s’incentra sulla ravvisabilità del requisito dell’altruità della cosa,
in considerazione dell’avvenuta confisca, era onere del ricorrente fornire i
dovuti ragguagli circa il passaggio in giudicato o meno della relativa
pronuncia. In mancanza di ciò, non possono considerarsi adeguatamente
argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto poste a
fondamento della sentenza impugnata (Sez. U., 27-10-2016, Galtelli).
3. Anche la censura sollevata con l’ultimo motivo di ricorso è infondata. Il
giudice a quo ha infatti posto in rilievo la lesione dell’interesse del Comune di
Lannezia Terme ad eseguire la programmazione dell’assetto urbanistico del
territorio comunale, a preservare l’ambiente e il paesaggio e a prevenire i
danni conseguenti ad eventi calamitosi. Trattasi di apparato esplicativo
puntuale, coerente, privo di discrasie logiche e perciò del tutto idoneo a
superare lo scrutinio di legittimità.
4. Occorre osservare che i delitti di cui agli artt. 349, 635 e 434 cod. pen.
sono estinti per prescrizione. Dai rilievi in precedenza formulati si evince,
d’altronde, l’impossibilità di fare applicazione del disposto dell’art. 129 cpv.
cod. proc. pen. , non risultando evidente il ricorrere di una delle cause di non
punibilità di cui alla predetta norma, in considerazione delle ragioni espresse
4

richiesta, in modo da permettere al giudice ad quem di controllare la


nella motivazione

della decisione impugnata. Si impone, dunque, un

pronunciamento rescindente, al riguardo, con la conseguente necessità di
rinviare al giudice di merito per la rideterminazione della pena in ordine al
residuo reato di cui agli artt. 624-625 cod. pen.
5. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio limitatamente
ai reati di cui agli artt. 349, 635 e 434 cod. pen. per essere questi ultimi
estinti per prescrizione, con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro per la
rideterminazione della pena in ordine al residuo delitto di furto aggravato, di

PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui agli
artt. 349, 635 e 434 cod. pen. per essere i reati estinti per prescrizione e
rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro per la rideterminazione della pena in
ordine al residuo reato di furto aggravato, di cui al capo A). Rigetta nel resto
i ricorsi. Rigetta i ricorsi agli effetti civili.
Così deciso in Roma, il 1 0 – 2-2018.

cui al capo A). I ricorsi vanno rigettati nel resto, anche agli effetti civili.

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