Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22002 del 13/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 22002 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
c/
WANG LINGLI nato il 16/12/1984
JIQUAN LU nato il 29/12/1981
nel procedimento a carico di questi ultimi

avverso l’ordinanza del 26/06/2017 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;
le,tkOsentite le conclusioni del PG, dott. P. Canevelli, che ha concluso per
l’inammissibilita’ dei ricorsi;

Data Udienza: 13/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza 26.06.2017, il tribunale del riesame d Reggio Calabria rigettava
l’istanza di riesame proposta nell’interesse degli indagati avverso il decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca ex art. 321, co. 2, c.p.p. emesso dal
GIP/Tribunale di Palmi il 23.05.2017, avente ad oggetto le somme di denaro depositate su cc/cc o libretti di risparmio bancari/postali, intestati o cointestati ai

mento, di beni mobili registrati e di beni mobili a loro intestati, nonché di qualsiasi
altro bene o somma di denaro in contante, avente valore economico, nella loro
disponibilità, fino a concorrenza dell’importo di C 1.585.744,24, in relazione ai
reati tributari meglio descritti nelle modalità esecutive e spazio temporali nei capi
di imputazione cautelare (omesse dichiarazioni relative all’imposta sui redditi,
sull’IVA e sull’Irap relativamente all’anno di imposta 2011; dichiarazione infedele
quanto alle dichiarazioni relative all’imposta sui redditi e sull’IVA relativamente
all’anno di imposta 2013; dichiarazione infedele quanto alle dichiarazioni relative
all’imposta sui redditi e sull’IVA relativamente all’anno di imposta 2015; dichiarazione infedele quanto alle dichiarazioni relative all’imposta sui redditi e sull’IVA
relativamente all’anno di imposta 2016); giova precisare, per migliore intelligibilità
dell’impugnazione, che in sede di esecuzione del sequestro, in data 25.05.2017,
veniva eseguito il sequestro di alcuni rapporti finanziari, di due autovetture e di
denaro contante per 161.548,87 e, successivamente, in data 1.06.2017, veniva
disposto il sequestro della ditta individuale Wang Lingli con sede in Gioia Tauro,
esercente attività di “commercio al dettaglio di confezioni per adulti”.

2. Hanno proposto congiunto ricorso per cassazione i due indagati, a mezzo del
comune difensore di fiducia iscritto all’albo speciale ex art. 613, c.p.p., deducendo
due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deducono i ricorrenti, con il primo motivo, violazione di legge sotto il profilo
dell’erronea applicazione degli artt. 4, 5 e 12 bis, d. Igs. n. 74 del 2000 e 321,
322-ter, c.p.
Sostiene la difesa che, al di là della valenza indiziante di un “abborracciato manoscritto” reperito all’atto dell’accesso presso l’abitazione dell’indagata Wang, l’ordinanza impugnata sarebbe censurabile laddove ritiene configurabile il reato di
omessa dichiarazione ex art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000 per l’anno di imposta 2011,
laddove, si osserva, dagli esiti delle indagini sarebbe emerso che le annotazioni

predetti indagati, nonché di titoli, azioni, fondi e altri simili strumenti di investi-

dell’agenda erano riferibili alla ditta individuale Wang, solo successivamente al
21.11.2011, ciò che avrebbe dovuto indurre l’Ufficio del PM a non contestare il
reato in questione ammontando la sommatoria degli importi successivi a tale data
ad C 30.000 circa, con conseguente irrilevanza della condotta per non essere stata
superata la soglia di punibilità prevista dall’art. 5 citato e fissata in 50.000C.
Si contesta, poi, l’affermazione del tribunale secondo cui la difesa avrebbe erro-

ficazione del profitto del reato sottoposto a sequestro per equivalente; sostiene la
difesa che, a differenza di quanto affermato dal tribunale – che avrebbe attribuito
valenza certificativa assoluta della contestata evasione al predetto manoscritto,
senza alcun riscontro sull’attendibilità dei presunti ricavi sottratti all’imposizione , sarebbe emerso un errore eclatante nella ricostruzione dei ricavi e della conseguente imposta evasa quale profitto del reato, poiché i militari non avrebbero proceduto a depurare dai ricavi quantificati sulla scorta delle annotazioni di cui
all’agenda in questione, i ricavi regolarmente dichiarati negli anni di imposta dal
2015 al 2012, non essendo accettabile la giustificazione addotta dalla G.d.F. a
sostegno di tale metodologia ricostruttiva, ossia che nell’agenda, ritenuta contabilità parallela, la Wang annotasse solo i ricavi in nero; non potrebbe ontologicamente sostenersi, secondo la difesa, che nell’agenda la Wang annotasse solo i
ricavi in nero anziché quelli complessivamente ottenuti dalle vendite poste in essere, con la conseguenza che ciò inciderebbe sulla quantificazione dell’ammontare
dei ricavi che il tribunale avrebbe dovuto rideterminare anche ai fini del calcolo
dell’imposta evasa per procedere all’esatta individuazione del profitto.

2.2. Deducono i ricorrenti, con il secondo motivo, violazione di legge per l’erronea
applicazione dell’art. 12 bis, d. Igs. n. 74 del 2000 e degli artt. 321 e 322-ter,
c.p.p., in particolare nella parte in cui l’ordinanza ha validato l’anomalo provvedimento di gestione controllata della ditta individuale assumendo sul punto che
l’azienda, in quanto bene suscettibile di valutazione economica, potesse essere
sequestrata.
Si sostiene che detta affermazione sarebbe erronea ed illegittima, atteso che la
disposta gestione controllata dell’azienda, costituendo un provvedimento indirettamente finalizzato ad apprendere utilità future, fosse da considerarsi indirettamente finalizzato ad apprendere utilità future, dunque illegittimo non essendo consentito il sequestro per equivalente di beni futuri, quali incassi e quant’altro, non
presenti nel patrimonio dell’indagato al momento dell’adozione del sequestro; in
ogni caso, si osserva, il tribunale non avrebbe potuto confermare il sequestro che
prima quantificare il valore dell’azienda; infine, si segnala che, successivamente

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neamente ricostruito le imposte evase, in particolare con riferimento alla quanti-

al sequestro, l’amministratore giudiziario avrebbe proceduto ad inventariare
merce destinata alla rivendita, il cui valore risulta essere pari a circa 1.300.000,00
C sicché non vi sarebbe dubbio che il sequestro di quella merce, unitamente alle
somme di denaro e beni per circa 162mila euro, debba imporre l’annullamento del
provvedimento del tribunale.

3. Il congiunto ricorso è manifestamente infondato e proposto per motivi diversi
da quelli consentiti.

4. Ed invero, dalla stessa struttura ed articolazione dei motivi di ricorso è evidente
che le doglianze dei ricorrenti, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione
di legge sostanziale e processuale riferito agli artt. 321, 322-ter c.p.p. e 4, 5 e 12
bis, d. Igs. n. 74 del 2000, attingono il procedimento argomentativo con cui i giudici del riesame hanno ritenuto sussistere il fumus dei reati ipotizzati e la sussistenza delle condizioni per l’apprensione dei beni sottoposti a sequestro per equivalente. E’ sufficiente, a tal fine, richiamare le doglianze, più volte ripetute in ricorso, che attingono l’ordinanza impugnata contestandone il percorso argomentativo, in particolare laddove si censura, anzitutto, la valutazione operata dai giudici
del riesame circa la sussistenza del fumus del reato di cui all’art. 5, d. Igs. n. 74
del 2000 (primo motivo) relativamente all’anno di imposta 2011. Sul punto, è
sufficiente rilevare che dall’ordinanza impugnata è emerso che la ricostruzione dei
differenti ricavi e volume d’affari rispetto a quelli dichiarati era stato reso possibile
grazie al rinvenimento da parte della G.d.F. di due agende presso l’abitazione della
Wang, a seguito di perquisizione effettuata in data 20.11.2015 in relazione ad altro
procedimento a suo carico per contraffazione di marchio CE, agende contenenti la
contabilità “a nero” delle attività commerciali dell’indagata dal 2006 al 2011; gli
operanti avevano notato che le annotazioni antecedenti al 21.11.2011, data in cui
risulta iniziata formalmente l’attività della Wang, erano da ricondurre agli incassi
della ditta individuale del marito Lu Jiquan, come evincibile dagli appunti riportati
nell’agenda, ditta che era allocata negli stessi locali commerciali in cui opera attualmente la ditta dell’indagata; la presenza accanto ai misuratori fiscali, di misuratori non fiscali, metteva in luce come abitualmente solo una minima parte della
merce fosse venduta con l’emissione di regolare scontrino in una proporzione ritenuta ragionevolmente essere quella risultante tra i ricavi non dichiarati e quelli
annotati nelle agendine tenuto conto che al momento dell’accesso i misuratori non
fiscali avevano battuto circa il doppio degli scontrini battuti da quelli fiscali, cui si
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CONSIDERATO IN DIRITTO

aggiungeva il rinvenimento di una consistente cifra in denaro contante di cui l’indagata non aveva saputo giustificare la provenienza, denaro proveniente assai
verosimilmente da vendite “in nero”.

5. Con riferimento, in particolare, all’eccezione secondo cui dagli esiti delle indagini
sarebbe emerso che le annotazioni dell’agenda erano riferibili alla ditta individuale

cio del PM a non contestare il reato in questione ammontando la sommatoria degli
importi successivi a tale data ad C 30.000 circa, con conseguente irrilevanza della
condotta per non essere stata superata la soglia di punibilità prevista dall’art. 5
citato e fissata in 50.000C, è sufficiente rilevare che si tratta di censura in fatto e
comunque frutto di affermazione di cui non v’è traccia nell’ordinanza impugnata,
il cui esame presupporrebbe la possibilità da parte di questa Corte di accedere agli
atti del giudizio di merito e svolgere apprezzamenti di fatto comportanti un’operazione contabile, operazione inibita al Collegio in quanto esula dalla cognizione di
pura legittimità di questa Corte Suprema.

6. Venendo poi ad esaminare l’ulteriore eccezione di cui al primo motivo (secondo
cui sarebbe emerso un errore eclatante nella ricostruzione dei ricavi e della conseguente imposta evasa quale profitto del reato, poiché i militari non avrebbero
proceduto a depurare dai ricavi quantificati sulla scorta delle annotazioni di cui
all’agenda in questione, i ricavi regolarmente dichiarati negli anni di imposta dal
2015 al 2012, non essendo accettabile la giustificazione addotta dalla GdF a sostegno di tale metodologia ricostruttiva, ossia che nell’agenda, ritenuta contabilità
parallela, la Wang annotasse solo i ricavi in nero), ritiene il Collegio che la stessa
sia non solo generica per aspecificità ma anche manifestamente infondata.
Ed invero, è anzitutto generica per aspecificità in quanto non si confronta con le
argomentazioni svolte nella ordinanza impugnata che confuta in maniera puntuale
e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi le identiche doglianze
difensive svolte nei motivi di riesame (doglianze che, vengono, per così dire “replicate” in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità
critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità. Ed invero, è pacifico nella
giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le
stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che
risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le
tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
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Wang, solo successivamente al 21.11.2011, ciò che avrebbe dovuto indurre l’Uffi-

7. Le stesse doglianze inoltre sono da ritenersi manifestamente infondate, avendo
il tribunale del riesame chiarito come fosse inverosimile che nei ricavi annotati
nelle agende fossero ricompresi anche i ricavi dichiarati, dato che il sistema adottato, con l’installazione nei negozi di misuratori fiscali e non fiscali, suggeriva al
contrario la precisa tenuta di una doppia contabilità, una sola destinata ad essere
esibita in caso di controlli, compilate in maniera parallela e che non si sovrappon-

ciato vizio, atteso che i ricorrenti, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, in realtà attingono il procedimento argonnentativo con cui i giudici
del riesame hanno ritenuto sussistere il fumus del reato, risultando quindi la censura sollevata per motivi non consentiti dalla legge in quanto rivolti a contestare
in realtà un vizio di motivazione, come già anticipato, non censurabile, giusta il
chiaro disposto dell’art. 325, c.p.p.
A ciò deve, poi, essere aggiunto che quanto emergente dalle annotazioni di cui
alle agende sequestrate, qualificato come contabilità “in nero”, è senza alcun dubbio, soprattutto nella presente fase cautelare, idoneo per ritenere sussistente il

fumus dei reati ipotizzati. Non deve, infatti, essere dimenticato che, in tema di
accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento
indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti
dall’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dovendo riconnprendersi tra le
scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che
registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico
dell’attività svolta; ne consegue che detta “contabilità in nero”, per il suo valore
probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia
altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare
l’atto impositivo notificatogli (v., ad esempio, nella giurisprudenza civile: Sez. 5,
Sentenza n. 24051 del 16/11/2011, Rv. 620184 – 01).
Orbene, è pacifico che in materia di reati tributari, il giudice, nella formazione del
suo convincimento, è certamente tenuto all’osservanza dei canoni giuridici che in
linea generale governano l’acquisizione, la verifica e la valutazione dei dati probatori; e, perciò, in mancanza di elementi oggettivi, – documenti, deposizioni testimoniali ecc. – non può ignorare la cosiddetta prova logica e neppure le presunzioni
secondo la normativa tributaria, avvalendosi, in tal caso, dei dati ontologici, processualmente acquisiti, con una libera valutazione ai fini probatori anche sulla base

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gono tra loro. Trattasi, all’evidenza, di affermazione del tutto immune dal denun-

delle regole di esperienza, senza rimettersi alle valutazioni effettuate da parte degli uffici finanziari; ne deriva la possibilità di ricorso alla presunzione – intesa come
particolare disciplina probatoria che consente, per la ricostruzione di un maggior
reddito, di ritenere esistenti determinati fatti in via induttiva – quale accertamento
cosiddetto induttivo espressamente facoltizzato dall’art. 39 d.P.R. 29 settembre
1973, n. 600 in presenza di determinate violazioni di obblighi tributari: anche se,

del giudice penale, non può essa svolgere nel processo penale quella stessa funzione “cogente” del convincimento del giudicante che, invece, riveste nella valutazione del giudice tributario (Sez. 3, n. 1576 del 03/05/1995 – dep. 12/06/1995,
P.M. in proc. Spini, Rv. 202479). In tal senso, tuttavia, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie,
pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati
previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, hanno un valore indiziario sufficiente ad integrare il “fumus commissi delicti” idoneo, in assenza di elementi di segno contrario,
a giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale (v., tra le tante: Sez. 3,
n. 2006 del 02/10/2014 – dep. 16/01/2015, Scatena, Rv. 261928); e, nel caso di
specie, non possono certo essere considerati elementi di segno contrarie le labiali
affermazioni, aventi natura puramente congetturale ed ipotetica (già correttamente tacciata di inverosimiglianza da parte del tribunale del riesame), secondo
cui nei ricavi annotati nelle agende fossero ricompresi anche i ricavi dichiarati.

8. Parimenti esposto al giudizio di manifesta infondatezza è il secondo motivo.
Lo è, anzitutto, laddove si sostiene che l’azienda, in quanto bene suscettibile di
valutazione economica, non avrebbe potuto essere sequestrata. Ed invero, premessa la legittimità del sequestro per equivalente anche di un’azienda (v, tra le
tante: Sez. 1, n. 30790 del 30/05/2006 – dep. 18/09/2006, P.M. in proc. Pedercini
ed altro, Rv. 234886), atteso che è legittimo, in quanto “equivalente” del profitto,
il sequestro preventivo dell’azienda nella disponibilità dell’indagata, è ben vero che
– con riferimento all’eccezione secondo cui il sequestro non avrebbe potuto essere
confermato prima di quantificare il valore dell’azienda – che il valore dell’azienda
deve essere scomputato per differenza dal totale del profitto, rappresentato
dall’evasione d’imposta, ma è altrettanto vero che ciò richiede adempimenti estimatori che non spettano al tribunale del riesame, ma sono rimessi alla fase esecutiva della confisca (v., ad esempio, in un’ipotesi analoga relativa alla fattispecie
di cui all’art. 640 bis cod.pen: Sez. 1, n. 30790 del 30/05/2006 – dep. 18/09/2006,
P.M. in proc. Pedercini ed altro, Rv. 234886). Del tutto legittimo, dunque, è il
provvedimento confermativo del sequestro laddove sottolinea che è chiaramente
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ovviamente, dovendo essere oggetto di autonoma considerazione critica da parte

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in fase di esecuzione che il valore dell’azienda debba essere correttamente valutato al fine di verificare il superamento o meno della soglia, osservandosi nell’ordinanza impugnata come, allo stato, i beni sequestrati, esclusa l’azienda, hanno
un valore di gran lunga inferiore rispetto all’imposta evasa in contestazione, ciò
legittimando l’apposizione del vincolo cautelare su ulteriore beni nella disponibilità
degli indagati. A tal proposito, è lo stesso tribunale del riesame ad escludere di
poter peraltro procedere ad una valutazione del compendio aziendale sequestrato,

minimamente carico, con la conseguenza che eventuali eccedenze di valore
dell’azienda rispetto al disposto sequestro potranno essere oggetto di valutazione
in fase esecutiva.

9. Quanto, poi, all’ulteriore eccezione – secondo cui la disposta gestione controllata
dell’azienda, costituendo un provvedimento indirettamente finalizzato ad apprendere utilità future, fosse da considerarsi indirettamente finalizzato ad apprendere
utilità future, dunque illegittimo non essendo consentito il sequestro per equivalente di beni futuri, quali incassi e quant’altro, non presenti nel patrimonio dell’indagato al momento dell’adozione del sequestro -, la stessa si appalesa manifestamente infondata in quanto posta in via ipotetica, atteso che dall’impugnata ordinanza non risulta che siano state apprese quelle “utilità future”, intesi come incassi
et similia, conseguenti al sequestro dell’azienda della Wang, ma come, diversamente, il sequestro abbia interessato l’azienda in sé non prevedendo peraltro il
provvedimento del GIP (né avendone fatta menzione il tribunale del riesame),
l’estensione del sequestro per equivalente anche a tali “beni futuri”.
In ogni caso, deve peraltro essere sin d’ora chiarito che la natura sanzionatoria
del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del
reato non impedirebbe all’amministratore giudiziario dell’azienda sequestrata, nominato proprio per l’amministrazione dell’azienda sottoposta a vincolo, di percepire i frutti o le altre utilità future (Sez. 3, n. 37454 del 25/05/2017 – dep.
27/07/2017, Sardagna Ferrari, Rv. 271166).

10. Infine, quanto alla “segnalazione” inserita in ricorso – secondo cui, successivamente al sequestro, l’amministratore giudiziario avrebbe proceduto ad inventariare merce destinata alla rivendita, il cui valore risulta essere pari a circa
1.300.000,00 C sicché non vi sarebbe dubbio che il sequestro di quella merce,
unitamente alle somme di denaro e beni per circa 162mila euro, debba imporre
l’annullamento del provvedimento del tribunale – si tratta di fatto che, come evidenziano gli stessi ricorrenti, è successivo al sequestro e, pertanto, non potendo
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osservando come si tratti di operazione complessa e di cui la difesa si è fatta

essere oggetto di valutazione in questa sede di legittimità, dovrà essere eventualmente rappresentato all’A.G. competente in sede di merito per le opportune valutazioni al fine di vagliarne l’incidenza sul disposto sequestro.

11. Alla dichiarazione di inammissibilità di ciascun ricorso segue la condanna di
ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di

bilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore
della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in
favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 13 marzo 2018

Il Consiglie
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elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissi-

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