Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21989 del 27/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 21989 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ndiaye Ibrahima, nato in Gabon il 22/06/1990

avverso la sentenza del 8/07/2015 del Tribunale di Torino

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo che la sentenza
impugnata sia annullata con rinvio limitatamente alla disposta confisca dei
cellulari e del danaro.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Torino applicava a
Ndiaye Ibrahima, sull’accordo delle parti, la pena di mesi otto di reclusione in
relazione ai reati di detenzione illecita di gr. 10 di cocaina, di resistenza a
pubblico ufficiale e di lesioni personali aggravate, e ordinava la confisca e la

Data Udienza: 27/04/2016

distruzione della droga in sequestro, nonché la confisca di due cellulari e della
somma trovati in possesso dell’imputato.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione l’imputato,
denunciando motivi così sintetizzati ai sensi dell’art. 173, disp. att. cod. proc.
pen.:
– la mancanza di motivazione, in ordine all’applicabilità dell’art. 129 cod.
proc. pen. e all’entità della pena inflitta;

alla confisca dei telefoni mobili e del danaro, non trattandosi di confisca
obbligatoria e per la quale doveva essere dimostrato il nesso eziologico tra i detti
beni e i reati contestati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

2. Manifestamente infondato, oltre che generico, è il primo motivo.
L’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125,
comma terzo, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle
di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tuttavia, in tal caso, esso va
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento,
rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione
di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee
argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto
negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione.
Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di
cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica
motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la
pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (tra le tante, Sez. U, n.
10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202270).
Del pari, l’obbligo di motivazione in ordine all’entità della pena è ritenuto
assolto da parte del giudice quando egli dia atto di avere positivamente
effettuato la valutazione della correttezza della qualificazione giuridica del fatto,

2

– la violazione degli artt. 240 cod. pen. e 445 cod. proc. pen., in relazione

dell’applicazione e comparazione delle circostanze prospettate dalle parti e della
congruità della pena; risultando dal testo della gravata sentenza effettuata una
tale indagine, con esito positivo per la ratifica del patto, l’obbligo di motivazione
è stato dunque assolto (ex multis, Sez. 5, n. 489 del 25/01/2000, Cricchi, Rv.
215489).
Nel caso in esame, va rilevato che la sentenza impugnata contiene, nei
termini sopra indicati, l’attestazione di avvenuto controllo sui punti oggetto di
censura e che il ricorrente non ha neppure dedotto l’esistenza di situazioni

il legislatore ricollega proprio alla formulazione della richiesta di applicazione
della pena (Sez. 6, n. 250 del 30/12/2014, dep. 2015, Barzi, Rv. 261802).

2. Deve essere accolto invece il secondo motivo.
Secondo un consolidato insegnamento, nella sentenza ex art. 444 cod. proc.
pen., in caso di confisca facoltativa, il giudice deve motivare le ragioni per cui
ritiene di dover disporre la confisca di specifici beni sottoposti a sequestro,
ovvero, in subordine, quelle per cui non ritiene attendibili le giustificazioni
eventualmente addotte in ordine alla provenienza del denaro o dei beni confiscati
(tra le tante, Sez. 2, n. 6618 del 21/01/2014, Fiocco, Rv. 258275).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha disposto la confisca del danaro
in sequestro e dei due telefoni mobili senza alcuna motivazione, sull’erroneo
presupposto di una autosufficiente obbligatorietà della misura di sicurezza
patrimoniale («segue la confisca…»).

3. Alla luce delle considerazioni ora svolte, la sentenza impugnata deve
essere annullata limitatamente alla disposta confisca del danaro e dei due
telefoni mobili con rinvio al Tribunale di Torino per nuovo esame sul punto.
Restano ovviamente impregiudicate le restanti statuizioni di merito
dell’impugnata decisione, che – a seguito dell’odierna pronuncia di legittimità passano in cosa giudicata.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca del
denaro e dei telefoni mobili e rinvia per nuovo giudizio su tale capo al Tribunale
di ~. 7″.'”`’ Così deciso il 7/64/2016.

risultanti dagli atti tali da imporre di superare la presunzione di colpevolezza che

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