Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21978 del 26/02/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21978 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PORCO GIUSEPPE N. IL 31/07/1961
PORCO GIOVANNI N. IL 04/02/1970
avverso la sentenza n. 2005/2009 CORTE APPELLO di SALERNO, del
07/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 26/02/2014

R. G. 29528 / 2013

L’indicata sentenza della Corte di Appello di Salerno ha confermato la decisione dl locale
Tribunale con cui Giuseppe Porco e Giovanni Porco sono stati condannati, con le attenuanti generiche
stimate equivalenti alle aggravanti del numero superiore a tre degli agenti e dell’attività illecita
commessa anche nei pressi di una scuola, alla pena di sei anni di reclusione ciascuno per il reato di
concorso in acquisto, detenzione, offerta in vendita e vendita continuati di stupefacente del tipo eroina,
commesso in un esteso arco temporale di un anno dal dicembre 1997 al novembre 1998 (attuando, come
si afferma nella sentenza, una sorta di “associazione estemporanea di mutua assistenza tra più
tossicodipendenti nel microspaccio di stupefacenti”). La Corte territoriale, accogliendo un motivo di
gravame dell’imputato, ha unicamente mitigato il trattamento sanzionatorio applicato a Giuseppe Porco,
riconoscendo la continuazione della sua condotta criminosa con gli omologhi reati oggetto di anteriore
sentenza irrevocabile di condanna e fissando la globale pena in nove anni di reclusione.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso i due imputati.
Giuseppe Porco lamenta l’omessa motivazione sul motivo di appello concernente l’impiego di
impianti di ascolto esterni alla Procura della Repubblica, i relativi decreti autorizzativi non indicando le
eccezionali ragioni di urgenza legittimanti la procedura. Giovanni Porco si duole della irrituale notifica
del decreto dispositivo del giudizio eseguita a mani del fratello convivente (e maggiorenne) Rosario
affetto da epilessia e invalidità e, in subordine, del difetto di motivazione sulla sua posizione.
I motivi di ricorso, del tutto aspecifici in quanto replicanti le stesse censure enunciate con gli atti
di appello avverso la decisione di primo grado e -per ciò- avulsi da qualsiasi reale lettura critica
dell’impugnata sentenza di appello, si rivelano in ogni caso palesemente privi di fondamento. La Corte
territoriale ha adeguatamente motivato, infatti, sia l’infondatezza dei rilievi concernenti la ritualità e
legittimità esecutive delle prolungate captazioni foniche eseguite in corso di indagini (né il ricorrente
Giuseppe Porco adduce evenienze o prove atte a smentire l’assunto della sentenza impugnata) sia
l’incongruenza dell’assunto dell’irregolare vocatio in iudicium di Giovanni Porco. Affatto corretto, in
vero, è il giudizio sulla regolarità della notificazione del decreto dispositivo del giudizio, atteso che lo
stato di capacità d’intendere e volere del familiare che riceve l’atto si presume fino a prova contraria:
l’indicazione di capacità nella relazione dell’ufficiale giudiziario prescinde da un accertamento specifico
e deve solo conformarsi al dettato dell’art. 157 co. 4 c.p.p., che vieta la consegna di copia dell’atto a
persona che versi in stato di “manifesta incapacità” (Sez. 6, 2.5.2001 n. 22651, Sodano, rv. 219008;
Sez. 2, 13.12.2005 n. 2597/06, Di Virgilio, rv. 233329). La posizione del ricorrente Giovanni Porco è
espressamente vagliata dai giudici di appello nel corpo della sentenza impugnata (pp. 4, 5, 7).
Nessuna incidenza va riconosciuta alla sentenza n. 32/2014 (non ancora efficace ex artt. 136
Cost. e 30 L. 87/1953) con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali le norme della legge
49/2006 modificative della disciplina penale degli stupefacenti, così ripristinando il previgente regime
sanzionatorio, atteso che per i fatti loro ascritti (lungi dall’essere attinti da prescrizione al momento della
pronuncia di appello) agli imputati è stata applicata la più favorevole sanzione prevista dall’art. 73 L.S.
come modificato dalla L. 49/2006 (pena base minima di sei anni di reclusione per le droghe “pesanti”
rispetto agli otto anni previsti dalla norma “ripristinata” dal giudice delle leggi; cfr. sentenza impugnata:
“ai sensi dell’art. 2 c.p. [è] certamente più favorevole la nuova disciplina in materia di stupefacenti per
la previsione di un minimo edittale più basso rispetto alla normativa precedente”).
All’inammissibilità delle impugnazioni segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo determinare nella
misura di euro 1.000,00 (mille) pro capite.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro mille ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Roma, 26 febbraio 2/114

Fatto e diritto

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