Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21976 del 17/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21976 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano
nei confronti di
Lillia Domenico, nato a Musso il 16-01-1941
avverso la sentenza del 04-06-2015 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Aldo Policastro che ha concluso
per l’annullamento con rinvio;
Udito per l’imputato gli avvocati Claudio Rea e Paolo Camporini che hanno
concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso del P.G.;

Data Udienza: 17/03/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore generale presso la corte di appello di Milano ricorre per
cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte
d’appello di Milano ha confermato quella emessa dal tribunale di Como con la
quale, per quanto qui interessa, Domenico Lillia è stato assolto perché il fatto
non costituisce reato dall’imputazione a lui ascritta al capo c) della rubrica in
relazione alla quale veniva addebitato all’imputato il reato previsto dagli articoli

relazione all’articolo 44, comma 1, lettera c), d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380
perché, nella sua qualità di legale rappresentante del cantiere nautico Lillia s.r.I.,
sul terreno sito nel comune di Pianello del Lario, in assenza dei provvedimenti
autorizzativi legittimi ed in contrasto con l’articolo 338 del regio decreto n. 1265
del 1934, con la legge regionale n. 22 del 2003 e con l’articolo 8 del regolamento
della regione Lombardia 9 novembre 2004, n. 6, ampliava il fabbricato
produttivo ove si svolgeva l’attività del cantiere nautico, in quanto l’area nella
quale erano stati realizzati i lavori era soggetta a vincolo ambientale ai sensi
dell’articolo 142 del decreto legislativo n. 42 del 2004 nonché ai sensi
dell’articolo 136 dello stesso decreto in relazione al decreto ministeriale 16
agosto 1955 ed in fascia di rispetto cimiteriale ai sensi dell’articolo 338 del regio
decreto n. 1265 del 1934. In Pianello del Lario fino al 25 marzo 2011.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, il ricorrente articola un unico
complesso motivo di impugnazione, qui enunciato, ai sensi dell’articolo 173
disposizione di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente
necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente deduce la manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura
penale) nella parte in cui – dopo aver evidenziato come in nessun caso,
contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, l’articolo 28 della legge n. 166
del 2002 avesse inteso consentire edificazioni all’interno della fascia di rispetto
cimiteriale dei 50 metri – mancherebbe, nel caso di specie, la prova dell’elemento
soggettivo per “le prime difficoltà di interpretazione” del novellato articolo 338
del testo unico delle leggi sanitarie.
Osserva il ricorrente come la sentenza impugnata sia partita dall’assunto
fattuale del tutto pacifico, e neppure contestato dall’imputato, secondo il quale
l’ampliamento contestato fosse ubicato ad una distanza di 5 metri dal cimitero.
Sostiene il ricorrente come la stessa sentenza impugnata, in modo del tutto
corretto, abbia osservato che, nel caso di specie, non avesse alcun rilievo la
questione del concreto interesse pubblico (che si porrebbe in caso di edificazione

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81, comma 1, codice penale e 181 decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in

tra i 200 e i 50 metri) “posto che Li//la ha realizzato il manufatto all’interno dei
50 m, cioè in una zona nella quale opera un vincolo assoluto di inedificabilità non
derogabile”.
Si duole pertanto il ricorrente che, con vizio di illogicità manifesta, la Corte
d’appello, dopo aver illustrato le suddette premesse interpretative della novella
introdotta dall’articolo 28 della legge n. 166 del 2002, che smentiscono in modo
clamoroso le soluzioni adottate dalla sentenza del tribunale, abbia tratto una
conclusione viziata da assoluta incoerenza tra premesse e conclusioni.

della novella introdotta dall’articolo 28 della legge n. 166 del 2002 in conformità
alla tesi accusatoria e, dunque, diametralmente opposta a quella sostenuta dalla
sentenza di assoluzione del tribunale di Como.
In secondo luogo, la sentenza impugnata ha riconosciuto che lo svolgimento
del complesso iter amministrativo, che aveva portato all’ampliamento
dell’originaria costruzione in zona di vincolo assoluto di inedificabilità, costituisce
indice non equivoco dell’intervento dei funzionari del Comune di Pianello del
Lario, caratterizzato dalla circostanza di essere volto unicamente ad adeguarsi
alle richieste dell’imputato, e cioè finalizzato a trovare soluzioni idonee a
consentire il richiesto ampliamento, superando le difficoltà interpretative della
riforma del 2002 sui vincoli cimiteriali.
Ciò posto, ne consegue che sarebbe allora illogico e contraddittorio il
passaggio conclusivo della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che
“l’adeguarsi dell’intero iter amministrativo alle richieste dell’imputato (…) non
dimostra ex se la volontà collusiva tra la pubblica amministrazione” ed il privato
in relazione alle “prime difficoltà” di interpretazione della novella di cui all’articolo
338 del regio decreto n. 1265 del 1934, atteso che la sentenza del tribunale
dava atto in modo certo della circostanza per la quale in realtà non apparivano
sussistere fin dall’entrata in vigore della riforma del 2002 le cosiddette

“prime

difficoltà” interpretative, sicché la conclusione cui doveva raggiungere in modo
coerente e logico la sentenza impugnata non poteva che essere quella di una
riforma della pronuncia assolutoria, in quanto le modalità di svolgimento dell’iter
amministrativo, alimentato dalle richieste dell’imputato, e le tappe seguite dai
funzionari del comune interessato, dimostravano la sussistenza dell’elemento
soggettivo in capo all’imputato stesso, in considerazione dell’intesa tra il privato
istante e la pubblica amministrazione, ricavabile dalle modalità di tempo e di
luogo dell’iter seguito in concreto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
3

Infatti, in primo luogo, la sentenza impugnata ha adottato un’interpretazione

2. La Corte territoriale, nel riportare in sintesi lo svolgimento dell’iter
amministrativo che ha condotto all’ampliamento dell’originaria costruzione in
zona di vincolo assoluto di inedificabilità, ha precisato che, nel settembre del
2003, l’imputato chiese ed ottenne dal Comune di Pianello del Lario un parere
preventivo , con riferimento alla realizzazione del nuovo manufatto interrato, che
subordinava detta realizzazione al preventivo parere favorevole dell’As1 presso la
provincia di Como, parere, quest’ultimo, che venne rilasciato in senso favorevole
con nota del 3 dicembre 2003. A questo punto, il Comune di Pianello avviò il

disposto dell’articolo 28 della legge n. 166 del 2002 in materia di aree soggette a
vincolo cimiteriale) e, con delibera consiliare n. 2 del 21 gennaio 2005,
approvata il 20 maggio 2005, adottò ed approvò la variante al piano regolatore
generale relativa all’articolo 24 delle norme tecniche di attuazione.
Successivamente, con delibera consiliare n. 30 del 27 luglio 2006, venne
approvato lo schema di convenzione per la realizzazione di un magazzino
interrato con sovrastante parcheggio pubblico, a cui faceva seguito il relativo
atto convenzionale. In data 8 settembre 2006 venne rilasciato il permesso di
costruire n. 59 del 2005, per la costruzione di un nuovo magazzino interrato
ammesso al cantiere nautico esistente, visti il decreto di autorizzazione
paesaggistica n. 1 del 3 gennaio 2006 e le note Asl del 3 dicembre 2003 e del 27
aprile 2006.
Tanto precisato, la Corte d’appello ha affermato che tutta la documentazione
confluita nel fascicolo per il dibattimento rende certo, trattandosi di questione
pacifica e non controversa, che l’ampliamento di cui si discute fosse ubicato, in
aderenza rispetto al primo corpo di fabbrica già esistente e in direzione del
Campo Santo, ad una distanza di 5 metri dal cimitero, per cui il problema
fondamentale di individuare il limite della fascia di rispetto tra il cimitero e di
centri abitati è stato diversamente risolto dal tribunale e dall’accusa che hanno
prospettato soluzioni contrastanti sulla base di una differente interpretazione
dell’articolo 338 del testo unico sulle leggi sanitarie vigente.
Secondo l’accusa il limite inderogabile sarebbe rappresentato dalla distanza
di 50 metri, mentre il tribunale ha invece ritenuto che tale limite potesse essere
ulteriormente ridotto, ruotando il contrasto intorno all’interpretazione dei commi
3 e 4 dell’articolo 338 del testo unico, così come modificato dalla legge 1 agosto
2002, n. 166 “disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti”.
La Corte distrettuale, come ha più volte sottolineato il ricorrente, ha optato
per la tesi sostenuta dall’accusa nel senso che in nessun caso l’articolo 28 della
legge 166 del 2002 ha consentito edificazioni all’interno della fascia di rispetto
dei 50 metri.

procedimento di variante al proprio strumento urbanistico (con riferimento al

Tuttavia, la Corte d’appello ha sottolineato come l’imputato avesse eseguito
i lavori facendo incolpevole affidamento sugli atti della Pubblica Amministrazione
secondo l’iter che è stato in precedenza riassunto, iter che, secondo la
prospettazione del ricorrente, sarebbe invece dimostrativo del fatto che tra il
privato e la pubblica amministrazione fosse stato instaurato un patto collusivo
evincibile dalla considerazione che tutte le richieste del primo sarebbero state
assecondate dall’ente pubblico.
Tale rilievo è stato stimato dalla Corte distrettuale come del tutto

dell’imputato non dimostrerebbe ex se la volontà collusiva tra la pubblica
amministrazione ed il privato istante, in quanto la ricostruzione operata nella
sentenza del tribunale di un affidamento incolpevole da parte dell’imputato è
apparsa confortata proprio dalle iniziali difficoltà interpretative scaturite dalla
novella dell’articolo 338 del testo unico sulle leggi sanitarie, difficoltà
interpretative evidenziate anche dal teste Castelli, consulente esterno del
Comune di Pianello del Lario, la cui deposizione è stata riportata, in parte qua,
nella sentenza impugnata (… nel frattempo era appena uscita la 166 del 2002,
che all’articolo 28 disciplina e apre qualche spiraglio di edificabilità all’interno dei
vincoli cimiteriali, cosa che invece prima di quella legge il vincolo cimiteriale era
assolutamente tassativamente non edificabile. Quindi anche in quel contesto
l’amministrazione comunale, anche con l’intento di favorire un’attività lavorativa,
diede la disponibilità a prendere in considerazione questa variante al piano
regolatore, cosa che è stata fatta. Il consiglio comunale l’ha approvata, è stato
presentato il permesso di costruire, che è stato approvato”).
Rispetto a tale approdo – che, in quanto adeguatamente e logicamente
motivato si sottrae al sindacato di legittimità – il ricorrente non ha preso alcuna
specifica posizione limitandosi ad affermare che il rilascio di provvedimenti
illegittimi comprovasse di per sé la collusione tra il privato della pubblica
amministrazione ricavabile dalle modalità di tempo e di luogo (modalità
affermate ma del tutto non esplicitate nel ricorso) dell’iter seguito in concreto,
senza peraltro che, in tesi accusatoria, l’ipotesi della collusione sia stata
geneticamente concepita essendo emersa e sviluppata solo con i motivi
d’appello.
Si tratta comunque di una impostazione infondata perché, se è vero che lo
svolgimento dell’iter amministrativo può costituire un indice dal quale poter
trarre la prova della collusione tra il privato e i pubblici funzionari agenti, non è
sufficiente la mera coincidenza tra la richiesta dell’extraneus e il provvedimento
adottato dall’intraneus per dimostrare l’esistenza di una collusione tra essi,
innescandosi in tal modo un automatismo che collide con le regole fondamentali
declinate dalla grammatica probatoria in materia penale, le quali esigono che

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inconsistente perché l’adeguarsi dell’intero iter amministrativo alle richieste

l’imputazione dell’evento, dal quale possa scaturire un’ipotesi di responsabilità
penale, sia attribuita ad un soggetto solo quando si possa affermare che l’evento
gli sia accollabile sulla base di un alto grado di credibilità razionale per essere
stata conseguita la certezza processuale di detta imputazione al di là di ogni
ragionevole dubbio.
Va chiarito che l’affidamento incolpevole è escluso sia quando è possibile
muovere al privato un rimprovero per difetto di diligenza da osservare per
munirsi dei titoli necessari per la realizzazione di un’opera, sia dai casi di

ritenere l’autorizzazione sostanzialmente mancante, e sia nei casi di collusione
tra privato e pubblica amministrazione.
Ciò posto – affinché sia dimostrata quest’ultima ipotesi, sulla quale
esclusivamente fonda la doglianza del ricorrente, e dunque l’illiceità dell’atto
anch’esso equiparabile alla mancanza – è necessario considerare l’intero contesto
fattuale di riferimento, anche comprensivo dell’iter amministrativo seguito, i
rapporti personali tra i soggetti (nel caso di specie neppure accertati), ovvero
altri dati di contorno, i quali dimostrino che la domanda del privato sia stata
preceduta, accompagnata o seguita dall’accordo con il pubblico ufficiale, se non
da pressioni dirette a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell’atto illegittimo
(Sez. 6, n. 33760 del 23/06/2015, Lo Monaco, Rv. 264460), con la conseguenza
che la mera sovrapposizione tra atto illegittimo e collusione disarticola tutti i
criteri di garanzia, costituzionalmente presidiati (art. 27, comma 1, Cost.), in
tema di imputazione soggettiva dell’evento.
Più chiaramente, quanto al caso in esame, i numerosi atti autorizzativi
intervenuti (di portata generale e particolare) susseguitisi negli anni, adottati da
enti ed autorità pubbliche di varia natura (Consiglio comunale, Giunta
municipale, Sindaco, Ufficio tecnico amministrativo del Comune, Asl e
Commissione paesaggistica) hanno determinato (in considerazione di una
difficoltà interpretativa della cui mancata ed esatta soluzione può farsi carico ex
post alla pubblica amministrazione e non certo al richiedente) un affidamento

incolpevole del privato diretto ad escludere, come hanno correttamente ritenuto i
giudici del merito, la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ipotizzato,
risultando evidente che, in presenza di atti amministrativi illegittimi, spetta poi
alla pubblica amministrazione di ritirali in sede di autotutela, quando gli stessi
non vengano annullati in sede di giurisdizione amministrativa, e competendo al
privato che abbia incolpevolmente confidato nella legittimità dei provvedimenti
amministrativi poi revocati o annullati di azionare, in termini sia di danno
emergente che di lucro cessante, gli strumenti per la tutela risarcitoria.

3. Da ciò consegue il rigetto del ricorso del Procuratore generale.
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illegittimità macrocospica del provvedimento che l’autorizza, tale da potersi

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore generale.

Così deciso il 17/03/2016

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