Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21975 del 17/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21975 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da
Taddei Antonello, nato a L’Aquila il 09-04-1981
Taddei Valerio, nato a L’Aquila il 09-04-1981
avverso la sentenza del 26-06-2015 della Corte d’appello dell’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Aldo Policastro che ha concluso
per l’inammissibilità dei ricorsi;
Udito per i ricorrenti gli avvocati Vincenzo Calderoni e Riccardo Lopardi che
hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi;

Data Udienza: 17/03/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Antonello Taddei e Valerio Taddei ricorrono per cassazione impugnando la
sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte d’appello dell’Aquila ha
confermato quella emessa dal tribunale dell’Aquila che aveva condannato gli
imputati alla pena di anni uno di arresto ed euro 40.000 di ammenda ciascuno
per il reato di cui al capo b), in esso assorbito il reato contestato al capo a).
Con quest’ultima imputazione si contestava ai ricorrenti il reato previsto

rendevano responsabili della mancata conformità delle opere alla normativa
urbanistica (il regolamento edilizio post terremoto approvato con delibera di
giunta n. 41 del 4 giugno 2009 del Comune di Barisciano), costruendo tre grosse
case in cemento armato, in zona agricola, completamente difformi dal
regolamento edilizio e senza avere gli obbligatori requisiti richiesti, mentre si
contestava, con il reato di cui al capo b), la contravvenzione prevista dagli
articoli 110 cod. pen. e 30-44 d.p.r. n. 380 del 2001 perché, in concorso tra loro,
ben consapevoli di essere in possesso di una “presa d’atto” illegittima,
lottizzavano una vasta area ricadente su zona agricola del piano regolatore
generale del Comune di Barisciano, frazione Picenze, su cui si stavano
realizzando tre grandi manufatti in cemento armato che sarebbero stati adibiti a
civile abitazione. Accertato in Barisciano, frazione Picenze, dal 3 al 22 settembre
2010.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, i ricorrenti articolano, tramite
il comune difensore, sei motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi
dell’articolo 173 disposizione di attuazione al cod. proc. pen. , nei limiti
strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione di legge
processuale in relazione alla inutilizzabilità della documentazione urbanistica
acquisita agli atti per erronea e falsa applicazione degli articoli 253 e 431 cod.
proc. pen. (articolo 606, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.).
Sostengono che il primo giudice ha erroneamente affermato di poter
utilizzare la documentazione acquisita ai sensi dell’articolo 253 cod. proc. pen. in
quanto corpo di reato, affermazione erronea giacché, per acquisire il corpo del
reato con il procedimento ex articolo 253 cod. proc. pen., dovrebbe risultare in
atti un decreto di sequestro del corpo del reato, decreto che mai è stato emesso.
La Corte territoriale, consapevole di ciò, ha egualmente sostenuto l’utilizzabilità
della documentazione irritualmente acquisita agli atti, riferendosi all’ordinanza
resa all’udienza del 21 ottobre 2013 allorché vennero effettuare dal pubblico
ministero produzioni documentali ulteriori.

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dagli articoli 110 cod. pen. e 29-44 d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 perché si

Tuttavia anche tale assunto non avrebbe alcun fondamento in quanto la
documentazione depositata dal Pubblico ministero in udienza aveva ad oggetto
documenti diversi da quelli de quibus, con la conseguenza che i giudici del merito
hanno utilizzato documenti irritualmente acquisiti e che non potevano essere
posti a base delle sentenze che sono state pronunciate.
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono falsa applicazione della
legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. ) sul rilievo
dell’inesistenza dei presupposti soggettivi richiesti dalle norme incriminatrici

richiesta per l’integrazione delle fattispecie incriminatrici, non essendo essi né
proprietari e né costruttori. La Corte territoriale ha affermato che i ricorrenti
erano i committenti delle opere ma per essere tali occorreva la stipula di un
contratto di appalto e nel processo non vi è traccia di tale documento.
2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge in
relazione all’errore di diritto su norma diversa da quella penale e difetto di
motivazione su punti decisivi per il giudizio (articolo 606, comma 1, lettere b) ed
e), cod. proc. pen. ).
Rilevano che l’emergenza post sisma è stata regolata da un complesso di
norme emanate in deroga rispetto a quelle ordinarie, predisposte in fretta e con
poca chiarezza, norme che sono state spesso modificate in corso d’opera.
Convincimento degli imputati era infatti che la “presa d’atto” non legittimava
alcuna opera destinata a insistere stabilmente sul territorio, potendo permanere
le opere solo sino al 31 dicembre 2010, dopo di che avrebbero dovuto ipso facto
e ipso iure essere eliminate.
2.4. Con il quarto motivo deducono violazione e falsa applicazione degli
articoli 29 e 44 d.p.r. 380 del 2001, nonché di ogni altra normativa in materia e
difetto e contraddittorietà della motivazione su punti decisivi per il giudizio
(articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen. ).
Osservano che, come ampiamente dedotto nel corso dei giudizi di merito, il
reato ritenuto in sentenza non era configurabile poiché una costruzione precaria
– in quanto destinata, per espressa previsione della normativa regolamentare, ad
essere demolita in breve tempo – non poteva, in alcun caso, dare luogo a
“un’apprezzabile modificazione urbanistica non consentita, per come, di contro, è
stato ritenuto nella sentenza impugnata. Infatti, in virtù della “presa d’atto”, il
fabbricato realizzato poteva permanere fino al 31 dicembre 2010 ossia sino alla
fine dello stato di emergenza, alla scadenza della quale i manufatti avrebbero
dovuto essere rimossi salva la possibilità per i proprietari di chiedere la sanatoria
in caso di conformità ai parametri edilizi ed urbanistici previsti per la zona
interessata.

contestate posto che i ricorrenti non possedevano la qualifica giuridica soggettiva

2.5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 29
e 44 d.p.r. 380 del 2001, nonché dell’articolo 18 legge n. 75 del 1985 e
contraddittorietà della motivazione su punti decisivi per il giudizio (articolo 606,
comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen. ), sul rilievo che la realizzazione di un
singolo immobile era inidoneo ad integrare l’ipotesi di lottizzazione.
2.6. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa
applicazione dell’articolo 31, ultimo comma, d.p.r. 380 del 2001 nonché la
violazione e la falsa applicazione dell’articolo 165 cod. pen. in materia di

proc. pen.), sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe omesso qualsiasi
motivazione in ordine alla statuizione di subordinare la sospensione condizionale
della pena alla demolizione delle opere abusive.

3. Con atto depositato in data 17 agosto 2015 (per l’udienza del 27 agosto
2015), l’avv. Vincenzo Calderoni, per i ricorrenti e per Danilo Taddei (nei cui
confronti non è stata pronunciata la sentenza impugnata), ha proposto motivi
nuovi premettendo che contro la sentenza emessa dalla Corte di appello
dell’Aquila avevano proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati nonostante
Danilo Taddei non avesse proposto tempestivamente appello avverso la sentenza
di primo grado per fatti indipendenti dalla sua volontà e derivanti da caso
fortuito. Si osserva che, per ottenere la restituzione in termini dell’imputato non
appellante, il difensore aveva rivolto la Corte territoriale, ai sensi dell’articolo 175
cod. proc. pen., la richiesta di restituzione nel termine che era stata rigettata con
ordinanza notificata al difensore in data 16 giugno 2015, avverso la quale era
stato proposto tempestivo ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 175,
comma 6, cod. proc. pen. Tuttavia l’imputato non appellante avrebbe
ugualmente proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte
d’appello sollevando, al pari degli altri ricorrenti, i motivi nuovi caratterizzati da
un innegabile interesse alla legittimità e regolarità del processo, i cui esiti
sarebbero suscettibili di provocare ripercussioni anche sulla sua posizione
processuale, posto che l’eventuale riforma della sentenza di condanna nei
confronti dei coimputati, purché basata su motivazioni non strettamente
personali, produrrebbe effetti positivi anche con riferimento alla sua posizione
processuale sulla base dell’effetto estensivo della pronuncia favorevole. Da ciò si
deduce l’esistenza di un autonomo diritto dell’imputato non appellante a ricorrere
per cassazione a presidio dell’effetto estensivo della sentenza, tanto più che nei
confronti dell’imputato non appellante non è stata emessa alcuna declaratoria di
inammissibilità dell’appello atteso che l’impugnazione non è stata ancora
proposto, avendo egli richiesto di essere restituito nel termine, con la
conseguenza che sia che venga restituito nel termine per proporre
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sospensione condizionale della pena (articolo 606, comma 1, lettera b), cod.

l’impugnazione, sia che gli venga negata tale facoltà, conserverebbe, quale
l’imputato non appellante, intatto il suo interesse alla regolarità formale del
processo, il cui esito positivo avrebbe, come in precedenza sottolineato, dirette
ripercussioni anche nella sua sfera giuridica.
A seguito di tale premessa, Danilo Taddei, con i motivi nuovi, denuncia, con
un primo motivo, la violazione dell’articolo 601, comma 5, cod. proc. pen.per
omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio dinanzi alla corte d’appello
ai difensori e la conseguente nullità della sentenza impugnata, sul rilievo che il

non appellante ai sensi e per gli effetti dell’articolo 601, comma 1, cod. proc.
pen.. Tuttavia l’imputato, nel corso del primo grado di giudizio, era assistito da
due difensori che non hanno ricevuto la notifica dell’avviso della data fissata per
l’udienza, laddove l’imputato non appellante è stato assistito, nel corso del
processo di appello, da un terzo difensore di fiducia e la cui nomina doveva
ritenersi inefficace per mancata revoca di uno dei difensori in esubero cosicché la
Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare l’inefficacia della nomina e rilevare che
non era stata assicurata all’imputato la difesa tecnica sicché il mancato
espletamento di tali attività avrebbe determinato una nullità di ordine generale
che affligge anche la sentenza impugnata.
Con un secondo motivo nuovo si lamenta la carenza assoluta di motivazione
in riferimento alla nuova prospettiva determinata dal passaggio in giudicato della
assoluzione degli imputati in riferimento alla reato di abuso d’ufficio, di cui al
capo C) dell’imputazione.
Si assume che la Corte d’appello avrebbe aggiunto al capo di imputazione
rubricato sub C) la dicitura “non impugnato”, indicando con tale locuzione il
passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado con la quale era
stata invece pronunciato l’assoluzione di tutti gli imputati in riferimento al reato
di abuso d’ufficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati nei limiti e sulla base delle considerazioni che
seguono.

2. Deve tuttavia essere preliminarmente delimitata la portata soggettiva
dell’impugnazione, alla quale deve ritenersi del tutto estranea la posizione di
Danilo Taddei.
Sebbene, nell’epigrafe del ricorso per cassazione, quest’ultimo risulta
formalmente indicato come ricorrente avverso la sentenza emessa dalla corte
d’Appello dell’Aquila in data 26 giugno 2015, va rilevato, in primo luogo, come la

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Presidente della corte d’appello dell’Aquila ha ordinato la citazione dell’imputato

sentenza impugnata non sia stata emessa nei suoi confronti (ma soltanto con
riferimento ai coimputati Antonello Taddei e Valerio Taddei); in secondo luogo,
che il ricorso per cassazione non risulta sottoscritto da Danilo Taddei (ma
unicamente dai coimputati Antonello Taddei e Valerio Taddei), con ciò dovendosi
escludere la presentazione personale del gravame; in terzo luogo, che la
sottoscrizione del ricorso per cassazione da parte degli avvocati Vincenzo
Calderoni e Riccardo Lopardi, pure in presenza di una conclamata inammissibilità
per non essere l’imputato parte del giudizio d’appello, non equivale, in mancanza

ricorso), a presentazione del gravame da parte dei difensori.
Ancora più radicalmente, la mancata proposizione del ricorso per
cassazione, comunque inammissibile, da parte e nell’interesse di Danilo Taddei
rende inammissibili i motivi nuovi, comunque presentati fuori termine.
Va peraltro ricordato che l’art. 587, comma 1, cod. proc. pen., consente al
coimputato non impugnante (o che abbia proposto impugnazione inammissibile)
di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato,
giovandosi della impugnazione di quest’ultimo, ma non attribuisce all’imputato
non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per cassazione, nella
ipotesi di mancato accoglimento, come nella specie, dei motivi presentati
dall’imputato ritualmente appellante; invero, l’effetto estensivo della
impugnazione tende semplicemente ad assicurare la par condicio degli imputati
che si trovino in situazioni identiche, ma non determina una riammissione nei
termini prescritti per la impugnazione (Sez. 5, n. 191 del 19/10/2000, dep.
2001, Mattioli, Rv. 218068).
Ciò preclude all’imputato non appellante di eccepire vizi che derivino da un
difetto di citazione dello stesso o dei suoi difensori giacché la citazione del non
appellante (o dei suoi difensori) non può ritenersi richiesta a pena di nullità in
quanto non pregiudica il dispiegarsi degli effetti estensivi dell’impugnazione i
quali – operando come rimedio straordinario per evitare difformità di giudicati e
verificandosi nonostante la formazione del giudicato – possono sempre essere
fatti valere in sede esecutiva e devono essere riconosciuti con pronuncia
autonoma introdotta con ricorso al giudice dell’esecuzione (Sez. 2, n. 9022 del
26/03/1997, Passalacqua, Rv. 208743). Più chiaramente, si è detto che, qualora
il giudice d’appello, pur sussistendone i presupposti, non abbia citato i coimputati
non impugnanti e non abbia pertanto esteso a tali soggetti gli effetti favorevoli
del gravame, ai sensi dell’art. 587 cod. proc. pen., il giudice dell’esecuzione,
ovviando all’omissione e alla parziale invalidità della sentenza, può rivedere la
condanna, eliminandola o ridimensionandola sulla scorta del citato effetto
estensivo della più favorevole decisione eventualmente assunta (tra le altre, Sez.
6, n. 16509 del 21/01/2010, Di Maggio, Rv. 246654).
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di nomina (neppure rilasciata, a differenza degli altri coimputati, in calce al

Ne consegue che Danilo Taddei non è parte del presente giudizio; che
comunque non ha proposto personalmente o tramite il difensore ricorso per
cassazione; che l’impugnazione sarebbe in ogni caso inammissibile mancando la
qualità di parte; che la medesima sorte deve essere assegnata ai motivi nuovi, il
cui esame è pertanto precluso nel presente giudizio di legittimità.

3. Possono essere quindi esaminati i motivi proposti da Antonello Taddei e
Valerio Taddei.

processuale del corpo del reato sarebbe possibile solo in presenza di un previo
provvedimento di sequestro, nella specie mancante – è priva di giuridico
fondamento.
Per rendersene conto è sufficiente considerare che lo scopo del sequestro è
soltanto quello di assicurare, attraverso l’imposizione di un vincolo, l’acquisizione
della cosa al processo per fini di prova (sequestro probatorio) o di sottrarre la
cosa alla disponibilità di chi la detenga in considerazione delle finalità preventive
descritte nell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. oppure per assicurare la cosa al
processo nei casi in cui ne sia consentita la confisca nelle ipotesi previste dall’art.
321, commi 2 e 2-bis, cod. proc. pen. (sequestro preventivo).
Ciò non autorizza minimamente a sostenere che il sequestro costituisca un
antecedente logico e giuridico necessario per l’utilizzazione processuale delle
cose pertinenti al reato o dello stesso corpo del reato.
Quest’ultimo, al pari delle cose pertinenti al reato, deve essere raccolto, ai
sensi dell’art. 431, comma 1, lettera h), e pertanto obbligatoriamente inserito,
quando non debba essere custodito altrove per ragioni “fisiche”, nel fascicolo per
il dibattimento per la fondamentale ragione ché non possono essere sottratte al
processo le cose che sono in rapporto diretto ed immediato con l’azione
delittuosa e quelle (ossia le cose pertinenti al reato) che sono in rapporto
indiretto con la fattispecie criminosa concreta e risultano strumentali
all’accertamento dei fatti, ovvero quelle necessarie alla dimostrazione del reato e
delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle
tracce, all’identificazione del colpevole, all’accertamento del movente ed alla
determinazione dell’ “ente factum” e del “post factum” comunque ricollegabili al
reato, pur se esterni alli “iter criminis”, purché funzionali all’accertamento del
fatto ed all’individuazione dell’autore (Sez. 4, n. 2622 del 17/11/2010, dep.
2011, Rossini, Rv. 249487).
Infatti, l’acquisizione al fascicolo del dibattimento di un atto che debba farne
parte per espressa previsione di legge non è soggetta a preclusioni o decadenze
e può avvenire in qualsiasi fase del processo di merito, in quanto non rientra nel
potere dispositivo delle parti restringere l’ambito degli atti che per legge devono
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3.1. Quanto al primo motivo, l’affermazione – secondo la quale l’utilizzazione

essere raccolti nell’incartamento processuale (Sez. 3, n. 12795 del 26/01/2016,
Marconi, non ancora mass.; Sez. 2, n. 25688 del 23/05/2014, Narducci, Rv.
259627), in quanto costituenti materiale necessariamente funzionale alla
cognizione processuale e all’espletamento del contraddittorio.
Ciò precisato, non è neppure fondato il concorrente rilievo circa il denunziato
vizio di error in procedendo a causa di un difetto formale di acquisizione dei
documenti nel senso che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, gli atti
sarebbero stati utilizzati in mancanza di un qualsiasi e valido provvedimento di

La natura del vizio denunciato abilita la Corte all’esame degli atti
processuali, desumendosi da essi che le parti hanno svolto in due udienze (del 6
dicembre del 2012 e del 21 ottobre 2013) le attività concernenti le richieste di
prove ed in entrambi i casi il Tribunale ha emanato il provvedimento ammissivo
delle prove senza che le parti abbiano eccepito alcunché.
Più precisamente, nel corso dell’udienza del 21 ottobre 2013, il pubblico
ministero ha proceduto ad una integrazione documentale (con la produzione dei
documenti contestati contenuti infatti nei sottofascicoli inseriti in quello per il
dibattimento, precedente formato e non contenente detti atti che invece avrebbe
dovuto contenere), mentre i difensori hanno chiesto l’ammissione dei testi di
lista, reiterato le precedenti richieste di prova e chiesto l’esame dell’imputato,
seguendo a ciò il provvedimento del Tribunale di ammissione delle prove sicché,
come ha correttamente affermato la Corte d’appello, la documentazione
“urbanistica” è stata ritualmente acquisita ai fini della decisione.
3.2. Anche il secondo motivo è infondato.
Sulla base di una risalente, e tuttora valida, giurisprudenza di legittimità,
che il Collegio condivide, per committente deve intendersi, ai fini della disciplina
urbanistica, chiunque concretamente si adoperi, indipendentemente
dall’assunzione di vincoli formali consacrati in stipulazioni contrattuali, a
realizzare l’opera abusiva, con la conseguenza che risponde penalmente della
esecuzione di opere che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio anche chi, pur non essendo proprietario del suolo, e quindi non
legittimato a chiedere il titolo abilitativo, abbia comunque realizzato le opere non
autorizzate (Sez. 3, n. 6274 del 25/11/1987, dep. 1988, Tavani, Rv. 178451;
Sez. 6, n. 11712 del 03/05/1978, Cascia, Rv. 089435).
Pertanto il fatto che i ricorrenti non abbiano stipulato alcun contratto di
appalto non vale ad escludere la qualità di committenti e dunque la presenza
della qualifica giuridica soggettiva richiesta per l’integrazione della fattispecie
incriminatrice contestata e ritenuta in sentenza, in presenza di una pluralità di
elementi riportati nella doppia conforme decisione dei giudici di merito e
dimostrativi dell’ingerenza e del diretto interessamento all’esecuzione dei lavori
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acquisizione.

(predisposizione della documentazione urbanistica; essere stati personalmente
destinatari della “presa d’atto” a firma del responsabile dell’ufficio tecnico
comunale in data 23 settembre 2009; l’aver richiesto, attraverso l’istanza
personalmente sottoscritta, una proroga per la presentazione della
documentazione necessaria per l’eventuale rilascio del permesso in sanatoria al
termine del periodo di emergenza post – sisma; l’avere successivamente
comunicato al Comune di Barisciano la data entro la quale sarebbe stata
consegnata la documentazione all’uopo richiesta e successivamente trasmessa

3.3. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo, essendo tra loro strettamente
collegati, possono essere congiuntamente esaminati.
Essi sono infondati.
3.3.1. E’ opportuno precisare che i giudici del merito, con logica ed
adeguata motivazione, hanno accertato come nella fattispecie si fosse in
presenza di una c.d. lottizzazione materiale, che si configura quando vengono
realizzate opere edilizie tali da comportare una trasformazione del terreno a
scopo edificatorio in contrasto con lo strumento urbanistico vigente (art. 30,
comma 1, d.p.r. n. 380 del 2001), strumento che qualificava come agricoli i suoli
sui quali le opere sono state realizzate. Trattandosi di edifici destinati ad uso
residenziale e tenuto conto delle dimensioni di ognuno di essi (circa 700 mq), gli
interventi sono stati ritenuti idonei a caratterizzare una nuova maglia di tessuto
urbano, avendo la loro costruzione anche comportato la realizzazione di opere di
urbanizzazione primaria (es. fognature) in una zona destinata all’uso agricolo,
realizzandone un’apprezzabile modificazione urbanistica non consentita.
Quindi, nel caso in esame e come risulta dall’accertamento dei giudici del
merito, non sindacabile in sede di legittimità perché sorretto da congrua
motivazione immune da vizi dì manifesta illogicità, le varie unità abitative (tre
nel complesso), autonomamente funzionali ed autosufficienti, sono state
realizzate in zona non edificata, insistendo su una ampia superficie di natura
agricola e non residenziale; le grosse ville in corso di edificazione, per la loro
vasta superficie abitativa (ca. 700 mq. ciascuna) e per l’indubbio aumento del
carico urbanistico, richiedevano l’esecuzione di un complesso di opere di
urbanizzazione primaria (rete idrica – elettrica, strade, ed altro).
Sulla base di ciò è risultata logicamente evidente la volontà dei ricorrenti di
porre in essere una condotta avente l’effetto di limitare il potere di
programmazione territoriale facente capo all’ente pubblico approfittando, in
maniera illegittima, della normativa ernergenziale post-sisma ed esorbitando
palesemente da essa.
I ricorrenti hanno infatti realizzato l’attività edilizia sulla base di una “presa
d’atto” disposta dall’Ufficio Tecnico del Comune di Barisciano. Tale

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con dichiarazione di assunzione della responsabilità dell’abuso).

provvedimento era stato elaborato dal Comune, analogamente a quanto disposto
da altri enti locali limitrofi interessati dal sisma, al fine di rispondere
prontamente alle esigenze abitative della popolazione nel periodo
immediatamente successivo all’evento tellurico e ciò al fine di evitare di dar
luogo alla procedura ordinaria, complessa, che prevedeva, fra l’altro, l’intervento
della Commissione edilizia, sicché era stato deciso che, per la realizzazione degli
immobili temporanei secondo le caratteristiche di cui alla delibera n. 41 del 4
giugno 2009 della Giunta Comunale del Comune di Barisciano, era solo il

esclusivamente il rispetto dei requisiti oggettivi e soggettivi indicati nella stessa
delibera, assumendone la responsabilità. In sintesi, nella richiamata delibera e
molto comprensibilmente, si consentiva ai cittadini residenti nel territorio del
Comune che si trovavano nella momentanea indisponibilità della propria
abitazione a seguito del sisma, se dichiarata inagibile dalla Protezione civile, di
realizzare dei manufatti provvisori ricadenti in diverse zone del P.R.G. Nello
stesso provvedimento si prescrivevano limiti massimi tassativi di volumetria per
gli immobili in relazione al numero di componenti il nucleo familiare e, per
quanto d’interesse, nel caso di famiglia composta di 4/5 persone, si indicava
comunque come limite massimo – non essendo peraltro previste categorie
ulteriori a quella indicata – il limite di 108 mq.
La Corte territoriale ha pertanto osservato come – a prescindere
dall’unitarietà dell’intervento, comunque chiaramente desumibile dai vincoli di
parentela fra gli imputati ed il coimputato non appellante, dall’identico iter
amministrativo seguito per l’abusiva edificazione e lottizzazione, dall’identico
progettista e direttore dei lavori incaricato, dalla vicinanza dei manufatti e dalla
pressoché identica fattura dei singoli corpi di fabbrica – non potesse sussistere
alcun dubbio circa la configurabilità della lottizzazione, correttamente rilevando
che la distinzione tra il semplice abuso edilizio in zona non edificata e la
lottizzazione fisica o materiale va individuata nella rilevanza causale della
trasformazione del territorio, nel senso che l’atto lottizzatorio materiale deve
potere influire sulla futura pianificazione del territorio, deve porsi cioè come fatto
pregiudizievole del potere pubblico di pianificazione territoriale e non essere
diretto unicamente al controllo preventivo di conformità ai piani ed alle norme.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte d’appello ha fatto corretta
applicazione del principio di diritto affermato in sede di legittimità secondo il
quale il reato di lottizzazione abusiva fisica o materiale si distingue da quello di
costruzione senza titolo abilitativo in quanto, nel primo, l’intervento, per le sue
dimensioni o caratteristiche, è idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di
programmazione territoriale e non è diretto unicamente al controllo preventivo di
conformità ai piani ed alle norme laddove, diversamente, nel secondo,

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responsabile dell’Ufficio Tecnico ad effettuare una rapida istruttoria verificando

l’intervento per la dimensione del manufatto, non presuppone opere di
urbanizzazione primaria e secondaria (Sez. 3, n. 9446 del 21/01/2010,
Lorefíce, Rv. 246340).
Ne consegue che i parametri sintomatici di riferimento per verificare se
esista un semplice abuso o una lottizzazione materiale prescindono
dall’unicità o pluralità dell’intervento e sono costituiti dalle caratteristiche
dell’intervento stesso e della relativa area (lotto) nonché dallo stato di
urbanizzazione della porzione territoriale sulla quale l’intervento incide.

degli edifici (o del singolo edificio) realizzati e quindi per il numero degli
abitanti o per le attività da insediare, tanto più tendenzialmente richiede una
preventiva pianificazione la quale peraltro dipende anche dalla natura della
zona, ossia a seconda che l’intervento incida in area isolata e lontana dal
centro abitato o all’interno di esso o a seconda che esso insista o meno in
area già dotata di opere di urbanizzazione, dovendosi assegnare rilevanza
anche lo stato di urbanizzazione della zona circostante perché, ai fini della
configurabilità della lottizzazione, si deve tenere conto della necessità o meno
del raccordo pianificatori°.
I Giudici del merito hanno tenuto ampiamente conto di tali parametri ed
hanno quindi motivatamente ritenuto configurabile il reato di lottizzazione,
conseguendo da ciò l’infondatezza del quinto motivo di gravame.
3.3.2. Con motivazione parimenti corretta, la Corte territoriale ha poi
stimato prive di rilevanza le obiezioni tendenti ad affermare la legittimità
dell’intervento eseguito alla luce del carattere temporaneo delle opere realizzate,
osservando che quelle previsioni sarebbero state, in ipotesi, invocabili in
presenza dei presupposti, del tutto insussistenti, per l’applicazione della
normativa emergenziale, difettando innanzitutto il fatto che gli imputati, alla data
del sisma (6 aprile 2009) fossero residenti nel territorio di Barisciano, con una
abitazione resa inagibile dal terremoto (Antonello Taddei, era residente in
L’Aquila, frazione Pianola, Valerio Taddei nel Comune di Poggio Picenze), e
sussistendo la violazione dei limiti di altezza e superficie degli immobili assentibili
con la presa d’atto (altezza massima m. 4, superficie massima mq. 108), che nel
caso in esame sono risultati totalmente superati dai manufatti realizzati, la cui
altezza effettiva è stata accertata in m. 7.75, e la cui superficie su tre piani è di
complessivi mq. 694.
In sostanza sono stati realizzati, fin quando il sequestro preventivo disposto
il 6 ottobre 2010 ne ha bloccato la costruzione allo stato grezzo, tre immobili di
grossa consistenza con un titolo urbanistico non idoneo (mera presa d’atto), in
mancanza di un permesso a costruire, che comunque nella zona, attesa la
superficie edificata e l’altezza dei manufatti fuori terra, non sarebbe stato

li

Ciò comporta che l’intervento, quanto più è rilevante per le dimensioni

rilasciabile in ragione della destinazione ad uso agricolo dell’area; in tale
situazione, i requisiti richiesti alla normativa regolamentare emergenziale del
Comune di Barisciano sono stati in partenza palesemente violati.
Da ciò i giudici del merito hanno tratto il logico convincimento che la volontà
degli imputati fosse quella di realizzare un immobile in spregio alle disposizioni
urbanistiche vigenti e in primis alla delibera n. 41 del 2009, mancando il
requisito della residenza dei committenti all’interno del Comune e, con tutta
evidenza, la temporaneità già ab origine degli edifici avuto riguardo al materiale

manufatti dovevano essere rimossi al 31 dicembre 2010, mentre nel settembre
2010 erano ancora in corso le rifiniture sicché nel frattempo non erano stati
utilizzati dai soggetti “bisognosi”, e verosimilmente alla scadenza indicata gli
edifici non sarebbero stati affatto utilizzati dai proprietari).
Nel pervenire a tale conclusione i giudici del merito si sono attenuti al
principio di diritto più volte affermato dalla Corte Suprema secondo il quale la
realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria non può essere
desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal
costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera
ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e
limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita
eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità (Sez. 3, n.
966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636), conseguendo da ciò la
manifesta infondatezza del quarto motivo.
3.3.3. Alle stregua delle precedenti considerazioni, deve ritenersi
manifestamente infondato anche il rilievo secondo il quale – essendo stata
l’emergenza post sisma regolata da un complesso di norme emanate in deroga
rispetto a quelle ordinarie, predisposte in fretta e con poca chiarezza – gli
imputati sarebbero incorsi in un errore scusabile su legge diversa da quella
penale.
In realtà i ricorrenti si limitano a reiterare una doglianza già motivatamente
respinta senza prendere alcuna posizione su un punto decisivo che le sentenze di
merito hanno opportunamente coltivato ossia che fosse onere dei committenti e
del direttore dei lavori verificare i requisiti previsti dalla normativa edilizia di
settore e conformarsi ad essa.
Infatti è stato correttamente sostenuto come non fosse verosimile ritenere
che i ricorrenti avessero ignorato l’esatto contenuto della più volte richiamata
delibera n. 41 del 2009 avendo essi fatto espresso riferimento nei rapporti con
l’autorità comunale allo stato di emergenza e quindi avendo mostrato di essere a
conoscenza dell’esistenza di una normativa derogatoria rispetto a quella

12

utilizzato (cemento armato) per la costruzione ed ai tempi di esecuzione (i

ordinaria che avevano l’obbligo di verificare e di osservare, potendo rispondere
del reato contestato anche a solo titolo di colpa per difetto di diligenza.
Sotto tale profilo il motivo, oltre ad essere manifestamente infondato, difetta
della necessaria specificità per essere del tutto assertivo.

4. Allo stesso modo difetta di specificità, oltre ad essere manifestamente
infondato in presenza di adeguata motivazione, il sesto motivo di impugnazione.
I ricorrenti non hanno affatto preso posizione sulle ragioni con le quali la

sentenza del Tribunale, avendo la Corte territoriale affermato che l’eventualità
che il giudice possa del tutto legittimamente subordinare il beneficio della
sospensione condizionale della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose
del reato mediante demolizione dell’opera eseguita, disposta in sede di condanna
del responsabile, persegue la funzione di eliminare le conseguenze dannose del
reato, non sussistendo alcuna incompatibilità fra lo stato di incensuratezza degli
imputati e la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla
demolizione del manufatto, posto che l’art. 165 cod. pen., nel prevedere che il
giudice possa subordinare la sospensione condizionale della pena alla
eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, attribuisce allo
stesso un potere discrezionale che può anche trascurare il dato
dell’incensuratezza, ove altre circostanze impongano la subordinazione del
beneficio.
Nel caso in esame, infatti, la Corte distrettuale ha significativamente
spiegato che la già ricordata consistenza e vastità dell’intervento incriminato, la
sua natura di abuso non di necessità, le imponenti dimensioni delle singole opere
abusive, per di più realizzate in terreni a destinazione agricola, hanno giustificato
la pronta esecuzione della demolizione, imponendo il mantenimento della
subordinazione della sospensione condizionale disposta ai sensi dell’art. 165 cod.
pen. in primo grado.
Perciò, avendo la Corte d’appello pienamente adempiuto all’obbligo di

IT

motivazione, il motivo di ricorso, in assenza di una specifica critica, deve
ritenersi manifestamente infondato e del tutto generico.

5. Nel ricordare che i termini di prescrizione sono stati sospesi dal 27 agosto
2015 e sino al 17 marzo 2016 a seguito di richiesta di rinvio avanzata dai
difensori, segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali.

13

Corte d’appello ha disatteso l’analoga doglianza espressa nei confronti della

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e la condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 17/03/2016

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