Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21968 del 24/02/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21968 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Amato Vincenzo, nato il 28 gennaio 1977
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce del 27 settembre 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Ciro
Angelillis, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Gabriele Valentini.

Data Udienza: 24/02/2016

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 6 giugno 2011, il Tribunale di Lecce ha – per quanto qui
rileva – condannato l’imputato odierno ricorrente alla pena di 22 anni di reclusione,
oltre pene accessorie, per: il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, con le
aggravanti di cui ai commi 1 e 3, per avere diretto un sodalizio criminale composto da
più di dieci associati, anche nel periodo in cui si trovava agli arresti domiciliari, allo
scopo di acquisire ingenti quantitativi di cocaina, anche direttamente dai paesi di

corrieri, sopraintendendo all’attività di spaccio (capo 1 dell’imputazione); reati-scopo
di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 3, 6, 7, 8, 11, 12 dell’imputazione),
in un caso con l’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R.
n. 309 del 1990 (capo 5).
Con sentenza del 27 settembre 2013, la Corte d’appello di Lecce ha assolto
l’imputato del reato di cui al capo 3 dell’imputazione, ha escluso l’aggravante di cui
all’art. 74, comma 3, del d.P.R. n. 309 del 1990 per il capo 1 dell’imputazione e ha
conseguentemente ridotto la pena ad anni 21, mesi 3, e giorni 15 di reclusione,
confermando nel resto la sentenza di primo grado.
2. – Avverso tale ultima pronuncia l’imputato ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deducono la violazione degli artt.
268, comma 1, e 271, comma 1, cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione, in
relazione all’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche svolte nelle indagini
preliminari. Si lamenta, in particolare, che non sarebbero stati depositati i verbali di
cui al richiamato art. 268, comma 1, così non consentendo alla difesa il controllo sulle
attività effettivamente svolte.
2.2. – In secondo luogo, si rilevano l’erronea applicazione dell’art. 80, comma 2,
del d.P.R. n. 309 del 1990 nonché vizi della motivazione, in relazione al capo 5
dell’imputazione, consistente nella detenzione, in concorso con altri, di 8,400 kg di
cocaina. La difesa lamenta che i giudici di appello avrebbero disatteso la censura
relativa alla mancanza di prova della consapevolezza in capo all’imputato della
quantità di stupefacente in arrivo, scorrettamente ritenendo la natura puramente
oggettiva della circostanza aggravante in parola.
2.3. – Si contesta, poi, la motivazione della sentenza impugnata in relazione al
reato di cui al capo 6, sul rilievo che la responsabilità penale dell’imputato sarebbe
stata desunta dalla presenza di una donna sudamericana in casa sua e dall’invito da

produzione, pianificando gli acquisti, gestendo le risorse finanziarie, ricevendo i

lui fatto ad un soggetto presente di prendere la cosa che era in bagno e portarla sul
terrazzo. Non si sarebbe valutato che la presenza della donna in Italia non era legata
al trasporto di cocaina da parte di questa né che il riferimento a banconote di piccolo
taglio non era univocamente riconducibile al viaggio da lei portato a termine, perché
uno degli interlocutori aveva in realtà fatto presente che il denaro serviva per il
pagamento di un’altra consegna, già avvenuta, ovvero quella di cui al precedente capo
5 dell’imputazione.

contesta la motivazione della sentenza in relazione alla ricezione di una partita di
cocaina inviata dalla Colombia tramite tale Batis. Non si sarebbe considerato che
questo soggetto, sottoposto a perquisizione, non era stato trovato in possesso di
stupefacente. E si sarebbe travisato il contenuto delle intercettazioni telefoniche in
atti, dalle quali – secondo la difesa – non era emerso che l’imputato fosse il
destinatario finale e, anzi, non era neanche emerso che lo stupefacente fosse stato
effettivamente trasportato.
2.5. – Quanto al capo 8 dell’imputazione, con un quinto motivo di doglianza si
contesta la valutazione dei giudici di merito circa gli esiti di un servizio di osservazione
che avrebbe visto vari soggetti accompagnarsi fra loro.
2.6. – In sesto luogo, si rilevano vizi della motivazione quanto alla ritenuta
sussistenza del reato associativo. Non si sarebbe considerato, che, per tutta la durata
dell’indagine, non vi erano stati contatti tra l’imputato e i sudamericani, né che tali
fornitori non erano sempre gli stessi, ma venivano reperiti di volta in volta
occasionalmente. Vi era un unico rapporto costante intrattenuto dall’imputato, con il
coimputato Paradiso, ma il primo non era consapevole del fatto che il secondo agisse
quale esponente di un gruppo organizzato. La Corte d’appello non avrebbe
adeguatamente approfondito l’ulteriore aspetto inerente alla presunta esistenza di una
struttura salentina facente capo all’imputato e non avrebbe considerato che
l’assoluzione dalle imputazioni di cui ai capi 15, 22, 23, insieme con l’assoluzione di
alcuni presunti associati avrebbe doveNdate indurre ad escludere che l’imputato
operasse spaccio sul territorio con una propria rete di affiliati. Al più l’imputato
avrebbe provveduto alla risoluzione di problemi locali dello spaccio; attività inidonea
ad integrare il contestato ruolo direttivo nell’ambito dell’ipotizzata associazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è solo parzialmente fondato.

2.4. – Con un quarto motivo di doglianza, riferito al capo 7 dell’imputazione, si

3.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si lamenta che non sarebbero stati
depositati i verbali di cui all’art. 268, comma 1, cod. proc. pen. così non consentendo
alla difesa il controllo sulle attività effettivamente svolte, con conseguente
inutilizzabilità delle intercettazioni – è infondato.
La censura difensiva riguarda, in realtà, non i verbali delle operazioni di
intercettazione, ma i cosiddetti brogliacci di ascolto delle operazioni di intercettazione,
nei quali è sommariamente trascritto il contenuto delle comunicazioni intercettate,

intercettazioni. Ne consegue che nessuna lesione del diritto di difesa è ipotizzabile,
come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha precisato
che l’omesso deposito dei brogliacci, consistenti nella sintesi delle conversazioni
eseguita dalla polizia giudiziaria che procede all’intercettazione, non è sanzionato da
alcuna nullità, o inutilizzabilità, delle intercettazioni medesime (ex plurimis, sez. 3, 23
marzo 2015, n. 36350, rv. 265630; sez. 6, 26 novembre 2009, n. 49541, rv.
245.656; sez. 4, 21 gennaio 2004, n. 16890, rv. 228040). La sanzione
dell’inutilizzabilità opera, infatti, nel diverso caso dell’omessa redazione del verbale,
che si distingue dal brogliaccio, perché contiene la sommaria indicazione delle
operazioni svolte e non la sintesi delle conversazioni intercettate.
3.2. – Il secondo motivo di doglianza, riferito al capo 5 dell’imputazione consistente nella detenzione, in concorso con altri, di 8,400 kg di cocaina – è fondato.
Deve preliminarmente affermarsi, in punto di diritto, che la circostanza
aggravante dell’ingente quantità di sostanze stupefacenti, di cui all’art. 80, comma 2,
del d.P.R. n. 309 del 1990, può essere riconosciuta solo qualora si accerti, ai sensi
dell’art. 59, secondo comma, cod. pen., la colpevolezza del soggetto attivo anche in
relazione alla predetta circostanza, dimostrando che la stessa sia da lui conosciuta,
ovvero ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore dovuto a colpa (sez. 6, 5
marzo 2014, n. 13087, rv. 258643; con riferimento alla diversa circostanza
aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, sez. 2, 8 luglio
2013, n. 44667, rv. 257611; con riferimento, invece, alla circostanza di cui all’art. 80,
comma 1, lettera a), dello stesso d.P.R., sez. 6, 9 luglio 2010, n. 41306, rv. 248793,
sez. 6, 29 gennaio 2008, n. 20663, rv. 240058). Deve dunque ritenersi superato
l’orientamento, espresso da sez. 6, 24 febbraio 1989, n. 8730, rv. 181606, secondo
cui sarebbe irrilevante la conoscenza del quantitativo di stupefacente oggetto di
detenzione in capo all’agente, essendo sufficiente che tale quantitativo sia
oggettivamente ingente.
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essendo pacifico che nel caso in esame sono state depositate le bobine originali delle

Venendo al caso in esame, deve rilevarsi che la difesa non contesta la
sussistenza oggettiva della circostanza aggravante. La Corte d’appello, richiamando
esclusivamente l’ultima delle sentenze sopra citate, ritiene sussistente la circostanza
aggravante dell’ingente quantità, sull’assunto che sarebbe irrilevante l’eventuale non
conoscenza in capo all’imputato del quantitativo alla cui detenzione ha certamente
concorso. Si tratta di un assunto che si pone, però, in contrasto con i principi sopra
enunciati: non è infatti sufficiente, ai fini della configurabilità dell’aggravante in parola,

per il tramite di un concorrente, ma è necessaria la dimostrazione della colpevolezza
dell’agente quanto allo specifico profilo del quantitativo dello stupefacente.
3.3. – Il terzo motivo di doglianza – con cui contesta la motivazione della
sentenza impugnata in relazione al reato di cui al capo 6 – è inammissibile, perché
diretto ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della responsabilità
penale, per di più sulla base di deduzioni che costituiscono la mera riproposizione di
rilievi già esaminati e motivatamente disattesi dalla Corte d’appello.
La difesa lamenta, in particolare, che la responsabilità penale dell’imputato
sarebbe stata desunta dalla presenza di una donna sudamericana in casa sua e
dall’invito da lui fatto ad un soggetto presente di prendere la cosa che era in bagno (lo
stupefacente) e portarla sul terrazzo. La stessa difesa fornisce, poi, una ricostruzione
del tutto alternativa e ipotetica dei fatti, secondo cui la presenza della donna in Italia
non era legata al trasporto di cocaina da parte sua e il riferimento fatto dai coimputati
a banconote di piccolo taglio non era univocamente riconducibile al viaggio da lei
portato a termine. Del pari ipotetica risulta l’affermazione difensiva secondo cui uno
degli interlocutori aveva in realtà fatto presente che il denaro serviva per il pagamento
di un’altra consegna, già avvenuta, ovvero quella di cui al precedente capo 5
dell’imputazione.

E,

del resto, la sentenza impugnata reca una motivazione

pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove evidenzia che gli assunti della
difesa sono smentiti dall’ampio numero di conversazioni intercettate, che danno conto
del fatto che la donna si trovava nell’appartamento dell’imputato accompagnata dal
coimputato Paradiso perché portava gli oboli contenenti lo stupefacente. Dalle
intercettazioni effettuate risulta, inoltre, che la donna era la stessa che era stata
successivamente arrestata nella flagranza della detenzione di stupefacente il 20
settembre 2003.
3.4. – Analoghe considerazioni valgono per il quarto motivo di doglianza, riferito
al capo 7 dell’imputazione, con cui si contesta la motivazione della sentenza in

la semplice coscienza e volontà della detenzione dello stupefacente, eventualmente

relazione alla ricezione di una partita di cocaina inviata dalla Colombia tramite tale
Batis. A fronte di censure che costituiscono la mera riproposizione dei motivi di
appello, è sufficiente qui rilevare che la Corte di secondo grado ha evidenziato che il
soggetto era effettivamente un corriere che portava dello stupefacente, in quantità
inferiore a quella inizialmente concordata, avendo come destinatario finale l’imputato
odierno ricorrente, il quale aveva pagato il relativo corrispettivo, come emerge con
chiarezza dalle conversazioni tra questo e il coimputato Paradiso.

motivo di doglianza, relativo al capo 8 dell’imputazione. A fronte delle generiche
contestazioni difensive, è sufficiente qui rilevare che – secondo la corretta valutazione
della Corte d’appello – dalle conversazioni intercettate, emerge che la moglie di
Paradiso era andato a recuperare un barattolo contenente stupefacente su incarico
dell’imputato e che quest’ultimo aveva parlato con lo stesso Paradiso delle modalità
del relativo pagamento, restando del tutto ipotetica la ricostruzione difensiva secondo
cui lo scambio di denaro avrebbe potuto riferirsi a forniture diverse, passate o future.
3.6. – Inammissibile è anche il sesto motivo di doglianza, con cui si deducono
vizi della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del reato associativo.
In risposta alle generiche considerazioni difensive, poi ribadite con il ricorso per
cassazione, circa la mancanza di prova di contatti fra l’imputato i soggetti
sudamericani e circa la mancanza di consapevolezza del fatto che il Paradiso fosse
l’esponente di un gruppo organizzato, la Corte d’appello – in totale continuità con il
Tribunale – evidenzia che: a) vi erano assiduità di contatti, costante riferimento allo
stupefacente, spostamenti programmati dei corrieri sul territorio nazionale, tecniche di
occultamento dello stupefacente, stretta connessione tra consegne e movimentazioni
di denaro da parte dell’imputato anche con destinatari diversi, pronta reperibilità di
soggetti secondo il ruolo necessario da ciascuno svolto, nell’ambito di uno stabile
preordinato assetto organizzativo; b) le operazioni erano diretteilall’imputato, insieme
a Paradiso; c) vi era una predisposizione di mezzi, ancorché rudimentale, con la
permanente consapevolezza degli associati di essere disponibili ad operare per
l’attuazione del programma criminoso, non rilevando in contrario il fatto che il traffico
illecito di stupefacenti fosse imperniato per di più intorno ai componenti di una stessa
famiglia; d) non merita, dunque, seguito la tesi difensiva secondo cui l’imputato era
semplicemente un soggetto che si occupava di problemi locali dello spaccio, perché lo
stesso è stato colto, in più occasioni, ad impartire direttive, a tenere i rapporti con i

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3.5. – Per le stesse ragioni, deve essere ritenuto inammissibile anche il quinto

corrieri, ad effettuare i pagamenti, ad affrontare le questioni relative ai quantitativi e
alla qualità dello stupefacente.
4. – Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, quanto al
capo 5 dell’imputazione, limitatamente alla configurabilità della circostanza
aggravante dell’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, con rinvio ad altra
sezione della Corte d’appello di Lecce, perché proceda a nuovo giudizio sul punto,
facendo applicazione del principio di diritto sopra enunciato sub 3.2., ferma restando

essere, nel resto, rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, quanto al capo 5, limitatamente alla
configurabilità della circostanza aggravante dell’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309
del 1990, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce. Rigetta nel resto il
ricorso.
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2016.

la sussistenza degli elementi oggettivi della circostanza aggravante. Il ricorso deve

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