Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21967 del 24/02/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21967 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Racanati Angelo, nato a Cerignola il 7 febbraio 1969
Cianci Matteo, nato a Cerignola il 6 luglio 1967
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari del 27 settembre 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Ciro
Angelillis, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito, il difensore avv. Franco Collalti.

i

Data Udienza: 24/02/2016

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 27 settembre 2012, la Corte d’appello di Bari ha – per
quanto qui rileva – confermato la sentenza del Tribunale di Foggia del 22 ottobre
2008, con la quale gli imputati odierni ricorrenti erano stati condannati, riconosciute le
circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni quattro di reclusione ed euro
18.000,00 di multa, oltre pene accessorie, per reati di detenzione e spaccio di cocaina,
commessi in concorso con altri soggetti con più atti esecutivi di un medesimo disegno

Il presente procedimento è frutto della separazione delle posizioni dei due
imputati odierni ricorrenti da quelle di altri coimputati, trattate nell’ambito
dell’originario procedimento r.g. n. 50235/2013, che è stato definito con la sentenza
sez. 3, 21 maggio 2014, n. 42537.
2. – Avverso la sentenza d’appello l’imputato Cianci Matteo ha proposto
personalmente ricorso per cassazione, lamentando, in primo luogo, vizi della
motivazione in relazione alle dichiarazioni accusatorie rese nei suoi confronti dai
collaboratori di giustizia, perché non sarebbe chiaro lo stato del procedimento
connesso nel quale questi sono imputati.
In secondo luogo, si deduce la nullità della sentenza per difetto di motivazione
in ordine alla mancata assoluzione, per mancanza di prova della responsabilità penale,
e in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi di minore gravità di cui all’art. 73,
comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.
In terzo luogo, si ribadisce, ai fini del riconoscimento dell’ipotesi di minore
gravità di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, che non sarebbero noti
i periodi, le quantità e le qualità degli stupefacenti oggetto del presunto spaccio.
Con un quarto motivo di doglianza – formulato sul presupposto che, secondo la
disciplina vigente all’epoca della relativa richiesta, era necessario, per il giudizio
abbreviato, il consenso del pubblico ministero – si lamenta l’assoluta genericità delle
ragioni di tale dissenso e si contesta la motivazione della sentenza impugnata quanto
al diniego dell’applicazione della relativa diminuzione di pena.
La sentenza è stata impugnata anche dal difensore dell’imputato Cianci, il quale
lamenta l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., sul rilievo che le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sarebbero prive di riscontri esterni e,
comunque, generiche, non avendo tali soggetti una vera conoscenza dell’imputato.
Inoltre, non vi sarebbe la certezza che le dichiarazioni rese dai collaboratori Tarricone

criminoso (capo P per Racanati; capo S per Cianci).

e Ciannarella non siano state influenzate da quelle precedentemente rese da altri
collaboratori.
Si formula, poi, una censura analoga al terzo motivo di doglianza proposto
dall’imputato personalmente.
3. – La sentenza è stata impugnata anche nell’interesse dell’imputato Racanati,
con motivi di doglianza analoghi a quelli proposti dal difensore di Cianci.
CONSIDERATO IN DIRITTO

perché, oltre a costituire la mera riproposizione di analoghe censure già esaminate e
disattese dai giudici di merito, non attengono, neanche in via di mera prospettazione,
a lacune o vizi logici della motivazione del provvedimento impugnato. È sufficiente qui
osservare, in ogni caso, che la Corte d’appello, in totale continuità con il Tribunale, ha
correttamente valorizzato dati probatori del tutto univoci e concordanti.
4.1. – Quanto alla posizione di Cianci, si è evidenziato che le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia che a lui fanno riferimento sono quelle di Ciannarella e
Strafezza, i quali – contrariamente a quanto asserito dalla difesa – conoscevano
direttamente tale soggetto, avendolo compiutamente individuato ed avendo riferito il
suo soprannome, nonché avendo descritto episodi specifici e circostanziati della sua
collaborazione allo spaccio con il coimputato Sgaramella. Né vi è prova in atti di
elementi che abbiano concretamente inquinato la credibilità dei collaboratori di
giustizia, le cui dichiarazioni, oltre a riscontrarsi reciprocamente, trovano ampia
conferma in quanto direttamente appreso dalla polizia giudiziaria. Del tutto generiche,
oltre che puntualmente smentite dagli atti, risultano, poi, le considerazioni difensive
relative ad una pretesa non specificità delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori
e all’incertezza sulla loro qualità di imputati in procedimento connesso. E
correttamente i giudici di merito hanno escluso la configurabilità del fatto di minore
gravità di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, in presenza di
un’attività di spaccio protrattasi nel tempo, non occasionale, non sporadica, legata alla
frequentazione di ambienti criminali per il rifornimento di quantitativi di volta in volta
non modesti.
4.2. – Quanto alla posizione di Racanati, la Corte territoriale ha evidenziato che
i collaboratori di giustizia hanno riferito circostanze di loro diretta conoscenza,
sostanzialmente convergenti, indicando le modalità di spaccio, di rifornimento, nonché
i quantitativi e i luoghi. Il fatto che, in particolare, il collaboratore Strafezza non abbia
ricordato alcuni di tali particolari non inficia la portata delle dichiarazioni degli altri due

4. – I motivi di ricorso relativi alla responsabilità penale sono inammissibili,

collaboratori, che hanno invece riferito di ritiri degli stupefacenti fatti presso di loro. La
Corte d’appello evidenzia, correttamente, come sia del tutto indimostrata
l’affermazione difensiva secondo cui i collaboratori di giustizia si sarebbero influenzati
a vicenda e richiama, quanto all’esclusione della configurabilità dell’ipotesi di minore
gravità di cui al comma 5 del richiamato art. 73, le stesse considerazioni svolte per il
coimputato Cianci.
5. – La sentenza deve però essere annullata con riferimento alla mancata

Deve rilevarsi che la difesa dell’imputato Racanati non ha proposto, sul punto,
alcuna censura, mentre l’imputato Cianci personalmente ha formulato un motivo di
doglianza (il quarto) effettivamente riferitortale profilo; si tratta, però, di un motivo
che non viene prospettato come già proposto nel grado ai appello e che, dall’esame
degli atti, non risulta essere effettivamente stato proposto in tale grado, con la
conseguenza che esso deve ritenersi precluso, ai senst dell’art. 606, comma 3, cod.
proc. pen.
Nondimeno, risulta pacifico in atti (pag. 85 della sentenza impugnata) che altri
coimputati avevano censurato la motivazione del diniego dell’ammissione al rito
abbreviato da parte del Tribunale, sul rilievo che il pubblico ministero aveva espresso
un dissenso del tutto immotivato all’udienza preliminare del 3 marzo 1997, così
semplicemente esprimendosi: «il pm non presta il proprio consenso al giudizio
abbreviato». La Corte d’appello precisa, sul punto, che, all’epoca della richiesta, il rito
abbreviato era applicabile in forza di un preventivo accordo tra le parti e chela
disciplina successivamente introdotta dalla legge n. 479 del 1999 e attualmente
vigente, che esclude la necessità di un tale accordo, non può trovare applicazione nel
caso di specie, in forza del principio tempus regit actum.
5.1. – La questione è stata affrontata da questa Corte con la richiamata
sentenza sez. 3, 21 maggio 2014, n. 42537, punti 6 e seguenti, pronunciata nel
procedimento r.g. n. 50235/2013, riguardante i coimputati, con considerazioni di
principio che devono essere qui ribadite.
In tale pronuncia si evidenzia che la Corte d’appello ha correttamente affermato
che le doglianze relative all’invocata concessione della diminuente andassero
esaminate alla luce della disciplina vigente nel momento in cui si svolse l’udienza
preliminare, secondo cui il rito abbreviato era applicabile in forza di un preventivo
accordo sul rito stipulato tra le parti e la mancata conclusione di un tale negozio
giuridico processuale precludeva ogni possibilità di accesso al rito speciale. La Corte

riduzione della pena per il rito abbreviato.

territoriale ha inoltre ritenuto che, sia nella previsione di cui alla precedente disciplina,
sia nella previsione attuale, la riduzione della pena di un terzo, in caso di condanna, è
conseguenza automatica dell’applicazione del rito abbreviato, sicché il giudice non ha
alcuna discrezionalità in merito. Ne consegue che, in tanto si può invocare la riduzione
della pena di cui all’art. 442 cod. proc. pen., in quanto il giudizio abbreviato si sia
effettivamente svolto oppure sia stato irritualmente negato. Ma nella specie, secondo
la Corte d’appello, il giudizio abbreviato non è stato celebrato ed è stato giustamente

trattato di un dibattimento articolato e complesso con escussione di molti testi, anche
a discarico, questi ultimi mai escussi in fase delle indagini preliminari sicché si è
ritenuto che il dissenso espresso dal pubblico ministero non fosse ingiustificato in
ordine alla non definibilità del procedimento allo stato degli atti. E certamente, poiché
la sentenza di primo grado è stata emessa in data 22 ottobre 2008, non era
applicabile al caso di specie la disciplina transitoria, introdotta, successivamente alla
legge 16 dicembre 1999, n. 479, di cui al d.l. 7 aprile 2000, n. 82, art. 4 ter, comma
1, convertito con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144. Deve però
ricordarsi che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 81 del 1991, dichiarò
l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442 cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevedeva che il pubblico ministero, in caso di
dissenso, fosse tenuto ad enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevedeva che
il giudice, quando, a dibattimento concluso, avesse ritenuto ingiustificato il dissenso
del pubblico ministero, potesse applicare all’imputato la riduzione di pena contemplata
dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.
Con riferimento al quadro così delineato, la Corte di cassazione ha poi affermato
che, in tema di giudizio abbreviato, l’unico criterio idoneo a rendere concreto
l’esercizio da parte del giudice del dibattimento del controllo sulla motivazione del
dissenso del P.M. all’accoglimento della richiesta dell’imputato di accedere al rito
abbreviato, deve considerarsi quello imperniato sulla effettiva utilità del passaggio del
processo dall’udienza preliminare a quella dibattimentale; criterio che non può che
identificarsi in quello consistente nel ritenere il processo definibile allo stato degli atti.
Ne consegue che il giudice del dibattimento può ritenere ingiustificato il diniego solo
quando la situazione probatoria all’esito del dibattimento si sia mantenuta tal quale si
era cristallizzata al momento dell’udienza preliminare, ovvero quando malgrado le
nuove acquisizioni, le stesse non siano state poi utilizzate per la decisione (sez. 3, 10
marzo 1999, n. 5911, rv. 213618).

negato sul rilievo, ripreso dalla motivazione della sentenza di primo grado, che si è

Nel caso di specie, sia il Tribunale che la Corte di appello hanno operato invece
una valutazione ex post, peraltro documentalmente contraddetta dalla sufficienza del
portato dichiarativo dei collaboratori, su cui si è fondata la responsabilità degli
imputati, senza che, ai fini dell’affermazione della colpevolezza, fossero necessari o
prevedibili, al momento della celebrazione dell’udienza preliminare, ulteriori
accertamenti tali da fare ritenere il processo non definibile allo stato degli atti ed in
ogni caso senza che le nuove acquisizioni dibattimentali fossero state poi utilizzate per

Giudici del merito, a fronte di un dissenso del pubblico ministero meramente assertivo
e dunque sostanzialmente immotivato, avrebbe dovuto essere più rigorosa.
5.2. – La diminuente va pertanto applicata agli imputati odierni ricorrenti, pur
non avendo gli stessi proposti validi motivi di ricorso per cassazione sul punto, come
già sopra rilevato.
Va infatti ricordato che, in forza dell’effetto estensivo dell’impugnazione in
favore del coimputato non impugnante, la richiesta di applicazione della diminuente
prevista per il rito abbreviato costituisce motivo di impugnazione non esclusivamente
personale e, quindi, se accolto, è estensibile agli altri imputati, impugnanti o meno,
che non lo abbiano proposto (sez. 4, 14 ottobre 2008, n. 45496, rv. 242030), a
condizione che gli stessi avessero originariamente proposto la richiesta di giudizio
abbreviato.
6. – Alla determinazione della pena può comunque procedere la Corte di
cassazione, con l’annullamento senza rinvio in parte qua della sentenza impugnata ai
sensi dell’art. 620, comma 1, lettera I), cod. proc. pen., non comportando tale
operazione l’esercizio di poteri discrezionali dato che le pene, così come determinate,
vanno diminuite di 1/3. I ricorsi devono essere nel resto rigettati.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla mancata
applicazione della diminuente per il rito abbreviato nei confronti di Racanati Angelo e
Cianci Matteo, rideterminando nei loro confronti la pena in anni due e mesi otto di
reclusione ed euro 12.000,00 di multa ciascuno. Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2016.

la decisione, a dimostrazione della loro superfluità. E del resto, la valutazione dei

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