Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21960 del 19/12/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21960 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: VANNUCCI MARCO

Data Udienza: 19/12/2017

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARINO LEONARDO nato il 16/04/1982 a TARANTO

avverso il decreto del 14/11/2016 del TRIB. SORVEGLIANZA di TARANTO
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI;
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Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale, dott. Roberto Aniello, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del
ricorso in considerazione della relativa manifesta infondatezza.

OSSERVATO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con decreto emesso il 14 novembre 2016 il Presidente del Tribunale di
sorveglianza di Taranto dichiarò inammissibile la domanda con la quale Leonardo
Marinò chiese, previa sospensione dell’esecuzione della sentenza, irrevocabile, di

l’affidamento in prova al servizio sociale quale misura alternativa alla detenzione
in carcere: e ciò sul rilievo che il ricorrente, non detenuto né latitante, non aveva
nel proprio ricorso specificamente eletto domicilio e che l’inadempimento
all’obbligo di tale specifica indicazione determina l’inammissibilità della domanda
(art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen.);
che per la cassazione di tale ordinanza Marinò ha proposto ricorso (atto
sottoscritto dal difensore, avvocato Luigi Semeraro) deducendo illogicità manifesta
della motivazione, essendo esso ricorrente reperibile presso il luogo di sua
residenza espressamente indicato nel ricorso, coincidente con quello di
notificazione dell’ordine di carcerazione, sì da soddisfare la
comma

2-bis,

ratio dell’art. 677,

cod. proc. pen., consistente nell’assicurare la reperibilità del

condannato che chieda la concessione di misura alternativa al carcere e la sua
comparizione all’udienza di sorveglianza, ove avrebbe potuto procedere
all’elezione di domicilio;
che il Procuratore generale ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso
in ragione della sua manifesta infondatezza quanto all’interpretazione della
disposizione del codice di rito da ultimo citata, smentita dalla giurisprudenza di
legittimità, anche a sezioni unite, menzionata nel decreto impugnato;
che, premesso che il ricorrente non assume di avere effettuato specifica elezione
di domicilio nel ricorso che ha provocato la decisione in questa sede impugnata, le
conclusioni del Procuratore generale sono da condividere, non avendo questa
Corte ragione di discostarsi dall’interpretazione data all’art. 677, comma

2-bis,

cod. proc. pen. da Cass. S.U., n. 18775 del 17 dicembre 2009, dep. 2010,
Mammoliti, Rv. 246720, secondo cui il ricorso con il quale il condannato (non
detenuto, non irreperibile, né latitante al momento della notificazione dell’ordine di
carcerazione in esecuzione di sentenza di condanna passata in cosa giudicata)
domanda, previo differimento di esecuzione della pena, l’adozione di misura
alternativa alla detenzione (art. 656, comma 6, cod. proc. pen.), deve contenere,
a pena di inammissibilità di tale domanda, dichiarazione ovvero elezione di
domicilio e che a tale obbligo, sussistente anche quando la domanda siano

condanna nei suoi confronti emessa dal Tribunale di Taranto il 5 maggio 2014,

presentate da difensore nell’interesse del condannato, non può essere dato
adempimento con modalità diverse da quelle espressamente previste da tale
disposizione di legge processuale (nello stesso senso, cfr. Cass. Sez. 1, n. 30779
del 13 gennaio 2016, Medeot, Rv. 267407; il difforme orientamento ermeneutico
adottato da Cass. Sez. 1, n. 20479 del 12 febbraio 2013, Hamidovic, Rv. 256079,
non può essere seguito, in quanto la relativa, succinta, motivazione non si
confronta con la citata sentenza resa a sezioni unite in sede di risoluzione di

che il ricorso contro decreto che tale interpretazione fa propria è dunque
manifestamente infondato, con conseguente sua declaratoria di inammissibilità
(art. 606, comma 3, cod. proc. pen.);
che da tale statuizione deriva la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e di sanzione pecuniaria, che si ritiene equo fissare nella misura
di duemila euro, da versare in favore della Cassa delle ammende (art. 616 cod.
proc. pen.).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 19 dicembre 2017.

contrasto interpretativo);

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