Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21959 del 10/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21959 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CHIARENZA SEBASTIANO nato il 02/08/1965 a CATANIA

avverso il decreto del 10/07/2017 del GIP TRIBUNALE di VITERBO
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;
e e/sentite e conc usioni e

Data Udienza: 10/11/2017

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott. Ciro
Angelillis, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa
Corte, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

preliminari del Tribunale di Viterbo, in funzione di giudice dell’esecuzione,
dichiarava inammissibile – avendola ritenuta mera riproposizione di altra
in relazione alla quale, con provvedimento del 2 maggio 2017, era stata
dichiarata l’incompetenza del medesimo giudice in favore del Tribunale di
sorveglianza di Catania – l’istanza presentata nell’interesse di Sebastiano
Chiarenza, tendente ad ottenere: la sospensione dell’ordine di carcerazione
emesso dal Pubblico Ministero il 4 aprile 2017 in relazione a pene
concorrenti cumulate; la liberazione dell’interessato; la trasmissione degli
atti al menzionato Tribunale di sorveglianza per la valutazione della
collegata istanza di affidamento in prova.

2. L’avv. Salvatore Cannata, in difesa del Chiarenza, ha proposto
ricorso per cassazione deducendo l’illegittimità costituzionale, per
contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.,
nella parte in cui non prevede la possibilità di sospendere l’esecuzione della
pena detentiva nei casi di cui all’art. 47, comma 3-bis, ord. pen., cioè nei
casi in cui la pena sia maggiore a tre ma inferiore a quattro anni di
reclusione, e sia quindi possibile la concessione dell’affidamento in prova
al servizio sociale, a seguito della riforma della disposizione citata per
ultima, per effetto del d.l. n. 146/2013, conv., con modif., dalla I. n.
10/2014.

3. Questo Collegio osserva che, secondo la giurisprudenza di
legittimità, il ricorso per cassazione è inammissibile quando manchi
l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso
che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014 – dep. 13/03/2014, Lavorato,
Rv. 259425). I motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano
intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria

2

1. Con decreto del 10 luglio 2017, il Giudice per le indagini

correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento
impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 – dep. 26/06/2013,
Sammarco, Rv. 255568).

4. Il ricorso proposto per il Chiarenza non si confronta con la
motivazione posta a sostegno del decreto impugnato, poiché quest’ultimo,
in applicazione dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., perviene alla

valutazione come mera riproposizione di una precedente già non accolta,
mentre il ricorso deduce l’illegittimità costituzionale di una norma sulla
quale la ratio decidendi del provvedimento non è basata.

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro
duemila alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla
stregua del principio di diritto affermato da Corte cost. n. 186 del 2000 la

sussistenza

della

ipotesi

della

colpa

nella

proposizione

dell’impugnazione.
Per completezza, si rileva che solo nell’ipotesi di presentazione di
una ulteriore istanza il giudice dell’esecuzione dovrà tener conto del dato
normativo sopravvenuto nelle more fra la deliberazione del dispositivo e il
deposito della presente sentenza. Invero, la Corte costituzionale, con
sentenza n. 41/2018 del 6 febbraio 2018, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui si
prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena
detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a
tre anni, anziché a quattro anni.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore
della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 10 novembre 2017.

declaratoria di inammissibilità della nuova istanza sulla base della sua

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