Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21954 del 05/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21954 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Catanea Carmina, nata a Lucca il 02/06/1980

avverso l’ordinanza del 27/07/2015 del Tribunale di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Oscar Cedrangolo che ha concluso chiedendo
l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Carmina Catanea ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza in data 27/07/2015 (dep. 01/08/2015) del
Tribunale di Reggio Calabria con la quale – per quanto qui di rilievo – rigettava la
richiesta di riesame, ai sensi dell’art. 322 cod.proc.pen., del decreto di sequestro
preventivo disposto dal G.I.P. del locale Tribunale, in data 23/06/2015, ai sensi
dell’art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. dalla legge 7 agosto 1992, n.
356, in relazione – per la parte qui di interesse – al 33% delle quote della

Data Udienza: 05/04/2016

società PIT STOP srl (P.I. 02711630802) e a due autovetture intestate alla
Catanea, coniuge di Giuseppe Alvaro, indagato per il reato di cui all’art. 74
comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, quale promotore di un’associazione
deditq, al narcotraffico mediante importazione dal Sudamerica di ingenti
quantitativi di sostanza stupefacente, tipo cocaina, e dei singoli reati di cui
all’art. 73 comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, operante nel 2013 e 2014,
reati per i quali l’Alvaro è, in atto, sottoposto a misura cautelare e nell’ambito del
quale è stato disposto il sequestro preventivo dei beni indicati finalizzato alla

Deduce il ricorrente, con un unico motivo, la violazione della legge penale in
relazione alla sussistenza dei presupposti, di cui all’art. 12

sexies cit., per

l’adozione del provvedimento di sequestro che richiede, da un lato, la
dimostrazione della sproporzione del reddito dichiarato ed il valore del bene da
sottoporre a confisca e, dall’altro, la mancata giustificazione della provenienza
lecita dei beni stessi, il cui onere probatorio, in presenza di presunzione relativa
di illecita provenienza dei beni, deve essere assolto dall’indagato. Nel caso in
esame, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che i beni oggetto di
sequestro costituissero il reimpiego dei proventi dell’attività illecita contestata al
marito, indagato di appartenere ad un’associazione dedita al narcotraffico nel
periodo tra giugno 2013 al 24 luglio 2014, come risultante dall’imputazione
cautelare, sicchè avrebbe il Tribunale omesso di valutare la circostanza che i beni
oggetto del sequestro sarebbero entrati nella disponibilità della ricorrente in
epoca antecedente (autovetture nel 2010 e quote sociali nel 2012) alla
commissione del reato da parte del marito, e dunque erroneamente il Tribunale
avrebbe concluso ritenendo sussistente la sproporzione reddituale rispetto ai
beni. In particolare il Tribunale avrebbe omesso di considerare “insieme” i redditi
del nucleo famigliare e, così, sommando i due redditi, come indicato nelle tabelle
di pag. 25 e 28 dell’ordinanza di convalida del provvedimento e di emissione del
decreto di sequestro preventivo del G.I.P., il nucleo famigliare avrebbe un
reddito pari a € 326.983,03, reddito del tutto compatibile all’acquisto dei beni in
oggetto e, dunque, idoneo a superare la presunzione di illecita accumulazione.
Infine, deduce 41 ricorrente l’insussistenza del periculum in mora da intendersi
non come generica ed astratta eventualità, ma come concreta capacità che il
bene assuma carattere strumentale rispetto all’aggravamento e alla protrazione
delle conseguenze del reato.
La ricorrente ha depositato, in data 19/03/2016, motivi aggiunti con cui ha
dedotto la carenza di motivazione in relazione alla formale intestazione dei beni
oggetto di sequestro preventivo in capo a Catanea Carmina; il Tribunale avrebbe
omesso la motivazione della titolarità apparente dei beni al fine di favorire la
permanenza dell’acquisizione del bene in capo al soggetto indagato Alvaro.

2

confisca ai sensi dell’art. 12 sexies cit.

3. Il Procuratore Generale ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto
l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Va premesso che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il ricorso
avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali è proponibile,

violazione di legge, potendo solo in tale ambito, in particolare venendosi a
prospettare la violazione dell’art.125 c.p.p., dedursi la totale assenza o
l’apparenza della motivazione perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere
comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel
provvedimento impugnato (tra le tante, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013,
Gabriele, Rv. 254893) con esclusione della deducibilità dei vizi della motivazione
sotto il profilo dell’illogicità, contraddittorietà, insufficienza della stessa ( Sez. 1,
n. 6821 del 31/01/2012 Chiesi, Rv. 252430; Sez. 6, n. 24250 del 04/04/2003,
P.M. in proc. De Palo, Rv. 225578).

5. Ciò posto, il ricorso è manifestamente infondato.
Il primo profilo di violazione di legge, con cui il difensore censura l’ordinanza
impugnata in relazione alla ritenuta presunzione di illecita provenienza dei beni
acquistati dalla ricorrente in epoca antecedente alla commissione dei reati, come
risultate dall’imputazione cautelare e, dunque, l’assenza di nesso eziologico tra i
reati contestati al coniuge e i beni acquistati antecedentemente alla commissione
del reato, è manifestamente infondato. Sin dalla pronuncia delle S.U. Montella, i
giudici nel massimo consesso, avevano affermato il principio secondo cui la
condanna per uno dei reati indicati nell’art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno
1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356,
comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorché, da un
lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i
proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e,
dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi. Di
talché, essendo irrilevante il requisito della “pertinenzialità” del bene rispetto al
reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto
che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è
intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato.
Tale principio è stato successivamente ribadito dalla giurisprudenza della Corte di
Cassazione che, sul solco della sentenza delle Sezioni Unite, ha riaffermato che
in tema di confisca dei beni patrimoniali prevista dall’art. 12 sexies D.L. n. 306

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secondo il preciso dettato al riguardo dell’art. 325 c.p.p. unicamente per

del 1992, è irrilevante il requisito della pertinenzialità tra bene da confiscare e
reato, sicché detta confisca non è esclusa per il fatto che i beni siano stati
acquisiti in epoca anteriore al reato per cui è intervenuta condanna (Sez. 3, n.
38429 del 09/07/2008, Sforza, Rv. 241273; Sez. 1, n. 8404 del 15/01/2009,
Bellocco, Rv. 242863). In presenza di una presunzione legislativa di illecita
accumulazione, non rileva se detti beni siano o meno derivanti dal reato per il
quale è stata inflitta la condanna ( Sez. 1, n. 11269 del 18/02/2009, Pelle, Rv.
243493; Sez. 6, n. 22020 del 22/11/2011, Notarangelo, Rv. 252849; Sez. 5, n.

Questa Corte, nel dare continuità al principio consolidato, osserva che, nel caso
concreto, i beni acquistati e sottoposti a sequestro risalgono al 2010 (le
autovetture) e al 2012 (le quote sociali della PIT STOP srl) e dunque la
collocazione temporale non è tale da escludere ictu ocuii qualunque correlazione
tra attività delittuosa e beni sequestrati tenuto conto della data di acquisto.
Peraltro a pag. 5 il Tribunale motiva sulla incapacità reddituale della famiglia
Alvaro-Catanea nell’anno di riferimento dell’acquisito dei beni, motivazione
rispetto alla quale la ricorrente nulla deduce.

6. Quanto alla censura dell’ordinanza nella parte in cui il Tribunale di Reggio
Calabria avrebbe ritenuto la sproporzione dei redditi del nucleo famigliare per
l’acquisto dei beni sequestrati, rileva,

in primis,

il Collegio che non è in

discussione né il reato presupposto, contestato al consjiditer della ricorrente,
ricompreso nel novero di quelli per cui deve essere disposta la confisca ai sensi
dell’art. 12 sexies cit, né che, con riferimento ai beni intestati alla medesima,
coniuge dell’indagato/condannato, ricorra la natura simulata dell’intestazione
attesa sproporzione degli stessi rispetto al suo reddito di bracciante agricolo che
secondo il Tribunale non consente alcun risparmio e dunque la capacità di
effettuare gli acquisti dei beni (cfr pag. 4). Per il resto, la censura si risolve in
una non consentita rivalutazione, in fatto, degli elementi sulla base dei quali è
stata calcolata la sproporzione opponendo, la ricorrente, una diversa e nuova
lettura degli stessi. In primo luogo il ricorso non contiene alcuna censura al
provvedimento impugnato nella parte in cui era stata esclusa la dedotta
provenienut lecita (donazione in occasione del matrimonio), la censura mira ad
una prospettazione di una capacità reddittuale, si da escludere la presunzione di
provenienza illecita, fondata su una allegazione (tabella) rappresentativa di un
reddito di oltre € 300.000, fondata su un diverso metodo di calcolo, come par di
capire dal tenore del ricorso, mediante sommatoria dei redditi dei singoli anni,
metodo, all’evidenza, non accoglibile a fronte della adeguata motivazione con cui
il Tribunale ha calcolato il reddito complessivo del nucleo famigliare e ne ha
dimostrato la sproporzione per ogni anno, non superata da serie allegazioni
4

193 58 del 21/02/2013 Rao, Rv. 255381)

difensive. Conclusivamente il motivo di ricorso appare diretto a sollecitare

4141,

esame della motivazione sotto il profilo della logicità della stessa e dunque a
prospettare un vizio di motivazione che, come tale, non è prospettabile in questa
sede al di fuori della mancanza della stessa che non è neppure prospettata dal
ricorrente.

5.

Infine, ai sensi dell’art. 585 comma 4 cod.proc.pen., l’inammissibilità

dell’impugnazione si estende al motivo nuovo.

rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 05/04/2016

6. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e

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