Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21953 del 05/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21953 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Fiorente Alessandro, nato a Torre Annunziata il 14/01/1990
Salierno Anna, nata a Torre Annunziata il 21/06/1960

avverso l’ordinanza del 06/03/2015 del Tribunale di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Delia Cardia che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Alessandro Fiorente ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza, in data 06/03/2015 (dep. 30/03/2015), del
Tribunale di Napoli con la quale – per quanto qui di rilievo – rigettava la richiesta
di riesame, ai sensi dell’art. 322 cod.proc.pen., del decreto di sequestro
preventivo disposto dal G.I.P., in data 22/12/2014, ai sensi dell’art. 12 sexies
legge 356 del 1992 in relazione – per la parte qui di interesse – ai beni immobili

Data Udienza: 05/04/2016

di sua proprietà siti in Trecase, via Vesuvio 129, provvedimento che confermava.
Alessandro Fiorente è indagato in ordine ai reati di cui agli artt. 73, 74 e 80
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per i quali è in atto sottoposto a misura cautelare,
procedimento nell’ambito del quale è stato disposto il sequestro preventivo di
beni immobili e mobili finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 12 sexies cit.
Deduce il ricorrente, con un unico motivo, la violazione della legge penale in
relazione alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 12 sexies cit. che, per
l’adozione del provvedimento di sequestro, richiede, da un lato la dimostrazione

confisca e, dall’altro, la mancata giustificazione della provenienza lecita dei beni
stessi, il cui onere probatorio, in presenza di presunzione relativa di illecita
provenienza dei beni, deve essere assolto dall’indagato. Nel caso in esame, il
Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non adempiuto l’onere probatorio della
legittima provenienza del denaro con cui erano stati acquisitati i beni immobili,
onere assolto dal ricorrente attraverso la dimostrazione che parte delle somme di
denaro utilizzate per l’acquisito dei beni immobili provenivano dalla madre
convivente del Fiorente e, in parte, dal tot mutuo le cui rate erano corrisposte
sempre dalla di lui madre. In particolare, la somma di € 90.000 era stata
corrisposta a mezzo di due bonifici bancari, in data 30 maggio 2012, tratti sul
conto corrente bancario della di lui madre, acceso presso la banca Fideuram spa,
e la somma di € 40.000 mediante assegno circolare emesso, in data 4 settembre
2012, dalla medesima banca; infine la parte restante, pari a C 120.000
proveniva da un contratto di finanziamento bancario, del 5 settembre 2012, che
Fiorente Alessandro aveva concluso con il Banco di Napoli spa, filiale di Pagani, al
cui adempimento delle rate provvedeva la di lui madre.

3. Il Procuratore Generale ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto
l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Va premesso che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il ricorso
avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari reali è proponibile,
secondo il preciso dettato al riguardo dell’art. 325 c.p.p. unicamente per
violazione di legge, potendo solo in tale ambito, in particolare venendosi a
prospettare la violazione dell’art.125 c.p.p., dedursi la totale assenza o
l’apparenza della motivazione perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere
comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel
provvedimento impugnato (tra le tante, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013,

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della sproporzione del reddito dichiarato ed il valore del bene da sottoporre a

Gabriele, Rv. 254893) con esclusione della deducibilità dei vizi della motivazione
sotto il profilo dell’illogicità, contraddittorietà, insufficienza della stessa ( Sez. 1,
n. 6821 del 31/01/2012 Chiesi, Rv. 252430; Sez. 6, n. 24250 del 04/04/2003,
P.M. in proc. De Palo, Rv. 225578).
Ciò posto, il ricorso è diretto a richiedere una diversa valutazione degli elementi
indiziari circa la provenienza lecita della provvista di denaro impiegata
nell’acquisito degli immobili, e dunque a richiedere una rivalutazione degli stessi,
come risulta desumibile dal riepilogo di cui sopra, con riguardo alla coerenza

sollecitare una esame della motivazione sotto il profilo della logicità della stessa
e dunque a prospettare un vizio di motivazione che, come tale, non è
prospettabile in questa sede. Non essendo vizio denunciabile, al di fuori della
deduzione della mancanza di motivazione che non ricorre nel caso in esame, la
censura è inammissibile.
5. Ed invero, l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi
giurisprudenziali in materia secondo cui in tema di sequestro preventivo di beni
confiscabili, a norma dell’art. 12-sexies, d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito
con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356, dalla accertata sproporzione
tra guadagni e patrimonio scatta una presunzione relativa di illecita
accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall’interessato sulla base
di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima
provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi
proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al
patrimonio legittimamente accumulato (Sez. 2, n. 29554 del 17/06/2015,
Fedele, Rv. 264147), di cui ha dato congrua motivazione, sicchè non è
prospettabile alcun vizio denunciabile in questa sede.
E’ noto che la legge n. 356 del 1991, art. 12 sexies dispone che, in caso di
condanna per alcuni determinati reati (fra cui quelli in materia di stupefacenti
per i quali risulta indagato il Fiorente): “è sempre disposta la confisca del
denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la
provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta
essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato
al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria
attività economica”. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha, da
tempo, stabilito, che i presupposti della confisca sono: 1) la mancata
giustificazione della lecita provenienza dei suddetti beni, 2) i beni devono essere
di valore sproporzionato rispetto al reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul
reddito, o all’attività economica. Sempre in tema si deve ricordare che, con la
sentenza delle S.U. n 920, del 17/12/2003, Montella, Rv 226490, sono stati
fissati) i principi ai quali la successiva giurisprudenza di questa Corte si è sempre

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logica del percorso motivazionale del Tribunale e dunque appare diretto a

adeguata, ossia la necessità che l’accusa deve provare la sproporzione o tra il
valore dei beni ed i redditi dichiarati o tra il valore dei beni e l’attività economica
svolta dall’indagato/imputato/condannato – salva, ovviamente, la possibilità di
allegare la prova contrariai la sproporzione dev’essere provata, dalla pubblica
accusa, non in relazione all’intero patrimonio ma al momento dell’acquisto di
ciascun bene di cui è disposta la confisca; la non necessità di vincolo
pertinenziale fra i beni confiscati ed i reati addebitati
all’indagato/imputato/condannato. In altri termini, ciò che la legge intende

Impastato, Rv. 249711; Sez. 1, n. 11049 del 05/02/2001, Di Bella, Rv. 226052)
ossia l’acquisto di beni al di fuori della propria lecita capacità reddituale nel
momento dell’acquisto, capacità che va commisurata alla legittima capacità di
spese, presunzione, iuris tantum, di illecito accumulo nel caso di sproporzione tra
il valore dei beni e i redditi dichiarati in presenza di soggetto indagatocondannato per taluno dei delitti ivi previsti. Ne consegue che, in termini di
distribuzione dell’onere probatorio, che, provata da parte dell’accusa la
sproporzione del bene rispetto alla capacità reddituale (lecita) del soggetto nel
momento in cui quel determinato bene entrò nel patrimonio dell’indagato, in
presenza di una presunzione

-iuris tantum-

di illecita accumulazione

patrimoniale, spetta all’interessato allegare circostanze specifiche dalle quali si
possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto
acquistato con proventi proporzionati alla capacità reddituale lecita e, quindi,
anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato.
6. Ciò posto, quanto al caso in esame, non è in discussione né il fumus commissi
delicti né la titolarità dei beni immobili di cui richiede la restituzione, avendo il
Fiorente la titolarità degli stessi. Infatti, il ricorrente è titolare del diritto di
proprietà dei beni immobili, acquisitati in data 5 settembre 2012. Egli ha
dedotto, per superare la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, la
legittima provenienza del denaro impiegato nell’acquisto perché proveniente
dalle ricchezze della di lui madre convivente Salierno Anna. Peraltro non è
neppure in discussione il dato della sua incapacità reddituale, non risultando egli
percettore, negli anni 2003-2013, di alcun reddito dichiarato. In tale situazione,
ha allegato, per superare la presunzione relativa di cui all’art. 12 sexies cit., che
l’impegno economico per l’acquisto degli immobili proveniva dalla risorse
economiche della di lui madre ed era dunque lecito. L’allegazione era dimostrata
per C 90.000 da due bonifici bancari, in data 30 maggio 2012, tratti sul conto
corrente bancario della di lui madre acceso presso la banca Fideuram spa, per la
somma di C 40.000 da un assegno circolare emesso in data 4 settembre 2012
dalla medesima banca e, per la parte restante pari a C 120.000 dal contratto di
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colpire è l’illecita accumulazione patrimoniale (Sez. 5, n. 3682 del 12/01/2011,

finanziamento bancario del 5 settembre 2012 che egli aveva concluso con il
Banco di Napoli spa, filiale di Pagani, al cui adempimento delle rate provvedeva
la di lui madre.
Orbene, il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente non avesse adempiuto all’onere
probatorio della legittima provenienza del denaro impiegato nell’acquisito dei
beni immobili e ha argomentato la conclusione sulla circostanza che nell’atto (A
notarile di compravendita defimmobili, risultava che la somma di C 90.000 era
stata corrisposta alla venditrice mediante tre assegni circolari, non emessi dalla

difesa erano per importi diversi e di gran lunga inferiori e con date incompatibili
con l’acquisito, e quanto all’allegazione dell’impegno al pagamento delle rate di
mutuo da parte della madre, la lettura del conto corrente intestato alla madre
evidenziava l’emissione di bonifici (sporadici), ma comunque per importi diversi
dalla rata del mutuo. La suddetta motivazione non si presta ad alcuna censura,
tanto più ove si consideri che la motivazione, con il ricorso per cassazione, può
essere censurata solo sotto il profilo della motivazione omessa o apparente che
non ricorre, all’evidenza, nel caso in esame.
7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 05/04/2016

Salierno Anna, madre del ricorrente, e che le matrici degli assegni indicati dalla

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