Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21952 del 09/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21952 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BEVILACQUA FERNANDO nato il 20/04/1970 a FOGGIA

avverso la sentenza del 01/03/2016 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di
FOGGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FILIPPO CASA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA
FRANCESCA LOY
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata
perché il fatto non costituisce reato.

Udito il difensore

Data Udienza: 09/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 1.3.2016, il G.U.P. del Tribunale di Foggia applicava a
BEVILACQUA Fernando, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena di nove mesi di reclusione, previa
esclusione della recidiva, in relazione ai reati, avvinti dalla continuazione, di cui agli artt. 75,
comma 2, e 73 D. Lgs. n. 159/2011, ritenendo configurabile quest’ultimo reato (art. 73 D.Lgs.
n. 159/2011) in luogo della contravvenzione di guida senza patente prevista dall’ad. 116,

parti.
2. Ricorre personalmente il BEVILACQUA deducendo, in primo luogo, violazione di legge
ex art. 606, lett. b) e c), c.p.p..
Il G.U.P. di Foggia avrebbe dovuto emettere sentenza di applicazione della pena
unicamente per il delitto di cui all’art. 75, comma 2, D.Lgs. n. 159/2011.
Ed invero, a seguito della disposta depenalizzazione del reato contravvenzionale di cui
all’art. 116, comma 15, C.d.S., l’accordo sulla pena intervenuto tra le parti avrebbe dovuto
considerarsi riferibile al solo reato di cui all’ad. 75 D. Lgs. n. 159/2011, sicché la
riqualificazione di un reato divenuto illecito amministrativo in uno attualmente in vigore aveva
inficiato la legittimità dell’accordo medesimo.
Altro profilo di illegittimità della sentenza si rinveniva nella violazione del principio del
contraddittorio tra le parti, avendo il Giudice proceduto alla riqualificazione del fatto di cui
all’art. 116 C.d.S. senza mettere in condizione l’imputato di interloquire al riguardo.
Inoltre, in virtù del rapporto di specialità reciproca intercorrente tra i due reati oggetto
di patteggiamento come qualificati dal Giudice, si sarebbe dovuto risolvere il concorso
apparente di norme adottando il criterio di maggiore specialità, costituito dall’obbligo di
soggiorno, previsto soltanto dall’ad. 75 D. Lgs. n. 159/2011.
Infine, affinché la suddetta riqualificazione non risultasse in contrasto con l’art. 6,
paragrafo 3, lett. a) e b), della Convenzione EDU, il Giudice avrebbe dovuto verificare se fosse
stato sufficientemente prevedibile che l’accusa inizialmente formulata potesse essere
riqualificata, prevedibilità che, alla luce delle considerazioni svolte dal G.I.P. in sede di
convalida dell’arresto (a proposito dell’assorbimento del reato di cui all’ad 73 in quello previsto
dall’art. 75 D. Lgs. n. 159/2011), doveva ragionevolmente escludersi.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 125, comma 3, c.p.p. e 111,
comma 6, Cost., per il mancato rispetto dell’obbligo di motivazione circa la riqualificazione
giuridica del fatto, non potendo ritenersi sufficiente, quale mera aggiunta sul modulo
prestampato, la frase “in luogo del 116 C.d.S. debba intendersi art. 73 L. 159/11” non
preceduta da alcuna spiegazione, neppure sintetica.

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comma 15, del Codice della Strada, originariamente contestata e confermata dall’accordo delle

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, sia pure per ragioni che si distinguono, in buona parte, da quelle
dedotte dal ricorrente.
2. Il Giudice di Foggia è incorso in un preliminare e assorbente error in procedendo nella
misura in cui, avendo ritenuto di pervenire a diversa qualificazione giuridica del fatto (art. 73 D.
Lgs. n. 159/2011 in luogo della contravvenzione di guida senza patente prevista dall’art. 116,

avrebbe dovuto, ma l’ha ratificata, applicando una pena, peraltro, coincidente con quella
originariamente concordata tra le parti.
Il Giudicante ha, nella specie, disatteso il costante orientamento espresso da questa
Corte, e che qui si ribadisce, secondo il quale «in tema di applicazione della pena concordata,
poiché tale rito speciale comporta un accordo sulla pena, ma non anche sul fatto-reato, il
giudice ha l’obbligo di procedere ex officio a verifica non meramente formale (limitata cioè alla
esattezza della qualificazione giuridica del fatto e, dunque, alla correttezza estrinseca della
imputazione), ma anche sostanziale e specifica, vale a dire estesa alla fattispecie concreta
quale emerge dagli atti; con la conseguenza che dovrà essere dichiarata inammissibile la
richiesta di patteggiannento, non solo nel caso di inesatta qualificazione giuridica del fatto
contestato, ma anche nel caso di errore sul nomen iuris, originato dalla contestazione di un
fatto diverso da quello risultante dagli atti. D’altra parte, dall’obbligo di correlazione tra
imputazione e sentenza, applicabile anche nei procedimenti speciali, consegue che, quando il
giudice ritenga di dover pervenire a diversa qualificazione giuridica del fatto, non potendo egli
modificare l’imputazione, deve respingere la richiesta e procedere con rito ordinario, mentre,
quando egli accerti la diversità del fatto, deve necessariamente restituire gli atti al P.M.» (Sez.
5, n. 40797 del 19/4/2013, Traini, Rv. 257188; v. anche, nello stesso senso, Sez. 6, n. 6510
dell’11/12/2003, dep. 17/2/2004, P.G. in proc. Rossi, Rv. 228272; Sez. 5, n. 467 del
26/1/1999, Tavagnacco, Rv. 213185).
2.1. Il G.U.P. di Foggia, tra l’altro, nel procedere alla riqualificazione

de qua, ha

trascurato che, alla data di emissione della sentenza di “patteggiamento” (1.3.2016), il reato di
cui all’art. 116 C.d.S., oggetto della riqualificazione nel reato di cui all’art. 73 D. Lgs. n.
159/2011, era stato depenalizzato (e trasformato in illecito amministrativo) in virtù dell’art. 1,
comma 2, del D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, in vigore dal 6 febbraio 2016.
Anche alla luce del descritto profilo l’accordo originario tra le parti, ancor prima della
ritenuta riqualificazione, non avrebbe potuto essere ratificato dal Giudice, atteso che, secondo
la giurisprudenza prevalente cui si aderisce, in caso di patteggiamento per una pluralità di reati,
qualora nel corso del giudizio il reato base o una delle violazioni “satellite” vengano
depenalizzati, il venir meno di uno dei termini essenziali del contenuto dell’accordo che ha
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comma 15, del Codice della Strada), non ha respinto la richiesta di “patteggiamento”, come

portato al patteggiamento travolge l’intero provvedimento e impone l’annullamento della
sentenza per una nuova valutazione delle parti, poiché l’abolizione incide in modo significativo
in ordine sia alla determinazione dell’aumento in continuazione, che alla valutazione
complessiva della condotta contestata (Sez. 2, n. 40259 del 14/7/2017, Ndiaye, Rv. 271035).
3. Ad ogni modo, principale e processualmente assorbente motivo di annullamento della
sentenza impugnata rimane quello rilevato per primo, costituito dall’avere il G.U.P. pugliese
erroneamente ratificato l’accordo tra le parti sui reati indicati in premessa, nonostante egli

depenalizzato) nel reato di cui all’art. 73 D. Lgs. n. 159/2011, mentre, non potendo modificare
l’imputazione, si sarebbe dovuto limitare a respingere la richiesta delle parti e procedere con
rito ordinario.
4. La sentenza va, dunque, annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Giudice
a quo per l’ulteriore corso.

5. Vale la pena precisare che il Giudice del processo non potrà che prendere atto, non
solo della intervenuta depenalizzazione del reato di guida senza patente di cui all’art. 116,
comma 15, C.d.S., ma anche della recente evoluzione giurisprudenziale sovranazionale e
nazionale sviluppatasi a proposito del reato di cui all’art. 75, comma 2, D. Lgs. n. 159/2011, il
cui contenuto precettivo, oggi, può ritenersi integrato esclusivamente dalle prescrizioni cd.
“specifiche” e non da quelle, contestate nel caso di specie, di “vivere onestamente” e di
“rispettare le leggi”.
Si intende fare richiamo alla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 40076 del
27/4/2017, ric. Paternò (Rv. 270496), che, come noto, ha tratto scaturigine dalla sentenza
della Corte EDU, GC, 23/2/2017, De Tommaso c. Italia, in rapporto alle affermazioni riferibili,
direttamente o indirettamente, al reato previsto dall’art. 75, comma 2, D. Lgs. n. 159 del 2011.
Nell’occasione, le Sezioni Unite hanno inteso riesaminare la coerenza di una giurisprudenza di
legittimità che, costantemente, aveva ritenuto che la prescrizione di vivere onestamente
rispettando le leggi integrasse il reato previsto dall’art. 9 L. n. 1423/56, ora trasfuso nel nuovo
art. 75, comma 2, D. Lgs. n. 159/11 – in perfetta linea di continuità normativa con la
precedente fattispecie (cfr. Sez. 5, n. 49464 del 26/6/2013, Minnella, Rv. 257933) – proprio
alla luce di una interpretazione convenzionalmente orientata e conforme ai principi di tipicità,
precisione, determinatezza e tassatività delle norme incriminatrici.
Alla luce di tale interpretazione, è stato chiaramente affermato – e recepito in numerose
decisioni successive delle sezioni semplici (ad es., Sez. 1, n. 53402 del 10/10/2017, Maugeri,
n.m.) – che la violazione della regola dell’honeste vivere non può considerarsi idonea, per sua
natura intrinseca, a fondare il profilo precettivo dell’incriminazione, connotandosi d’intrinseca
genericità e tendendo a incriminare un modo di vita e di essere del singolo, piuttosto che una

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fosse addivenuto alla riqualificazione del reato contravvenzionale di cui all’art. 116 C.d.S. (già

specifica condotta antigiuridica lesiva in concreto di valori penalmente protetti, in linea con un
diritto penale del fatto.

P.Q.M.

Annulla\d-a- sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al G.U.P. del Tribunale di
Foggia per l’ulteriore corso.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2018

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