Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21937 del 05/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21937 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Fiori° Domenico, nato a Catania, il 26/07/1965

avverso la sentenza del 02/07/2015 della Corte d’appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano
Tocci, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. – Con sentenza del 2 luglio 2015, la Corte d’appello di Catania ha confermato
la sentenza del locale Tribunale con la quale Domenico Florio era stato
condannato, alle pene di legge, in relazione al reato di cui all’art. 73 comma 4
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso in Catania il 30/04/2014.
In particolare, il giudice di secondo grado ha rilevato che il quadro
probatorio, in relazione alla detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente
del tipo marijuana del peso di grammi 1.054,800, da cui erano ricavabili n.
4113,7, come evidenziato dal giudice di primo grado, era solido e si fondava sul

Data Udienza: 05/04/2016

rinvenimento della sostanza stupefacente nell’autovettura nella disponibilità del
ricorrente, disponibilità dimostrata dal fatto che egli era stato trovato in possesso
dei documenti dell’auto, anche se formalmente intestata a terzi,

eet che era

parcheggiata in stato di abbandono su un terreno di terzi, ma accanto alla sua
abitazione, elementi probatori conducenti ad attribuirne la disponibilità al
ricorrente. Priva di pregio era ritenuta la ricostruzione alternativa difensiva
secondo cui il ricorrente aveva abbandonato l’autovettura con le chiavi inserite, e
che, dunque, era divenuta luogo accessibile a tutti, sicchè chiunque avrebbe

nulla credibile, proseguono i Giudice del merito, atteso che l’auto era
parcheggiata nelle immediate vicinanze dell’abitazione, che il medesimo
ricorrente aveva i documenti e l’autovettura era risultata chiusa a chiave (il
ricorrente aveva, anche, dichiarato di averle smarrite).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Domenico Florio, a
mezzo del difensore di fiducia e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, con un
unico motivo, la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in
relazione alla contraddittorietà e insufficienza della motivazione del
provvedimento impugnato. La corte territoriale sarebbe pervenuta
all’affermazione della responsabilità penale del ricorrente violando i canoni di
valutazione probatoria e della regola dell’oltre ragionevole dubbio nella
valutazione degli elementi posti a base dell’affermazione della responsabilità
penale, non essendovi, nel caso in esame, alcuna prova sull’attribuibilità del
possesso della sostanza stupefacente in capo al Florio, come evidenziato nei
motivi di appello. La Corte d’appello avrebbe, poi, violato il principio dell’obbligo
di motivazione delle decisioni giudiziarie dal momento che la sentenza ricalca per
relationem la ricostruzione dei fatti del giudice di primo grado senza nulla
aggiungere al percorso argomentativo, avvalorando le congetture illogiche
seguite dal primo giudice. Infine, analogo difetto motivazione ricorre con
riferimento alla dosimetria della pena e al diniego del riconoscimento delle
circostanza attenuanti generiche in considerazione dell’ ” ottimo comportamento
processuale”.

3. Il Procuratore Generale, in udienza, ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile attesa la genericità del motivo.
Ed invero, il ricorso contiene, oltre ad affermazione assertive e prive di

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potuto occultare la droga all’interno e poi portare via le chiavi, ricostruzione per

riferimento al caso concreto, un riepilogo della giurisprudenza sulla
configurazione del vizio di motivazione e sulla nozione e valutazione della prova
indiziaria, anche ai fini della pronuncia assolutoria in presenza di dubbio, privi di
qualsivoglia critica della sentenza impugnata. Ed invero il ricorrente si limita a
censurare il provvedimento impugnato con affermazione assertiva dell’assenza di
prova dell’attribuibilità della detenzione dello stupefacente in capo al Florio,
mediante generico richiamo ai motivi di appello, laddove, al contrario, la
sentenza, ripercorrendo il percorso argomentativo del Tribunale ha confermato la

disatteso, con motivazione puntuale, i rilievi difensivi con argomento logico e
dunque incensurabile in questa sede.
La corte d’appello ha diffusamente motivato sulle ragioni per le quali ha ritenuto
fondata, sugli elementi probatori, la ricostruzione accusatoria e, per contro, ha
disatteso puntualmente la ricostruzione difensiva, connotata da evidente
illogicità ( vedi par. 1 del ritenuto in fatto).
Neppure può prospettarsi il dedotto vizio di motivazione sotto il profilo della
carenza motivazionale in relazione alla mancata risposta dei giudici
dell’impugnazione sulle censure mosse nell’atto di appello. Deduce il ricorrente
che la sentenza impugnata si sarebbe limitata a richiamare per relationem la
motivazione della sentenza di primo grado riproponendo lo stesso argomentare
per congetture illogiche sull’attribuibilità della detenzione dello stupefacente al
ricorrente. Orbene, come è stato più volte affermato da questa Corte, quando le
sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione
degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura
motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per
formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicché è possibile, sulla base
della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della
sentenza di appello ( tra le tante Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Rv. 256435,
Sez. 4, 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735).
Va, altresì, rilevato che l’ambito della necessaria autonoma motivazione del
Giudice d’appello, di cui deve rivenirsi traccia nella sentenza di appello, risulta
correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall’appellante,
sicchè se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già
adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di
questioni genetiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice
dell’impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare
argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. (Sez.2,
n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013,
Autieri, Rv. 257056; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Santapaola, Rv. 256435;
Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Baretti, Rv. 239735). La sentenza impugnata

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ricostruzione dei fatti del Tribunale, fondata sulle emergenze processuali, ed ha

ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia, avendo i
giudici di appello, riportato i motivi di appello svolti dalla difesa ai quali hanno
adeguatamente risposto dando rilievo ad una pluralità di circostanze ( vedi par. 1
del ritenuto in fatto), che conducevano a disattendere la tesi difensiva
dell’accessibilità a chiunque all’autovettura all’interno della quale vi era la droga,
tesi illogica e comunque smentita sulla base delle evidenze probatorie. Parimenti
insussistente è la carenza motivazionale in relazione al diniego delle circostanze
attenuanti generiche, logicamente escluse in ragione della gravità dei fatti e dei

criteri di cui all’art. 133 cod.pen.
In definitiva il ricorso, connotato da evidente genericità, deve essere dichiarato
inammissibile ai sensi degli artt. 581 comma 3 lett.c ) e 591 comma 1 lett c)
cod.proc.pen.
5. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna di Domenico Florio al
pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto,
poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000,
n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato
presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 05/04/2016

precedenti penali e in punto dosimetria della pena determinata, avuto riguardo ai

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