Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21935 del 26/04/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21935 Anno 2018
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile MARADEI FRANCESCO nato il 22/04/1944 a ROTONDA
nel procedimento a carico di:
MAURO EZIO nato il 24/10/1948 a DRONERO
BONSANTI GIORGIO nato il 25/09/1944 a FIRENZE
avverso la sentenza del 03/04/2017 del GIP TRIBUNALE di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO CAPUTO

Uditi in pubblica udienza: il Sostituto Procuratore generale della Repubblica
presso questa Corte di cassazione dott. L. Orsi, che ha concluso per
l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; l’avv. G. Ferri, in
sostituzione dell’avv. L. Tafi, per la parte civile, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso; l’avv. E. Grosso, in sostituzione dell’avv. C. F. Grosso,
per gli imputati, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e, in via
subordinata, per il suo rigetto.

Data Udienza: 26/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Nei confronti di Giorgio Bonsanti veniva esercitata l’azione penale per il
reato di diffamazione a mezzo stampa, perché, in un articolo pubblicato sul
quotidiano La Repubblica del 27/08/2015 intitolato “Ma perché quel giudice
maltratta l’eccellenza del restauro”, offendeva l’onore e la reputazione di
Francesco Maradei, magistrato in servizio presso il Tribunale penale di Firenze,
rappresentandolo come un magistrato incapace e incompetente; in particolare,

Palazzo Tornabuoni a Firenze, affermava che alcune considerazioni effettuate dal
magistrato sull’ammissibilità del cambio di destinazione d’uso erano superflue,
mentre altre erano ingiustificate o false, e richiamava un’altra decisione del
magistrato – riformata in appello – priva di attinenza con la sentenza in
questione. Nei confronti di Ezio Mauro veniva esercitata l’azione penale per il
reato di omesso controllo ex art. 57 cod. pen. in relazione al reato ascritto a
Bonsanti.
Con sentenza deliberata il 03/04/2017, il Giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale di Genova ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti degli
imputati in ordine ai reati a ciascuno ascritti, ritenendo le espressioni contenute
nell’articolo riconducibili all’esercizio del diritto di critica.

2. Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione la persona
offesa costituita parte civile Francesco Maradei, attraverso ii difensore e
procuratore speciale avv. L. Tafi, articolando tre motivi di seguito enunciati nei
limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia inosservanza dell’art. 425 cod. proc. pen. e vizi di
motivazione. Il G.U.P. ha trattato la questione nel merito con articolata e ampia
motivazione che dimostra come l’insussistenza del fatto fosse tutt’altro che
evidente e ha trascurato del tutto il problema della necessità della valutazione
dell’acquisizione dibattimentale della prova.
Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione, in relazione all’attribuzione
da parte dell’imputato alla sentenza di Maradei di una tesi mai sostenuta, ossia
che il restauro della Cappello Sistina aveva alterato l’opera, tanto più che la
stessa sentenza aveva sostenuto che anche le opere vincolate potevano subire
un mutamento della destinazione d’uso, tesi, questa, sostenuta anche da
Bonsanti, il che evidenzia il nucleo del contenuto diffamatorio dell’articolo, che
attribuiva a Maradei la tesi in realtà sostenuta solo dal P.M.
Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine al mancato rispetto del
criterio della continenza, in quanto lo stesso G.U.P. considera malevola
l’affermazione dell’articolo che altra sentenza del magistrato in diverso processo

2

commentando la sentenza emessa da Maradei nel processo relativo al restauro di

era stata riformata (peraltro solo parzialmente) in appello, affermazione
palesemente e completamente estranea al contenuto dell’articolo in esame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Il primo motivo non è fondato.

questa Corte, pur dopo le modifiche impresse all’udienza preliminare dalla legge
16 dicembre 1999 n. 479 «l’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo,
dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto all’epilogo decisionale, non
attribuisce allo stesso il potere di giudicare in termini di anticipata verifica
della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poiché la valutazione critica di
sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi
probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma dell’art. 425, è
sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo
prognostico, divenuta oggi più stabile per la tendenziale completezza delle
indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale,
utilità del dibattimento in ordine alla regíudicanda», sicché «il radicale
incremento dei poteri di cognizione e di decisione del giudice dell’udienza
preliminare, pur legittimando quest’ultimo a muoversi implicitamente anche nella
prospettiva della probabilità di colpevolezza dell’imputato, non lo ha tuttavia
disancorato dalla fondamentale regola di giudizio per la valutazione prognostica,
in ordine al maggior grado di probabilità logica e di successo della prospettazione
accusatoria ed all’effettiva utilità della fase dibattimentale, di cui il legislatore
della riforma persegue, espressamente, una significativa deflazione» (Sez. U, n.
39915 del 30/10/2002, Vottari).
La sentenza impugnata non esorbita dai confini del giudizio prognostico circa
l’inutilità del dibattimento, avendo fondato la decisione sulla disamina, alla luce
delle deduzionì articolate dalla querela, della motivazione della sentenza redatta
dalla persona offesa, da un lato, e, dall’altro, dell’articolo oggetto delle
imputazioni: nei termini indicati, la decisione di non luogo a procedere non fa
leva su fonti di prova che si prestano ad una molteplicità ed alternatività di
soluzioni valutative superabile solo attraverso le verifiche e gli approfondimenti
propri della fase del dibattimento (Sez. 6, n. 6765 del 24/01/2014, Luchí, Rv.
258806), ma sulla qualificazione delle espressioni contenute nell’articolo in
questione e sulla loro riconducibilità all’esercizio del diritto di critica. Né in senso
contrario può argomentarsi sulla base del rilievo relativo alla necessità della
valutazione dell’acquisizione dibattimentale della prova, rilievo articolato dal

3

In premessa, mette conto ribadire che, come chiarito dalle Sezioni unite di

ricorrente in termini del tutto aspecifici, che confermano il carattere prognostico
individuabile nella ratio decidendi della sentenza impugnata.

3. Anche il secondo e il terzo motivo, che possono essere esaminati
congiuntamente per la connessione logico-argomentativa dei temi sviluppati, non
meritano accoglimento.
3.1. La decisione impugnata ha rilevato che l’articolo di Bonsanti non ha un
tono irridente o canzonatorio, non trasmoda in una mera aggressione verbale,

sentenza della persona offesa: il g.u.p. ha escluso, in particolare, la ravvisabilità
nell’articolo di un attacco personale lesivo della dignità morale e professionale
del magistrato e, dunque, la sua descrizione come incompetente e incapace,
secondo le connotazioni delle espressioni indicate nell’imputazione. Rimarcato
che Bonsanti è un’autorità scientifica in materia di restauro, che esprime opinioni
autorevoli anche in contrasto con le affermazioni della sentenza della persona
offesa, il g.u.p. rileva che l’articolo riporta un passo di tale sentenza nel quale si
fa riferimento al restauro della Cappella Sistina, “fortemente ritoccata”, e osserva
che detto giudizio è falso, in quanto il ritocco operato fu limitatissimo, sicché
l’affermazione del magistrato risulta del tutto ingiustificata, così come l’altra
affermazione secondo cui il fine dei restauratori sarebbe stato riportare i colori
allo stato originario, concludendosi poi con un riferimento ad altra sentenza del
giudice Maradei riformata in appello. Osserva al riguardo il Giudice dell’udienza
preliminare che l’articolo non contiene il grave travisamento denunciato dal
querelante, trattandosi di questione meramente lessicale, ossia se la frase
riportata nella sentenza (“fortemente ritoccata”) sia equivalente ad “alterato”,
termine introdotto dal querelante e non dall’articolo; né, rileva ancora la
sentenza impugnata, costituisce diffamazione sostenere che alcune delle
considerazioni svolte dal giudice sono “superflue”.
3.2. Le censure articolate con il secondo motivo non inficiano la motivazione
della sentenza impugnata. Quelle incentrate sulla dedotta attribuzione alla
persona offesa della tesi secondo cui il restauro avrebbe alterato la Cappella
Sistina sono state esaminate dalCi/ g.u.p., che, per un verso, ha sottolineato
come il temine “alterato” sia stato evocato dal querelante, ma non dall’articolo in
questione e, per altro verso, ha delineato la sostanza del punto in discussione,
ritenendola meramente lessicale: rilievi, questi, non oggetto di specifica
disamina critica e, comunque, del tutto idonei a dar conto della ritenuta
riconducibilità del fatto all’esercizio del diritto di critica (per di più, nel percorso
argomentativo della decisione impugnata, da parte di un’autorità scientifica nella
materia del restauro). Anche l’ulteriore doglianza circa la possibilità di operare un
mutamento della destinazione d’uso delle opere vincolate non merita

ma esprime un giudizio fortemente critico sulle argomentazioni svolte nella

accoglimento: nei termini in cui è riportato nel capo di imputazione, il brano
dell’articolo a firma Bonsanti relativo al punto in esame si limita ad affermare che
«alcune delle considerazioni svolte da Maradei nelle motivazioni della sentenza
rivolte a giustificare l’ammissibilità di un cambio di destinazione […] sono
superflue»; viene dunque in rilievo – non già, come sostenuto dal ricorso,
l’attribuzione di una tesi contraria all’ammissibilità di detto mutamento, ma – un
mero giudizio di superfluità della considerazioni svolte al riguardo dalla sentenza
del magistrato, giudizio rispetto al quale la sentenza impugnata, con motivazione

dell’articolo, di per sé non offensiva.
3.3. Né merita accoglimento il terzo motivo: pur riconoscendo il carattere
malevolo del riferimento contenuto nell’articolo circa la riforma in appello di altra
sentenza della persona offesa, il g.u.p. ha rilevato che detto riferimento
corrisponde a verità, posto che la decisione in questione era stata riformata su
un punto decisivo oggetto, all’epoca, di dure polemiche ampiamente
pubblicizzate. Nei termini indicati, la motivazione della sentenza impugnata è
immune dal vizio denunciato, posto che la – veridica – affermazione contenuta
nell’articolo di Bonsanti – che, comunque, non investiva il nucleo essenziale delle
espressioni di cui il querelante lamentava il carattere diffamatorio – non si
traduceva in espressioni gravemente infamanti e inutilmente umilianti tali da
trasmodare in una mera aggressione verbale del soggetto criticato (Sez. 5, n.
18170 del 09/03/2015, Mauro, Rv. 263460).

4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 26/04/2018.

immune da vizi logici, ha rilevato che si tratta di opinione personale dell’autore

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