Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21933 del 17/04/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21933 Anno 2018
Presidente: MICCOLI GRAZIA
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FARRUGGIO SALVATORE nato il 10/03/1972 a DESIO

avverso la sentenza del 10/10/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROBERTO AMATORE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
Udito il difensore
l’avvocato MORONI ROBERTO, si riporta ai motivi del ricorso.

Data Udienza: 17/04/2018

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato la condanna emessa
dal Tribunale di Monza in data 9.3.2016 per i reati di bancarotta patrimoniale e documentale,
aggravati ai sensi dell’art. 219 comma 2 n. 1 I. fall..
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua
impugnativa a ben cinque motivi di doglianza.
1.1Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, vizio di violazione di legge nonché vizio

per legittimo impedimento del difensore. Si stima, pertanto, in riferimento alla predetta
doglianza, violazione degli artt. 178, 179, 419, 420 ter, 429 cod. proc. pen. e 24 Cost., con
conseguenziale nullità del decreto che dispone il giudizio e degli atti successivi.
Si evidenzia, da un lato, che la rilevanza temporale della prima comunicazione dell’avviso di
fissazione dell’udienza preliminare non era tale da giustificare il diniego per altro concorrente
impegno professionale non rinviabile.
Osserva ancora la difesa che il diverso procedimento penale pendente innanzi al Tribunale di
Como si trovava in una situazione processuale diversa rispetto al procedimento di cui oggi si
invoca la lamentata violazione del diritto di difesa, atteso che quel procedimento annoverava la
presenza di ben otto imputati.
Si evidenzia, inoltre, che al momento della celebrazione dell’udienza preliminare la prescrizione
era ancora lontana dal suo maturarsi.
Osserva, peraltro, la difesa del ricorrente che, nell’udienza preliminare del diverso
procedimento per il quale era maturata la ragione dell’impedimento a comparire del difensore,
erano stati chiesti riti alternativi che richiedevano inderogabilmente la presenza del difensore.
1.2 Con un secondo motivo si articola vizio di violazione di legge e vizio argomentativo in
riferimento alla mancata riqualificazione dei fatti contestati come bancarotta semplice
documentale ed in riferimento, dunque, all’insussistenza dell’elemento psicologico del reato di
cui all’art. 216 I. fall.
1.3 Con un terzo motivo si articola vizio di erronea applicazione della legge penale e vizio

argomentativo in punto di mancato accoglimento dell’istanza di rinvio dell’udienza preliminare

argomentativo in relazione alla contestazione della bancarotta patrimoniale distrattiva.
Si evidenzia che, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare e cristallizzate
nella relazione ex art. 33 I. fall., non era ipotizzabile una distrazione penalmente rilevante
atteso che lo stesso curatore aveva evidenziato che i beni oggetto dei contratti di leasing non
rinvenuti non sarebbero stati comunque acquisiti al patrimonio fallimentare per
antieconomicità dell’opzione di subentro e dunque alcun pregiudizio economico era rinvenibile
nel mancato ritrovamento dei predetti beni.
1.4 Con un quarto motivo si articola vizio di violazione di legge e vizio argomentativo in
relazione alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 219, ultimo comma, I. fall..
Si evidenzia che – anche sulla scorta delle valutazioni contenute nel terzo motivo ( e secondo le
quali le distrazioni dei beni oggetto di leasing non integravano comunque una condotta
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penalmente rilevante) – il pregiudizio ai creditori discendente dal fallimento dell’imprenditore
fallito era stato minimale.
1.5 Con il quinto motivo si articola vizio di violazione di legge e vizio argomentativo per la
mancata concessione delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è infondato.

2.1.1 Non può che confermarsi ( e richiamarsi ), anche in questa sede, la corretta risposta
argomentativa fornita dalla Corte territoriale alla medesima doglianza già sollevata dalla difesa
nei motivi di gravame.
2.1.2 Si aggiunga alla già corretta motivazione fornita in appello che la difesa del ricorrente
non ha neanche allegato, per legittimare la sua richiesta di rinvio dell’udienza preliminare per
legittimo impedimento del difensore, l’impossibilità di farsi sostituire nell’udienza da ultimo
indicata con le relative ragioni ostative.
Sul punto va ricordato che, secondo gli insegnamenti di questa Corte in tema
di legittimo impedimento a comparire del difensore, non costituisce ostacolo alla possibilità di
conferire il mandato ad altro legale anche la mera indicazione dell’assistito di volersi avvalere
solo del legale di fiducia e non di sostituti processuali, né la sua mancata autorizzazione
espressa

alla

nomina

in

sostituzione

(Sez. 5, Sentenza n. 48912 del 28/09/2016 Ud. (dep. 18/11/2016 ) Rv. 268166). In realtà, la
lettera dell’art. 102 cod. proc. pen. rimanda al patrono, e non al patrocinato, la competenza
sulla nomina di un sostituto processuale.
Orbene, la istanza difensiva volta ad ottenere il reclamato rinvio d’udienza mancava di una
compiuta allegazione in ordine al decisivo profilo da ultimo menzionato, profilo la cui mancanza
non determina la condizione di legittimo impedimento del difensore a comparire in udienza.
Ne consegue la infondatezza della censura processuale così sollevata.
2.2 Il secondo motivo di ricorso è invece inammissibile in ragione della sua evidente genericità.
Si aggredisce la motivazione – resa, peraltro, in termini adeguati e giuridicamente corretti da
parte della Corte ambrosiana – sul profilo della sussistenza dell’elemento psicologico dei fatti
contestati a titolo di bancarotta documentale, e ciò con argomentazioni generiche inidonee ad
inficiare la complessiva tenuta logica della motivazione resa sul punto da parte della Corte di
merito.
2.2.1 Tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di
inammissibilità, della specificità dei motivi : il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le
censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare
gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.
Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581,
comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza – come
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2.1 Già il primo motivo di censura non è meritevole di positivo apprezzamento.

accennato – adeguata e corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura
formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed
esercitare il proprio sindacato.
2.3 II terzo motivo è invece infondato.
2.3.1 Sul punto non possono essere dimenticati gli insegnamenti di questa Corte secondo i
quali – in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale ed in caso di bene pervenuto all’impresa
a seguito di contratto di “leasing” – qualsiasi manomissione del medesimo che ne impedisca

fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell’inadempimento delle
obbligazioni

verso

assunte

il

concedente

(Sez. 5, Ordinanza n. 9427 del 03/11/2011 Cc. (dep. 12/03/2012 ) Rv. 251995).
Invero, quel che rileva, al fine di verificare l’integrazione del reato distrattivo, è la disponibilità
di fatto, in capo all’utilizzatore, dei beni successivamente distratti, considerato che, comunque,
la sottrazione del bene comporta un pregiudizio per la massa fallimentare che viene gravata
dell’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione ( così anche
Sez. 5, Sentenza n. 44350 del 17/06/2016 Ud. (dep. 20/10/2016) Rv. 268469).
2.3.1.1 E’ noto che il contratto di leasing, o locazione finanziaria, è il negozio atipico col quale
una parte denominata concedente, dietro corrispettivo di un canone periodico, concede ad
un’altra parte (utilizzatore) il godimento di un bene, con facoltà di restituirlo al termine
prefissato ovvero di “riscattarlo” dietro pagamento di una specificata somma residua.
Tale essendo la struttura del rapporto giuridico, ne deriva che la proprietà del bene, in
pendenza del termine di durata, rimane in capo al concedente e il relativo trasferimento è solo
eventuale in quanto dipende dalla scelta dell’utilizzazione, che sarà effettuata in base a una
valutazione della residua utilità economica della cosa, in rapporto all’ammontare del prezzo di
“riscatto”.
Ne consegue, ancora, che, in caso di successivo fallimento, qualunque manomissione da parte
dell’utilizzatore, tale da impedire l’acquisizione del bene alla massa, comporta distrazione non
già del bene medesimo, ma dei diritti esercitabili dal fallimento al termine del contratto,
determinando altresì per i creditori il pregiudizio derivante dall’inadempimento delle
obbligazioni verso il concedente (v. sez. 5, n. 33380 del 18/07/2008, Bottamedi, Rv.
241397; Sez. 5, n. 6882 del 08/04/1999, Trifiletti, Rv. 213604). Nei caso di cessione del
contratto ad altro utilizzatore, invece, il nocumento per la massa è soltanto eventuale, in
quanto si realizza soltanto se possa affermarsi che la prosecuzione del rapporto da parte del
curatore avrebbe recato in concreto una risorsa economica positiva e non un onere: e al
relativo accertamento è condizionata la responsabilità dell’imprenditore cedente a titolo di
bancarotta fraudolenta patrimoniale (Sez. 5, n. 3612/07 del 06/11/2006, Tralicci, Rv.
236043; Sez. 5, n. 30492 del 23/04/2003, Lazzarini, Rv. 227705).
2.3.1.2 E’ stato, per vero, affermato dalla giurisprudenza di legittimità che “in materia di
bancarotta fraudolenta, nella nozione di beni appartenenti al fallito rientrano le cose oggetto
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l’acquisizione alla massa integra il reato determinando la distrazione dei diritti esercitabili dal

del diritto di proprietà, dei diritti “immateriali”, i crediti, ma non quei beni che non siano mai
entrati nel di lui patrimonio. Non sono beni dell’imprenditore quelli che sono nella sua limitata
disponibilità, per averli egli ricevuti a titolo diverso dalla traslatio dominii (locazione, comodato,
deposito) e che, quindi, non sono mai usciti dal patrimonio del dominus. Di conseguenza, non
è condotta sanzionabile come bancarotta fraudolenta l’atto di disposizione di beni mai entrati
nel patrimonio dell’imprenditore, perché a lui pervenuti attraverso un negozio giuridico affetto
da anomalia genetica, non idoneo, quindi, al trasferimento della proprietà” (Cass., Sez. V, n.

richiamata si riferiva alla compravendita di un bene immobile, stipulata con atto notarile
sottoscritto dalle parti, ma non trascritto né registrato né inserito a repertorio per la mancata
allegazione del certificato di destinazione urbanistica – requisito essenziale prescritto per la
validità dell’atto, a norma dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985 – e pertanto ritenuta negozio
ab origine nullo se non inesistente, come tale inidoneo a determinare il trasferimento del bene
dall’alienante all’acquirente).
Più di recente, si è precisato che “poiché nella nozione di beni appartenenti al fallito rientrano
solo le cose che abbiano fatto ingresso nel patrimonio di quest’ultimo, non possono essere
oggetto delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale i beni sui quali il fallito ha un
possesso solo precario e il proprietario vanta un diritto alla restituzione, come nel caso di beni
ricevuti in locazione, deposito o comodato” (Cass., Sez. V, n. 13556 del 27/02/2015, Arlati, Rv
262899).
2.3.1.3 I principi di diritto appena ricordati, tuttavia, debbono essere letti in relazione al
decisivo profilo della ravvisabilità di un effettivo ingresso del bene nel patrimonio
dell’imprenditore, al di là della sussistenza o meno di un valido rapporto negoziale quale
presupposto dell’acquisizione della disponibilità del bene stesso ( così, Sez. 5, n. 44350/2016,

cit. supra ).
Occorre, pertanto, distinguere le ipotesi in cui un bene sia individuabile e reperibile nella sua
originaria materialità da quelle dove un atto di disposizione di quel bene abbia comportato
l’ingresso di denaro nel patrimonio dello stesso fallito, la cui spendita o sottrazione alla massa
fallimentare può costituire distrazione penalmente rilevante (v. Cass., Sez. V, n. 4708 del
06/02/1986, Febbo).
2.3.1.4 A questo punto, va ricordato che – in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione è stato anche affermato il principio secondo cui la pregressa cessione di un contratto di
locazione finanziaria integra gli estremi della distrazione nel solo caso in cui determini un
effettivo nocumento nei confronti dei creditori, il che è escluso quando la permanenza dei
rapporto negoziale nel patrimonio affidato al curatore costituisca in concreto, dal punto di vista
economico, un onere e non già una risorsa positiva (Cass., Sez. V, n. 3612/2007 del
06/11/2006, Tralicci, Rv 236043; v. anche Cass., Sez. V, n. 29757 del 21/05/2010,
D’Agostino).

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5423 del 13/01/1997, Panzironi, Rv 207779: la fattispecie di cui alla pronuncia appena

Tuttavia, occorre ulteriormente precisare che le pronunce ora ricordate da ultimo riguardano la
peculiare ipotesi di una cessione del contratto, senza affrontare il tema centrale della concreta
acquisizione del bene da parte del fallito, acquisizione che ben può risolversi anche in una
disponibilità di fatto.
Non a caso, decisioni più recenti hanno chiarito che “in tema di bancarotta per distrazione di
beni ottenuti in leasing, ai fini della configurabilità del reato in capo all’utilizzatore poi fallito, è
necessario che tali beni fossero nella sua effettiva disponibilità, in conseguenza dell’avvenuta

leasing (traslativo o di godimento)” (Cass., Sez. V, n. 44898 del 01/10/2015, Cantore, Rv
265509). Nella motivazione della pronuncia appena richiamata, viene ribadito che la
giurisprudenza sopra ricordata – con espresso riferimento alla sentenza D’Agostino – era
relativa al caso della cessione del contratto di leasing, e che in quel caso era stato lasciato
nell’ombra “un punto nodale della questione, ossia se i beni oggetto del contratto di locazione
finanziaria fossero mai entrati, di fatto, nella sfera di disponibilità della società fallita, a seguito
di consegna. La configurabilità del reato di bancarotta per distrazione postula, infatti, che i beni
non rinvenuti in sede di inventario siano entrati realmente nella sfera patrimoniale della società
fallita, di talché possa ipotizzarsi quel distacco ingiustificato che integra sul piano oggettivo la
fattispecie incriminatrice”. La sentenza n. 29757 del 2010 cit., peraltro e condivisibilmente,
aggiunge che, ove il fallimento, come nel caso di specie, riguardi l’utilizzatore, può venire in
rilievo la sola disponibilità di fatto, essendo pacifico che il soggetto non realizza la disponibilità
giuridica del bene in leasing almeno sino alla fine rapporto e, cioè, sino a quando, previo
esercizio del diritto di opzione, il medesimo utilizzatore non abbia corrisposto il prezzo di
riscatto, acquisendo così la proprietà del bene.
Ne consegue che anche la mera disponibilità di fatto — situazione configurabile in capo
all’utilizzatore – postula, pur sempre, l’avvenuta consegna del bene oggetto di contratto di
leasing. Orbene, verificatosi tale indefettibile presupposto, la relativa appropriazione da parte
sua integra distrazione, in quanto la sottrazione o la dissipazione del bene comporta un
pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore dello stesso – che avrebbe
potuto essere conseguito mediante riscatto al termine del rapporto negoziale – e, al tempo
stesso, gravata di ulteriore onere economico scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di
restituzione (per l’affermazione degli stessi principi, v. anche, già in precedenza, Cass., Sez. V,
n. 33380 del 18/07/2008, Bottamedi, nonché Cass., Sez. V, n. 9427/2012 del 03/11/2011,
Cannarozzo).
2.3.1.5 Oneri, dunque, che si registrano anche nella odierna fattispecie concreta, a nulla
rilevando le eventuali scelte negoziali del curatore fallimentare in ordine alla possibilità di non
subentrare nel contratto di leasing provvisoriamente sospeso ai sensi dell’art. 72 I. fall. ovvero
di subentravi. Ed invero, non va trascurato che l’art. 72 quater I. fall. prevede espressamente,
al secondo comma, che, in caso di scioglimento del contratto, il concedente (che ha diritto alla
restituzione del bene) è tenuto, tuttavia, a versare alla curatela la differenza tra la maggiore
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consegna, e che di essi vi sia stata appropriazione, non rilevando la tipologia del contratto di

(eventuale) somma ricavata dalla vendita del bene ovvero da altra collocazione del bene stesso
avvenute a valori di mercato rispetto al residuo credito vantato dal concedente in linea capitale
per il mancato (eventuale) pagamento dei canoni di leasing.
Ne consegue che l’appropriazione illecita da parte dell’utilizzatore del bene concesso in leasing
non solo onera la impresa utilizzatrice (e dunque, dopo il fallimento, anche la curatela
fallimentare) del costo economico derivante dall’inadempimento contrattuale all’obbligo di
restituzione sopra delineato (e discendente direttamente dal sinallagma contrattuale sotteso al

perdita del credito conseguente al “differenziale” di valore economico descritto dal secondo
comma dell’art. 72 quater, per come sopra ricordato. Con la ulteriore conseguenza che diviene
evidente e innegabile il pregiudizio economico per il ceto creditorio, determinato, da un lato,
dal costo economico insorgente per l’obbligo di restituzione al concedente del bene oggetto del
leasing (e successivamente oggetto di appropriazione) e, dall’altro, dalla perdita del credito
previsto dal sopra menzionato secondo comma dell’art. 72 quater I. fall..
Pertanto, qualsiasi manomissione o distrazione del bene detenuto in leasing dall’imprenditore
fallito impedisce un accrescimento della massa attiva fallimentare, determinando una lesione
all’interesse della garanzia patrimoniale dei creditori (art. 2740 c.c.) e, dunque, un fatto di
bancarotta patrimoniale.
Ebbene, se è vero che – in base al modello contrattuale in esame – la proprietà del bene
rimane in capo al concedente fino all’eventuale pagamento del c.d. prezzo di opzione, il diritto
di acquistare il bene alla scadenza del contratto è un diritto senza dubbio spettante
all’utilizzatore, diritto avente ad oggetto un valore economico la cui distrazione, in caso di
fallimento, integra la condotta descritta nel primo comma, n.1, dell’art. 216 I. fall.
Va pertanto evidenziato che il disposto normativo di cui all’art. 72 quater I. fall. attribuisce
all’utilizzatore un diritto soggettivo, economicamente valutabile, che entra a far parte del
patrimonio dello stesso e che dunque può essere oggetto dei fatti di bancarotta.
In realtà, l’utilizzatore, pur non vantando una titolarità giuridica del bene in leasing (la cui
proprietà – è bene ricordare, ancora una volta – permane in capo al concedente) gode,
comunque, di una disponibilità giuridicamente qualificata del medesimo bene (che lo qualifica
quale detentore di quest’ultimo), che gli permette, dunque, non solo di destinarlo
(fisiologicamente) alle proprie necessità imprenditoriali, ma anche eventualmente (e
patologicamente) di manometterlo o distrarlo.
Ne deriva che laddove l’imprenditore utilizzatore del bene fallisca, la fattispecie incriminatrice
ex art. 216 I. fall. deve ritenersi applicabile ogniqualvolta sia stata, nel concreto, posta in
essere con dolo una delle condotte alternativamente descritte dalla suddetta disposizione
normativa, condotte che comportino un nocumento della garanzia patrimoniale ex art. 2740
c.c., impendendo, dunque, al curatore un’integrale ricostruzione ed una efficiente liquidazione
del patrimonio del fallito, con conseguente pregiudizio delle ragioni creditorie.

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predetto negozio), ma determina per la fallita anche il pregiudizio economico causato dalla

Ne consegue che, alla luce dei principi sopra esposti, la doglianza così sollevata dal ricorrente
nel secondo motivo deve ritenersi infondata.
2.4 Se quanto detto nel paragrafo che precede è indiscutibile in riferimento alla integrazione,
nel caso di specie, della condotta distrattiva anche in relazione ai beni oggetto di leasing, allora
del pari indiscutibile risulta l’infondatezza anche delle censure sollevate dal ricorrente nel
quarto motivo di ricorso che collega, invero, la concedibilità dell’attenuante di cui all’ultimo
comma dell’art. 219 I. fall. alla minor rilevanza del pregiudizio economico discendente dalla

2.5 Il quinto motivo è, invece, addirittura inammissibile.
2.5.1 Sul punto giova ricordare che la mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è
insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche
considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di
merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti,
rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011,
Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Ciò posto, osserva la Corte come – a fronte di una adeguata motivazione resa dalla Corte di
merito sul punto qui da ultimo in esame – le doglianze difensive sono risultate del tutto
generiche, con ciò rendendo inammissibile in parte qua la prodotta impugnazione.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17.4.2018

bancarotta patrimoniale non comprensiva dei predetti beni concessi in leasing.

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