Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21908 del 02/03/2017
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21908 Anno 2017
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: RANALDI ALESSANDRO
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A.
avverso l’ordinanza n. 936/2016 Tribunale di Milano del 21/11/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Ranaldi;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Stefano Tocci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le richieste del difensore del ricorrente, avv. XX del Foro di
Novara, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Data Udienza: 02/03/2017
RITENUTO IN FATTO
1.
Con ordinanza del 21.11.2016 il Tribunale di Milano, in riforma
dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, appellata dal PM, ha
applicato nei confronti di A.A. la misura della custodia cautelare in
carcere, in relazione ad alcuni episodi di importazione illecita dall’Olanda di
sostanza stupefacente del tipo MDPV (tabella I), avvenuti nel corso del 2014.
Il Tribunale, quanto ai gravi indizi di colpevolezza, ha ritenuto sussistenti le
temporale di circa quattro mesi, in relazione a quantitativi dai quali erano
ricavabili più di 5.000 dosi, e ciò a seguito degli esiti della attività investigativa e
captativa effettuata dagli inquirenti, da cui emergeva un quadro di importazioni
dall’Olanda di cosiddette “nuove sostanze psicoattive”, giunte in Italia attraverso
l’aeroporto di Malpensa; le sostanze erano state sequestrate dai Carabinieri del
NAS di Roma e mai consegnate ai destinatari.
Quanto alle esigenze cautelari, il collegio ha ritenuto sussistente un concreto
ed attuale pericolo di recidiva, nonostante l’incensuratezza dell’indagato e la
risalenza dei fatti al 2014; ciò sulla scorta della elevata gravità degli episodi
criminosi, trattandosi di importazione di quantitativi non trascurabili di sostanze
stupefacenti di estrema pericolosità (in quanto dannose per la salute e poco
conosciute; utilizzate nella maggior parte dei casi in occasione di festini a base di
sesso e droga, spesso fra persone che si conoscono); inoltre ha considerato che
neanche i sequestri di alcune spedizioni ed i sospetti nutriti circa il possibile
intervento delle forze dell’ordine avevano costituito per l’indagato un valido
deterrente alla prosecuzione dell’illecita attività. Il Tribunale ha aggiunto che le
aziende olandesi individuate nel corso delle indagini risultano ancora oggi
pienamente attive nell’attività di distribuzione delle droghe sintetiche in
questione e che nel corso della perquisizione effettuata in data 23.6.2016 presso
l’abitazione dell’indagato, sono stati sottoposti a sequestro altro stupefacente e
documentazione afferente ad ordini di pagamento e corrispondenza per acquisti
via internet.
2.
Ricorre per cassazione l’indagato, a mezzo del proprio difensore,
lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art.173, comma 1, disp. att.
c.p.p.) quanto segue
I) Violazione di legge in relazione all’art. 310, comma 2, cod. proc. pen.
Deduce che il Tribunale assumeva la decisione il 21.11.2016 ma depositava
l’ordinanza il 13.1.2017, in chiara violazione dei termini indicati dall’art. 310 cit.,
importazioni da parte dell’indagato di sostanza stupefacente, per un lasso
da cui dovrebbe conseguire la perdita di efficacia della misura, trattandosi di
situazione equiparabile a quella prevista dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.
II) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 273 cod.
proc. pen.
Deduce che la motivazione sugli elementi posti a fondamento dei gravi indizi
è errata, illogica e contraddittoria.
Rileva che sul dato quantitativo il Tribunale si richiama, del tutto
acriticamente, alla tabella predisposta dal PM, secondo cui una dose
equivarrebbero a 5.157,14 dosi; ciò in assenza di qualsivoglia principio
scientifico da cui desumere come venga determinata la dose media di assunzione
dello stupefacente da parte del PM (e del Tribunale).
Osserva che sulle intercettazioni il ragionamento seguito dal Tribunale è
tutt’altro che lineare, avendo evidenziato poche conversazioni dal cui tenore si
ricava che il A.A. chiama per acquistare stupefacente e non per spacciarlo;
ed un sms in cui l’indagato risponde stizzito ad un soggetto sconosciuto (che
domanda se ha qualcosa di buono), dicendo che lui «non sa nulla di queste
cose».
Quanto alla scaltrezza dell’indagato, valorizzata dal Tribunale, il ricorrente
osserva che aver fatto inviare alcune spedizioni di droga presso il posto di lavoro
o presso la residenza della madre non é certamente indice di particolare
scaltrezza.
III)
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 274 cod.
proc. pen.
Deduce la erroneità e illogicità della motivazione in ordine alla necessità di
applicazione di una misura custodiale in relazione alla concretezza e attualità
delle esigenze cautelari, tenuto conto:
–
della non particolare rilevanza dei quantitativi di stupefacente
sequestrati;
–
della non dimostrata conoscenza da parte dell’indagato dei sequestri di
stupefacente effettuati dalla polizia giudiziaria;
–
degli elementi portati dalla difesa a favore dell’indagato (posizione
lavorativa con elevato stipendio, atteggiamento collaborativo con gli
inquirenti, richiesta di trasferimento in altra città).
IV) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 275 cod.
pen.
Osserva che il Tribunale ha errato nel disporre la misura carceraria anziché
altra meno afflittiva, sulla base del fatto che l’indagato non avrebbe dato segnali
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equivarrebbe a mg. 14 di sostanza, sicché i gr. 61,92 acquistati dal A.A.
di resipiscenza e presa di distanza da logiche delinquenziali e avrebbe dimostrato
pervicacia nel proseguire la sua attività di spaccio.
Deduce che, al contrario, il A.A. ha rilasciato ampie dichiarazioni anche
etero accusanti ed ha chiesto e ottenuto il trasferimento in altra città; che
l’asserita pervicacia dell’indagato si fonda sul nulla, atteso che mai egli è venuto
a conoscenza di sequestri di stupefacente da parte della polizia.
Il primo motivo è infondato.
E’ stato già condivisibilmente affermato dalla Suprema Corte il principio per
cui in materia di appello avverso ordinanze su misure cautelari reali, i termini in
cui si articola il procedimento non sono perentori, atteso che l’art. 310 cod. proc.
pen., cui fa riferimento l’art. 322-bis cod. proc. pen., non richiama il disposto del
quinto, nono e decimo comma dell’art. 309 cod. proc. pen.; pertanto, la mancata
trasmissione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria procedente entro il giorno
successivo alla richiesta, o la mancata decisione da parte del Tribunale entro
venti giorni dalla ricezione degli atti, non comportano la perdita di efficacia del
provvedimento cautelare (Sez. 3, n. 44013 del 24/09/2015, Buccigrossi, Rv.
26507301). Il secondo motivo è infondato.
La motivazione dell’ordinanza impugnata è sicuramente razionale,
esauriente e priva di vizi logici evidenti, oltre che corretta in punto di diritto,
sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del A.A..
La censura del ricorrente in ordine alla mancanza di qualsivoglia principio
scientifico da cui desumere la dose media di assunzione dello stupefacente è
comunque superata dal quantitativo complessivo della sostanza MDPV oggetto di
sequestro, che non può certo dirsi trascurabile, a prescindere dal numero di dosi
singole ricavabili. Il che implica che in questa fase cautelare, caratterizzata da un
accertamento ancora provvisorio dei fatti, con indagini ancora in corso, il
ragionamento del Tribunale – secondo cui il detto quantitativo di stupefacente
appare incompatibile con un uso esclusivamente personale – è del tutto congruo
e logico, come tale incensurabile nella presente sede di legittimità.
Le ulteriori doglianze del ricorrente in ordine al contenuto delle
intercettazioni e alle considerazioni del Tribunale sulla “scaltrezza” dell’indagato
costituiscono censure di fatto, come tali inammissibili in questa sede.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ stato più volte affermato dalla Corte regolatrice il principio secondo cui, in
materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa
all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione
del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato
in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed
irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701
del 04/10/2016, D’Andrea e altri, Rv. 26838901); vizio nel caso certamente
insussistente, considerato che le conversazioni intercettate appaiono indicative –
viene citato il messaggio snns inviato all’indagato da tale Markos di Monza, che
gli chiede se «ha qualcosa di buono»; al che A.A. risponde in maniera stizzita
«cosa cazzo mi scrivi ma sei scemo?»), sia del fatto che egli avesse più fornitori,
al di là delle importazioni dall’Olanda, il tutto secondo un percorso motivazionale
che non può essere considerato manifestamente illogico o irrazionale.
Il terzo motivo è parimenti infondato.
Va considerato che in tema di esigenze cautelari, l’art. 274, lett. c), cod.
proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il
pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto
(fondato, cioè, su elementi non ipotetici, ma reali), ma anche attuale, nel senso
che l’analisi della personalità e delle concrete condizioni di vita dell’indagato deve
indurre a ritenere probabile una ricaduta nel delitto “prossima” – anche se non
specificamente individuata, né tanto meno imminente – all’epoca in cui la misura
viene applicata (Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, Esposito, Rv. 26850801).
Il Tribunale ha fatto buon governo dei suddetti principi, attribuendo valenza
alle modalità e circostanze del fatto, con particolare riguardo alla reiterata
importazione di quantitativi non trascurabili di sostanze stupefacenti di estrema
pericolosità. Con riguardo all’attualità delle esigenze cautelari, il Tribunale ha
fondatamente preso in considerazione l’esito della perquisizione effettuata il
23.6.2016 presso l’abitazione dell’indagato, in cui venivano sottoposti a
sequestro altro stupefacente e documentazione afferente ordini di pagamento e
corrispondenza per acquisti via Internet. Il quarto motivo è fondato.
La motivazione adottata dal Tribunale per la scelta della misura carceraria,
quale unica misura ritenuta idonea a salvaguardare le ravvisate esigenze di
cautela, appare carente, contraddittoria ed illogica laddove fonda l’incapacità
dell’interessato ad ottemperare ai limiti ed alle prescrizioni imposte, su elementi
quali l’assenza di segnali di resipiscenza e presa di distanza da logiche di tipo
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secondo il Tribunale – sia dell’attività di spaccio del A.A. (fra le altre cose
delinquenziale, nonché sulla pervicacia con la quale l’indagato ha proseguito
nella propria illecita attività. I detti elementi ostativi si caratterizzano, infatti, per
la loro estrema genericità e vaghezza, e si pongono in netto contrasto con il pur
riferito atteggiamento collaborativo del A.A., che in sede di interrogatorio ha
reso dichiarazioni in cui ha indicato i nominativi di alcuni suoi fornitori.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, inoltre, è apparente e illogica nella
parte in cui è stata ritenuta inadeguata una misura custodiale diversa da quella
carceraria – segnatamente per l’impossibilità di fronteggiare potenziali condotte
in concreto l’indagato reiterare a domicilio l’illecita attività e senza considerare
che ai sensi dell’art. 284, comma 2, cod. proc. pen. è sempre possibile per il
giudice della cautela imporre limiti o divieti alla persona sottoposta agli arresti
domiciliari.
Le argomentazioni del Tribunale sono, infine, carenti laddove omettono di
considerare – sempre ai fini della scelta della misura – gli elementi pur emersi a
favore dell’indagato, quali l’incensuratezza e la stabile occupazione, che in uno
con il suo atteggiamento collaborativo avrebbero dovuto formare oggetto di
specifica valutazione al fine di meglio graduare le esigenze di cautela in concreto
ravvisate onde individuare la misura più idonea a salvaguardarle (non
necessariamente corrispondente a quella più grave), secondo i criteri stabiliti
dall’art. 275 cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata limitatamente al punto
riguardante la valutazione dei criteri di scelta della misura ex art. 275 cod. proc.
pen., questione che dovrà essere riesaminata dal Tribunale del riesame in sede
di rinvio.
Il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla la impugnata ordinanza limitatamente alla questione concernente le
esigenze cautelari, e rinvia sul punto al Tribunale del riesame di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 2 marzo 2017
Il Consiglie
Aless
estensore
naldi
Il Presid nte
Vincenzo Romis
n
delittuose realizzabili a domicilio -, laddove essa non dà conto di come potrebbe