Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21903 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21903 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CASA FILIPPO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BUHNEVICI ION N. IL 11/04/1990
avverso la sentenza n. 6094/2014 TRIBUNALE di BRESCIA, del
19/01/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;

Data Udienza: 18/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa in data 19.1.2015 ai sensi dell’art. 444 c.p.p., il Tribunale di
Brescia in composizione monocratica applicava a BUHNEVICI Ion – imputato del reato di cui
agli artt. 81 c.p., 13, comma 13, D. Lgs. n. 286/98 e 497 bis c.p. – la pena concordata di dieci
mesi di reclusione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del
difensore di fiducia, deducendo violazione di legge in relazione alla ricorrenza dei presupposti di

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo
processuale in virtù del quale l’imputato ed il Pubblico Ministero si accordano sulla qualificazione
giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le
stesse e sull’entità della pena.
Da parte sua il Giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati
aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, dopo aver accertato che non
emerga in modo evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p..
Ne consegue che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art. 444
c.p.p., l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie,
perché essi sono coperti dal patteggiamento.
Tanto premesso, il Collegio osserva che i motivi di ricorso appaiono manifestamente
infondati, atteso che il Giudice, nell’applicare la pena concordata, si è, da un lato, adeguato a
quanto contenuto nell’accordo intervenuto fra le parti e, dall’altro, ha specificatamente escluso
la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 129 c.p.p, richiamando gli atti di indagine con cui
sono state accertate le condotte delittuose.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di
applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri
richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (si vedano
tra le altre, Cass. SS.UU. 27 marzo 1992, Di Benedetto; SS.UU. 27 settembre 1995, Serafino;
SS.UU. 25 novembre 1998, Messina).
3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escluderne la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al
versamento a favore della Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo
determinare in euro 1.500,00 (millecinquecento), ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

2

cui all’art. 129 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.500,00 (millecinquecento) in favore della
Cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015

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