Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21902 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21902 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CASA FILIPPO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LI CALZI CALOGERO N. IL 03/08/1964
avverso la sentenza n. 3150/2014 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 10/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;

Data Udienza: 18/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10.12.2014, la Corte di Appello di Palermo confermava la
decisione resa il 2.4.2014 dal G.U.P. del Tribunale di Agrigento, con la quale LI CALZI
Calogero era stato condannato alla pena di due anni, due mesi di reclusione e 1.000,00
euro di multa per detenzione illegale e ricettazione di un’arma comune da sparo
clandestina (cal. 9 Makarov, MOd. CZ83) e per illegale detenzione di munizioni varie.
Con riferimento ai motivi di gravame, la Corte territoriale osservava che provato

110/75 (capo 2), in quanto l’arma palesava in modo evidente la sua clandestinità.
Invero, l’assenza o la illeggibilità dei suoi dati identificativi erano tali da mettere
sull’avviso il detentore circa l’illegittima provenienza dell’arma e l’impossibilità di
regolarne la detenzione, di guisa che la protrazione del possesso integrava la violazione
della disciplina delle armi contestate ai capi 1) e 2) della rubrica.
A ciò doveva aggiungersi che le stesse condizioni di ritrovamento narrate
dall’appellante (arma e munizioni sarebbero state rinvenute in una casa di campagna del
padre), la rilevante durata della detenzione (circa 4 anni), la decisione, ammessa
dall’imputato, di far proprio il contenuto dell’ingombrante involucro, comprendente anche
molte munizioni, dimostravano, in concreto, la dettagliata osservazione delle
connotazioni della pistola e, quindi, dell’illeggibilità dei suoi numeri di identificazione.
Palese, poi, era la volontarietà della detenzione senza denunzia, costituendo
notoriamente quest’ultima un pre-requisito della legittimità della detenzione.
Le medesime considerazioni valevano, secondo la Corte palermitana, a provare il
dolo della ricettazione sub capo 3), la cui natura specifica era insita anche in una mera
finalità difensiva prospettata alla base dell’impossessamento dell’arma.
La conferma della clandestinità dell’arma dimostrava, poi, il reato presupposto
della ricettazione, non potendosi condividere l’interpretazione restrittiva del testo dell’art.
648 c.p. fornita dalla difesa, secondo cui il reato presupposto debba rientrare nel novero
dei reati contro il patrimonio.
Doveva, poi, escludersi l’assorbimento della ricettazione e della detenzione nel
reato di cui all’art. 23 L. n. 110/75, per la palese diversità dei beni giuridici tutelati e
delle condotte tipiche correlate alle differenti fattispecie.
Infine, la natura clandestina dell’arma, l’intrinseca gravità dei fatti e la rilevanza
dell’allarme sociale suscitato (l’arma era carica e numerose erano le munizioni),
l’intensità del dolo di detenzione protrattosi per vari anni, la negativa personalità
dell’imputato, gravato da recidiva specifica, costituivano elementi ostativi alla
concessione delle attenuanti generiche.
2. Ha proposto personalmente ricorso per cassazione LI CALZI Calogero per il
tramite del difensore di fiducia, deducendo, con il primo motivo, difetto di motivazione e
2

doveva considerarsi il dolo dei reati di cui agli artt. 2-7 L. n. 895/67 (capo 1) e 23 L. n.

violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dei reati contestati, e, con il
secondo motivo, vizio di motivazione sul mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche.
Il ricorrente aveva trovato l’arma nella campagna del padre e così come l’aveva
trovata l’aveva conservata, senza mai utilizzarla, come dimostrato dagli accertamenti
balistici.
Quindi, non solo la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere insussistente il reato
di cui agli artt. 2-7 L. n. 895/67, ma, soprattutto, quello di cui all’art. 23 L. n. 110/75:

risultava del tutto immotivata e frutto di un ragionamento disancorato dal dato
processuale.
Quanto alla ricettazione, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare che, per
ritenere integrato il reato, la cosa ricevuta doveva provenire da un reato contro il
patrimonio.
Difettava, poi, della ricettazione anche l’elemento soggettivo.
Quanto, infine, al diniego delle attenuanti generiche, i Giudici dell’appello avevano
omesso di valutare l’incensuratezza dell’imputato, l’età, la non proclività a delinquere,
l’insussistenza della recidiva e altro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il discorso giustificativo della Corte di merito ha, invero, dato compiutamente
conto delle ragioni addotte a sostegno della conferma della penale responsabilità
dell’imputato, confrontandosi con i rilievi critici dell’appellante nei termini riportati nella
superiore esposizione in fatto, e confutandoli con argomentare congruo e non
manifestamente illogico.
Assertivo e svolto in punto di fatto il motivo afferente al contestato diniego di
concessione delle attenuanti generiche, correttamente ancorato alla sussistenza dei
plurimi significativi parametri più sopra evidenziati.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escluderne la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della Cassa delle ammende di somma che pare congruo determinare in euro
1.000,00 (mille), ai sensi dell’ art. 616 c.p.p..

P. Q. M.

3

infatti, era in merito alla consapevolezza della clandestinità dell’arma che la sentenza

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 (mille) alla Cassa della ammende.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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