Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 219 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 219 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Hanoman Pasquale, nato a Taurianova il
5.12.1965;
avverso l’ordinanza emessa il 7 gennaio 2012 dal tribunale del riesame di
Reggio Calabria;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’Il dicembre 2012 la
relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Daniela Garilli in sostituzione dell’avv. Maria Teresa Caccamo;
Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Reggio Calabria
confermò l’ordinanza emessa il 10 novembre 2011 dal Gip del tribunale di Palmi, che aveva applicato a Hanoman Pasquale la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di detenzione a fine di spaccio di sostanza
stupefacente tipo marijuana.
Nella specie il nipote dell’Hanoman, Morabito Francesco, era stato sottoposto a misura cautelare della custodia in carcere perché nei pressi della sua abitazione era stato trovato interrato un bidone plastico contenente circa 27 Kg.
di marijuana che erano stati dal medesimo coltivati. In seguito, era stata intercettata una conversazione ambientale in carcere tra il Morabito ed i suoi parenti,
nel corso della quale l’Hanoman aveva dimostrato di essere a conoscenza
dell’esistenza di un secondo bidone interrato nei pressi del primo, contenente
anch’esso sostanza stupefacente di tipo marijuana ma nel frattempo svuotato, e
si era offerto di trasportarlo altrove. Subito dopo l’intercettazione i carabinieri

Data Udienza: 11/12/2012

fecero una nuova perquisizione e trovarono un secondo bidone vuoto ma con un
forte odore di marijuana.
Hanornan Pasquale, a mezzo dell’avv. Maria Teresa Caccamo, propone
ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione dell’art. 73 d.p.R. 309 del 1990, perché il quadro indiziario
nei suoi confronti si fonda solo su due frasi da lui pronunciate nel colloquio in
carcere col nipote Morabito. Tali frasi sono assolutamente non significative. Inoltre il tribunale non ha considerato che il secondo bidone è stato trovato vuoto mentre era ancora in corso il colloquio intercettato. Il relativo svuotamento è
stato poi contestato ad altri familiari del Morabito. Tutti gli indagati avevano
poi negato un suo coinvolgimento. L’accertamento peritale sul bidone ha escluso qualsiasi traccia di sostanza stupefacente.
2) lamenta che il tribunale del riesame ha completamente omesso di esaminare la subordinata invocata derubricazione del reato nella diversa fattispecie
di favoreggiamento reale di cui all’art. 379 cod. pen.
Motivi della decisione
In via preliminare si osserva che l’ordinanza impugnata per ben sei pagine
riproduce fotograficamente ampi stralci delle conversazioni intercettate. Per
questa parte l’ordinanza non può ovviamente essere presa in considerazione in
questa sede perché in tal modo si tenta di eludere il divieto per questa corte di
legittimità di esaminare e valutare direttamente il contenuto delle prove.
Le rimanenti parti dell’ordinanza impugnata sono peraltro sufficienti a
fornire una congrua, specifica ed adeguata motivazione delle ragioni per le quali il tribunale ha ritenuto sussistenti, nei confronti dell’attuale ricorrente, gravi
indizi di colpevolezza in ordine al reato contestato. Il tribunale ha invero osservato che i gravi indizi sul concorso dell’Hanoman nell’attività delittuosa contestata con il capo B) si ricavavano dalle frasi riferite al nipote Morabito, dalle
quali si evince che non solo l’indagato era perfettamente al corrente dei traffici
illeciti facenti capo al nipote, ma ne conosceva anche i dettagli, al punto da caldeggiare l’adozione di diverse modalità operative nella custodia della sostanza
stupefacente e da avere precisa contezza delle partite di droga rimaste nella disponibilità dei familiari del detenuto. Il tribunale ha inoltre messo in rilievo: che nel colloquio il ricorrente aveva dimostrato di conoscere l’esistenza di un
ulteriore quantitativo di droga occultato in altro bidone di plastica interrato nelle vicinanze del primo; – che i familiari del detenuto, dopo l’arresto di questo,
dimostrando consapevolezza dell’esistenza e del contenuto del bidone, si erano
adoperati per svuotarlo del contenuto; – che difatti i carabinieri, subito dopo
l’intercettazione, avevano rinvenuto questo secondo bidone, il quale era appunto vuoto ma aveva un forte odore tipico della marijuana; – che era irrilevante il
fatto che le analisi sui campioni di terriccio erano state negative, dipendendo
ciò dalle modalità con le quali era conservato lo stupefacente rilevate nel precedente sequestro del primo bidone; – che l’offerta dell’Hanoman di trasferire altrove il bidone, pur essendo stato lo stesso già svuotato, era chiaramente dettata
dall’esigenza di evitarne il rinvenimento da parte della PG, che avrebbe potuto
essere, se non altro a causa dell’odore di stupefacente, compromettente per tut i
coloro che lo avevano svuotato dopo l’arresto del Morabito.

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Trr

Il tribunale del riesame, inoltre, ha anche osservato che dal complesso degli elementi indiziari si ricavava che l’Hanoman non si era limitato a tenere un
mero comportamento di favoreggiamento nei confronti del nipote, ma aveva
svolto anche una funzione di promotore e di coordinatore dell’attività delittuosa, interessandosi attivamente per la strategia difensiva del Morabito e per
l’occultamento dell’ulteriore ed ingente quantitativo di marijuana.
Le censure svolte nei motivi di ricorso, pertanto, oltre che a risolversi in
una inammissibile critica in fatto della valutazione del giudice del merito, sono
anche manifestamente infondate.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare
in C 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a
quanto stabilito dall’art. 94, co. 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione,
dicembre 2012.

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