Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21898 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21898 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CASA FILIPPO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GORRIN MAGALY CONCEPTION N. IL 15/08/1946
avverso l’ordinanza n. 85/2014 TRIBUNALE di FORLI’, del
23/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;

Data Udienza: 18/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza resa in data 23.12.2014, il Tribunale di Forlì in composizione

monocratica, deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava per carenza dei
presupposti applicativi l’istanza proposta da GORRIN Magaly Conception, volta ad ottenere
l’unificazione per continuazione dei reati giudicati con le quattro sentenze di condanna indicate
nell’atto introduttivo dell’incidente.

fatti giudicati con le sentenze del Tribunale di Forlì 10.4.2013 (tre tentati furti con destrezza in
danno di istituti bancari) e del Tribunale di Savona 16.7.2013 (furto consumato con destrezza
in danno di istituto bancario), in quanto gli stessi, benché riconducibili a una progettazione
unitaria (commessi a pochi giorni di distanza gli uni dagli altri, con omogeneità delle violazioni
e del bene tutelato), costituivano oggetto di pronunce di applicazione della pena ex art. 444
c.p.p. in relazione alle quali non era stata concordata dalle parti l’entità della pena da
rideterminarsi in continuazione, come previsto dall’art. 188, disp. att. c.p.p..
Quanto ai fatti oggetto delle altre due sentenze, emesse dal G.U.P. del Tribunale di
Pesaro il 21.1.2013 e dal Tribunale di Milano il 24.6.2013, ostavano al riconoscimento della
disciplina della continuazione, per i primi, l’eterogeneità degli episodi rispetto a quelli giudicati
con le altre sentenze, e, per il secondo (uso di atto falso), il palese difetto di collegamento con
gli altri fatti.
2. Ricorre per cassazione l’interessato, tramite il difensore, lamentando inosservanza ed
erronea applicazione della legge penale ex art. 81 c.p. e 671 c.p.p., posto che i reati in esame,
per il carattere omogeneo, l’analogia di modalità operative e la contiguità temporale che li
legava, dovevano ritenersi necessariamente riconducibili allo stesso disegno criminoso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile perché deduce censure in fatto, aspecifiche e

manifestamente infondate.
2. Rileva il Collegio che il giudice dell’esecuzione, nell’escludere la configurabilità della
continuazione, ha valorizzato, con plausibili argomentazioni, gli elementi oggettivi riportati nella
superiore esposizione in fatto, senza ignorare le deduzioni della condannata anche riguardanti i
profili asseritamente accomunanti gli episodi giudicati.
In tal modo il giudice di merito ha offerto puntuale applicazione in punto di diritto
dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la finalità di comune
profitto e la contiguità temporale costituiscono aspetti da soli insufficienti ad offrire
dimostrazione dell’esistenza di quell’unico iniziale programma in vista di uno scopo
2

Precisava il Tribunale che l’istanza non poteva essere accolta neppure con riferimento ai

determinato, ricomprendente le singole violazioni, che costituisce l’indefettibile presupposto per
il riconoscimento della continuazione.
Per contro, il ricorso ripropone in modo assertivo le medesime tematiche fattuali già
sottoposte al giudice dell’esecuzione e ritenute correttamente non decisive, mentre nessuna
deduzione viene sviluppata con riferimento alla valorizzazione di tutti gli elementi oggettivi
prima richiamati e alla insussistenza dei presupposti di cui all’art. 188 disp. att. c.p.p. per
applicare la disciplina della continuazione almeno ai fatti giudicati con le sentenze del Tribunale

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escluderne
la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della Cassa
delle ammende di somma che pare congruo determinare in euro 1.000,00, ai sensi dell’ art.
616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015

di Forlì e del Tribunale di Savona.

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