Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21893 del 05/04/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21893 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: PICARDI FRANCESCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARTINO NICOLA nato il 10/01/1980 a SAN GIOVANNI ROTONDO

avverso l’ordinanza del 12/10/2017 della CORTE APPELLO di BARI
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA PICARDI;
lette/sentite le conclusioni del PG

Data Udienza: 05/04/2018

RITENUTO IN FATTO
1.Nicola Martino, a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha tempestivamente impugnato
l’ordinanza della Corte di Appello di Bari, con cui è stata rigettata la sua richiesta di riparazione
per ingiusta detenzione patita dal 19 gennaio 2010 al 14 aprile 2011 (sino al 17 novembre
2010 custodia cautelare, successivamente arresti dorniciliari), denunciando l’illogicità e
contraddittorietà della motivazione nonché l’erronea applicazione di legge.

comma, cod.pen. e 73, commi 1, 1-bis e 6 del d.P.R. n. 309 del 1990, per avere ceduto
sostanza stupefacente del tipo eroina, è stato assolto dal Tribunale di Foggia, con sentenza
divenuta irrevocabile in data 31 ottobre 2012, perché il fatto non sussiste.
3.La Corte di Appello di Bari ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione
osservando che Nicola Martino si è avvalso, in sede di interrogatorio di garanzia del 23 febbraio
2010, della facoltà di non rispondere e che, inoltre, coltivava frequentazioni con noti esponenti
della malavita locale con i quali intratteneva conversazioni telefoniche (in particolare con
William La Fratta, coordinatore del sodalizio criminale). Ha, dunque, concluso che “le discutibili
ed evidenti frequentazioni del Martino con esponenti di spicco di una vera e propria
associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia di sostanze
stupefacenti, ….mai chiarite e giustificate dallo stesso indagato, possono ritenersi ostative al
riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione”, evidenziando il comportamento
dell’istante, “espressivo di una assoluta mancanza di volontà collaborativa”, una colpa grava
causalmente rilevante ai fini dell’adozione e del mantenimento della misura cautelare adottata,
tenuto conto, peraltro, del linguaggio utilizzato da Martino nelle conversazioni intercettate con
La Fratta, caratterizzato da espressioni inconferenti rispetto al discorso complessivo (“costo
della stampante”; “mi sono già avviato a stampare”), tali da integrare gravi indizi di
colpevolezza a suo carico.
4.11 ricorrente, con l’odierna impugnazione, ha lamentato essersi fondata la decisione della
Corte di Appello di Bari sull’erroneo presupposto che Nicola Martino fosse indagato quale
responsabile del reato di associazione finalizzata al narcotraffico. Ha, inoltre, contestato la
rilevanza della mancata risposta all’interrogatorio di garanzia, giustificata dalla circostanza di
non aver ancora preso contezza dell’impianto accusatorio, e dell’asserito linguaggio criptico,
inidoneo, del resto, a giustificare la condanna.
5.La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN DIRITTO

2. Il ricorrente, indagato per i reati di cui all’art. 81, 110, 424, secondo comma, 425, secondo

1.11 ricorso non merita accoglimento, atteso che il provvedimento impugnato risulta
congruamente motivato, in modo non manifestamente illogico e privo di contraddizioni ed ha
correttamente applicato l’art. 314, primo comma, cod.proc.pen., anche alla luce del principio
secondo cui il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto
al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a
conclusioni completamente differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli
atti ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti
(così Sez. 4, n. 39500 del 18/06/2013 cc., dep. 24/09/2013, rv. 256764, che ha ritenuto

indiziaria o probante, ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica
negligenza o imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura cautelare, traendo in inganno il
giudice).
2. In primo luogo va osservato che la Corte di Appello di Bari non è incorsa in alcun errore
relativamente ai reati contestati, in quanto a p. 1 si fa riferimento correttamente ai reati di cui
agli artt. 73, comma 1, 1-bis e 6, del d.P.R. n. 309 del 1990, senza alcuna menzione dell’art.
74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e i passaggi motivazionali in cui si ipotizza l’esistenza di
un’associazione criminale non sono strumentali ad argomentarne la partecipazione di Nicola
Martino.
3.

A ciò deve, inoltre, aggiungersi che il giudice della riparazione ha esaustivamente

individuato gli elementi indiziari sufficienti a giustificare la cautela (in particolare le
frequentazioni con esponenti di un’associazione criminale ed il linguaggio criptico usato
dall’istante nelle conversazioni telefoniche, caratterizzato da espressioni inconferenti rispetto al
discorso complessivo, quali “costo della stampante” o “mi sono già avviato a stampare”),
rispetto a cui il ricorrente non ha fornito alcun chiarimento in sede di interrogatorio di garanzia,
avvalendosi della facoltà di non rispondere.
4.

Il provvedimento risulta, dunque, pienamente conforme anche agli orientamenti della

giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di riparazione dell’ingiusta detenzione:
ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, può
rilevare il comportamento silenzioso o mendace dell’imputato – seppure legittimamente tenuto
nel procedimento – su circostanze ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un diverso significato
agli elementi a base del provvedimento cautelare (Sez. 3, n. 51084 del 11/07/2017 Cc., dep.
09/11/2017, rv. 271419);
la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il
richiedente dato caúsa all’ingiusta carcerazione, può essere integrata anche da comportamenti
extraprocessuali gravemente colposi quali le frequentazioni ambigue con soggetti gravati da

corretta la rivalutazione, effettuata dal giudice della riparazione, dei fatti non nella loro valenza

specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti, purché il giudice della riparazione
fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi
di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere
poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato
(Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014 Cc., dep. 24/09/2014, rv. 260397);

costituisce colpa grave, idonea a impedire il riconoscimento dell’equo indennizzo, l’utilizzo, nel
corso di conversazioni telefoniche, da parte dell’indagato di frasi in “codice”, effettivamente

quale fu disposta la custodia cautelare (Sez. 4, n. 3374 del 20/10/2016 Cc., dep. 23/01/2017,
rv. 268954).
5. In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese
processuali.
PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 5 aprile 2018
Il Consigliere estensore
Francesca Picardi

Il Presidente
Giaci

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destinate a occultare un’attività illecita, anche se diversa da quella oggetto dell’accusa e per la

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