Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21886 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21886 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CASA FILIPPO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
AMENTA DAVIDE N. IL 22/04/1983
avverso l’ordinanza n. 1753/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
CATANIA, del 01/10/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;

Data Udienza: 18/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 1.10.2014, il Tribunale di Sorveglianza di Catania
rigettava il reclamo proposto da AMENTA Davide in materia di liberazione anticipata speciale in
forma integrativa di cui al D.L. n. 146/2013, convertito dalla L. n. 10/2014 (il Tribunale non
specifica il periodo), poiché l’interessato si trovava detenuto in espiazione di pena per reato
incluso nell’elenco di cui all’art. 4-bis Ord. Pen. (omicidio).
Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’interessato

personalmente, lamentando violazione di legge in relazione agli artt. 666, comma 2, c.p.p. e 4
D.L. n. 146/2013, nonché in relazione all’art. 2 c.p..
Il ricorrente rappresenta di aver avanzato la richiesta nel periodo di vigenza del D.L. n.
146 del 23.12.2013, ossia prima dell’entrata in vigore della L. n. 10/2014, che l’ha convertito in
legge con modificazioni senza, però, confermare anche la disposizione che consentiva
l’applicazione della liberazione anticipata speciale ai condannati per reati di cui all’art. 4-bis
Ord. Pen..
Denuncia la violazione del principio di cui all’art. 2 c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato, in quanto omette completamente
di confrontarsi con la natura di norma processuale della modifica apportata – in sede di
conversione – dalla legge n. 10 del 2014 all’art. 4 del D.L. n. 146 del 2013, soggetta alla regola
del tempus regit actum, correttamente applicato alla fattispecie dal provvedimento impugnato,
in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 24561
del 30/5/2006, Aloi, Rv. 233976, secondo cui le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene
detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e
l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di
norme penali sostanziali, e pertanto (in assenza, come nella fattispecie, di una specifica
disciplina transitoria) non soggiacciono alla disciplina della successione delle norme penali nel
tempo dettata dall’art. 2 c.p. e dall’art. 25 Cost..
Occorre, anche, ricordare che questa Corte, con numerose pronunce (vedi, fra molte,
Sez. 1, n. 34073 del 27/6/2014, Panno, Rv. 260849; Sez. 1, n. 1650 del 22/12/2014, Mollace,
Rv. 261880), le cui argomentazioni vanno richiamate e ribadite, ha affermato che la vicenda
normativa in esame va interpretata alla luce delle regole dettate dall’art. 77 Costituzione per il
caso del mancato recepimento dei decreti-legge nella legge di conversione; viene in rilievo, in
particolare, il comma terzo, secondo il quale “I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non

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sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono
tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”.
Come osserva, difatti, C. cost. n. 51 del 1985, l'”efficacia” del decreto-legge non
convertito è soltanto limitata agli atti ed ai “rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non
convertiti” e non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una
aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora
“sub iudice” al momento della conversione del decreto”.

e dell’art. 25 Cost., così come ai principi dell’art. 7 CEDU, deve, pertanto, negarsi valore
ultrattivo, rispetto a comportamenti pregressi, alla disposizione del decreto-legge, non recepita
dalla legge di conversione, che a detti comportamenti pregressi collegava un effetto favorevole.
Il Tribunale si è pienamente conformato a siffatta interpretazione, sicché il suo
provvedimento è del tutto immune da censure.
2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escluderne
la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della Cassa
delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro 1.000,00, ai sensi
dell’ art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 (mille) alla Cassa della ammende.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Nella materia in esame, sottratta all’applicazione delle disposizioni dell’art. 2 cod. pen.,

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