Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21884 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21884 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CASA FILIPPO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CAMMARATA NATALE N. IL 10/08/1979
avverso l’ordinanza n. 2206/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
CATANIA, del 08/10/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;

Data Udienza: 18/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 8.10.2014, il Tribunale di Sorveglianza di Catania
rigettava il reclamo proposto da CAMMARATA Natale in materia di liberazione anticipata
speciale in forma integrativa di cui al D.L. n. 146/2013, convertito dalla L. n. 10/2014 (il
Tribunale non specifica il periodo), poiché l’interessato si trovava detenuto in espiazione di
pena per reati inclusi nell’elenco di cui all’art. 4-bis Ord. Pen..
Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’interessato

personalmente, lamentando violazione di legge in relazione agli artt. 54 Ord. Pen. e 4 D.L. n.
146/2013, nonché in relazione all’art. 2 c.p..
Il CAMMARATA rappresenta di aver avanzato la richiesta nel periodo di vigenza del D.L.
n. 146 del 23.12.2013, ossia prima dell’entrata in vigore della L. n. 10/2014, che l’ha
convertito in legge con modificazioni senza, però, confermare anche la disposizione che
consentiva l’applicazione della liberazione anticipata speciale ai condannati per reati di cui
all’art. 4-bis Ord. Pen..
Denuncia l’illegittimità della disposizione per irragionevole violazione della parità di
trattamento tra detenuti e del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato, in quanto omette completamente
di confrontarsi con la natura di norma processuale della modifica apportata – in sede di
conversione – dalla legge n. 10 del 2014 all’art. 4 del D.L. n. 146 del 2013, soggetta alla regola
del tempus regit actum, correttamente applicato alla fattispecie dal provvedimento impugnato,
in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 24561
del 30/5/2006, Aloi, Rv. 233976, secondo cui le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene
detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e
l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di
norme penali sostanziali, e pertanto (in assenza, come nella fattispecie, di una specifica
disciplina transitoria) non soggiacciono alla disciplina della successione delle norme penali nel
tempo dettata dall’art. 2 c.p. e dall’art. 25 Cost..
Occorre, anche, ricordare che questa Corte, con numerose pronunce (vedi, fra molte,
Sez. 1, n. 34073 del 27/6/2014, Panno, Rv. 260849; Sez. 1, n. 1650 del 22/12/2014, Mollace,
Rv. 261880), le cui argomentazioni vanno richiamate e ribadite, ha affermato che la vicenda
normativa in esame va interpretata alla luce delle regole dettate dall’art. 77 Costituzione per il
caso del mancato recepimento dei decreti-legge nella legge di conversione; viene in rilievo, in
particolare, il comma terzo, secondo il quale “I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non
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sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono
tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”.
Come osserva, difatti, C. cost. n. 51 del 1985, l'”efficacia” del decreto-legge non
convertito è soltanto limitata agli atti ed ai “rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non
convertiti” e non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una
aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora
“sub iudice” al momento della conversione del decreto”.

e dell’art. 25 Cost., così come ai principi dell’art. 7 CEDU, deve, pertanto, negarsi valore
ultrattivo, rispetto a comportamenti pregressi, alla disposizione del decreto-legge, non recepita
dalla legge di conversione, che a detti comportamenti pregressi collegava un effetto favorevole.
Il Tribunale si è pienamente conformato a siffatta interpretazione, sicché il suo
provvedimento è del tutto immune da censure.

2. Manifestamente infondata è da ritenere, sebbene solo superficialmente accennata, la
questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento all’esclusione dei condannati
per i reati di cui all’art. 4-bis Ord. Pen. dalla -disciplina di maggiore favore in tema di liberazione
anticipata.
In proposito è da chiarire che la disposizione di cui si discute rappresenta, per
definizione espressa del legislatore, una disciplina “speciale”, che estende con alcune eccezioni i
vantaggi conseguenti a un beneficio penitenziario già previsto e applicabile indiscriminatamente
a tutti i condannati.
Non si è in presenza, perciò, di una situazione in cui l’accesso al beneficio è in radice
precluso al condannato per particolari tipi di reato. Si assiste invece al fenomeno di una
disposizione speciale, che amplia a certe condizioni gli effetti di favore, escludendo solo i
condannati per taluni delitti ritenuti dal legislatore di particolare allarme sociale.
È agevole quindi l’osservazione che, trattandosi di disposizione speciale di favore, in
tanto sarebbe possibile porre un problema di irragionevole diversità di trattamento in quanto
fossero individuabili situazioni assolutamente omologhe differentemente e meglio trattate, da
porre quali termini di comparazione appropriati. Ma, come è da ritenere acquisito, i delitti
previsti dall’art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, Ord. Pen. hanno natura e connotazioni di
maggiore pericolosità che rende non discriminatoria (art. 3, primo comma, Cost.), né contraria
al principio di rieducazione della pena (art. 27, terzo comma, Cost.), e neppure irragionevole la
limitata applicazione dei benefici penitenziari e, segnatamente, l’esclusione della liberazione
anticipata speciale introdotta dal d.l. n. 146 del 2013, art. 4, convertito con modificazioni dalla
legge n. 10 del 2014, per i condannati in espiazione di pena per i più gravi delitti elencati nel
medesimo articolo 4-bis Ord. Pen..

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Nella materia in esame, sottratta all’applicazione delle disposizioni dell’art. 2 cod. pen.,

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escluderne
la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della Cassa
delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro 1.000,00, ai sensi
dell’ art. 616 c.p.p..

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 (mille) alla Cassa della ammende.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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