Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21880 del 18/11/2015
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21880 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CASA FILIPPO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
MESSINA
nei confronti di:
A.A.
avverso l’ordinanza n. 207/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
MESSINA, del 11/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
Data Udienza: 18/11/2015
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Messina, sulla scorta degli
elementi desunti dal
curriculum criminale, dalla relazione UEPE, dalle informazioni della
Questura, dalla sentenza in esecuzione (9.6.2010 G.U.P. Tribunale di Patti per il reato di cui
agli artt. 99, comma 4, e 368 c.p.) e dalla manifestata volontà del condannato di intraprendere
un serio percorso di reinserimento sociale anche attraverso l’avvio di una attività risarcitoria,
sociale in relazione alla pena residua da espiare di un anno e due mesi di reclusione.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello
di Messina per “mancanza/insufficienza di motivazione”.
Ad avviso del Procuratore ricorrente, il Tribunale di Sorveglianza, nel procedere alla
ricognizione dei procedimenti pendenti, aveva omesso di fornire “alcune specificazioni” che
avrebbero consigliato “migliore cautela nella valutazione”.
In particolare, presso le Procure della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto e di Patti
pendevano altri sette procedimenti per reati identici a quello oggetto di condanna, commessi
anche dopo quest’ultimo.
Inoltre, l’attività lavorativa del A.A. presso la “XX s.r.l.”, di cui era titolare la
moglie, scaturiva da un contratto di collaborazione concluso in pendenza della procedura di
affidamento.
Infine, il Tribunale aveva recepito per vera la volontà risarcitoria del A.A. in base alla
sua dichiarazione, senza considerare che, nel lungo periodo trascorso dai fatti (2006), il
condannato non aveva risarcito la persona offesa né dei 12.000 euro ancora dovuti, né del
danno morale derivante da un reato odioso come la calunnia.
La motivazione doveva, dunque, essere più pregnante e non solo “assiomatico atto
fideistico verso le nobili intenzioni professate da un soggetto il cui unico fine era sfuggire alla
detenzione”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto basato su motivi non consentiti dalla
legge con il ricorso di legittimità.
2. Invero, il ricorrente, invece di misurarsi con il complessivo tenore argomentativo del
provvedimento impugnato, evidenziandone eventuali aspetti critici, propone una lettura
nettamente alternativa delle emergenze acquisite, trascurando del tutto i dati positivi emersi
dalla relazione UEPE e dalla informativa di Polizia.
2
concedeva a A.A. la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio
Il Tribunale, dal canto, suo, ha adeguatamente motivato, nei limiti della plausibile
opinabilità di apprezzamento, le ragioni che hanno condotto all’accoglimento dell’istanza di
misura alternativa, correttamente valorizzando il complesso dai dati acquisiti nel procedimento
nei termini riportati nella superiore esposizione in fatto.
P.Q.M.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015
Il Consigliere estensore
Il Presidente
Dichiara inammissibile il ricorso.