Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21880 del 05/04/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21880 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PARISI ANGELO nato il 06/10/1947 a CATANIA

avverso la sentenza del 18/04/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE PAVICH
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA
PICARDI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
E presente l’avvocato DE LUCA EUGENIO ANTONELLO del foro di CATANIA in
difesa di PARISI ANGELO che illustrando i motivi del ricorso ne chiede
l’accoglimento.

Data Udienza: 05/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Catania, in data 18 aprile 2017, ha confermato la
sentenza con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania,
in data 12 dicembre 2007, aveva condannato Angelo Parisi alla pena di giustizia,
all’esito di giudizio abbreviato, per il reato p. e p. dall’art. 589, commi 1 e 2,
cod.pen., con violazione delle norme sulla circolazione stradale (ed in specie
dell’art. 154 Cod. strada). Tanto in riferimento a un incidente stradale occorso il

La dinamica dell’incidente consisteva nell’investimento dei Galli cagionato
dal Parisi mentre, alla guida della propria autovettura, effettuava una manovra di
retromarcia. La Corte di merito, nel rigettare l’appello proposto dall’imputato, ha
disatteso la versione di quest’ultimo, tesa a dimostrare che il Galli aveva
attraversato la strada in modo repentino e imprevedibile, e che perciò il Parisi
non poteva accorgersi di lui se non quando avvertì l’impatto tra la propria
autovettura e il corpo del malcapitato. Di contro, secondo la Corte etnea, il Parisi
eseguì la manovra di retromarcia senza prestare la particolare attenzione
necessaria per l’esecuzione di tale manovra; la stessa Corte di merito ha poi
escluso che il Galli fosse deceduto per cause estranee all’impatto, alla stregua
degli accertamenti tecnici e medico-legali.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il Parisi, con atto articolato in tre
distinti motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo l’esponente denuncia violazione di legge per
omessa citazione a giudizio d’appello: citazione eseguita presso il difensore ex
art. 161, comma 4, cod.proc.pen., iaddove si era ritenuta l’impossibilità della
notifica presso il domicilio dichiarato dall’imputato, a fronte del fatto che tale
notifica era stata effettuata a nome di Parisi Angela (anziché Angelo).
2.2. Con il secondo motivo l’esponente denuncia vizio di motivazione in
relazione all’affermazione di penale responsabilità, sul rilievo che, nel
procedimento di cui alla massima citata dalla Corte d’appello (riguardante fatti
identici a quelli per cui si procede) vi era stata l’assoluzione dell’imputato;
comunque, vi era carenza di prove evidenti di responsabilità a carico del Parisi, e
non si può escludere che il Galli fosse caduto a causa di un malore; ed inoltre vi
fu, quanto meno verosimilmente, concorso di colpa della persona offesa.
2.3. Con il terzo motivo l’esponente lamenta violazione di legge in
riferimento al trattamento sanzionatorio. Dopo un’ampia esposizione dei principi
che ispirano la discrezionalità dei giudice nell’applicare la pena, il ricorrente
censura la determinazione della pena in misura superiore alla media edittale,

16 settembre 2006, in esito al quale decedeva Pasquale Galli.

nonché il riferimento a remoti precedenti penali del Parisi e a un presunto “grado
elevato della colpa” che, in realtà, è contraddetto dalla motivazione del primo
giudice sulla pena accessoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è articolato in modo generico e manifestamente
infondato. Invero, a parte !a non chiara formulazione della doglianza,

affine (Parisi Angela anziché Parisi Angelo) non è sufficiente a escludere la
validità della ricerca del destinatario, laddove essa sia stata eseguita presso lo
stesso domicilio dichiarato dal destinatario medesimo (tra l’altro, nella specie,
presso una ditta non rinvenuta all’indirizzo) e non vengano allegati elementi
idonei ad accreditare il mancato o erroneo accertamento della sua irreperibilità al
momento della notifica (ad esempio fornendo indicazione della presenza, presso
lo stesso indirizzo, di altre persone aventi generalità analoghe a quelle del
destinatario apparente). Poiché infatti lo scopo della notificazione è quello di
portare la persona interessata a conoscenza dell’atto, per aversi nullità della
notificazione eseguita presso il difensore ex art. 161, comma 4, cod.proc.pen,, è
necessario che l’eventuale errore sull’indicazione nominativa del destinatario sia
tale da ingenerare un’effettiva ed assoluta incertezza sulla persona che deve
ricevere l’atto da notificare (per un’ipotesi di assoluta incertezza del destinatario,
integrante nullità, vds. ad es. Sez. 5, n. 1926 del 18/04/1996, Colnaghi, Rv.
204843).

2. Il secondo motivo di ricorso è, a sua volta, manifestamente infondato,
nonché teso a sottoporre a sindacato di legittimità questioni di mero fatto e
valutazioni del materiale probatorio che sono dernandate in via esclusiva ai
giudici di merito (cfr. Sez. U, Sentenza n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv.
216260; e, più di recente, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv.
265482). Si osserva in particolare, a proposito del l’ipotizzato malore del Galli che
ne avrebbe determinato la caduta e poi il decesso, che il dubbio ostativo
all’affermazione di penale responsabilità, in caso di prospettazione di
un’alternativa ricostruzione dei fatti, non può fondarsi su un’ipotesi del tutto
congetturale, seppure plausibile (cfr. Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli
e altri, Rv. 259204). Lo stesso è a dirsi per l’asserito concorso di colpa della
vittima, con l’ulteriore precisazione, a tal proposito, che quest’ultimo,
quand’anche fosse stato dimostrato, non avrebbe escluso la responsabilità
penale dell’odierno ricorrente, ma avrebbe unicamente graduato il

quantum

l’allegazione che la notifica sarebbe stata eseguita a nome di altro nominativo

debeatur ai fini della condanna al risarcimento del danno (cfr. Sez. 3, n. 16310
del 25/02/2009, Mattiolo, Rv. 243392).

3. Del pari manifesta è l’infondatezza del terzo e ultimo motivo di lagnanza.
Il pur sintetico riferimento della sentenza impugnata al grado della colpa e alla
biografia penale dell’imputato, richiamando sul punto la sentenza di primo grado,
costituisce corretta applicazione dei criteri di cui all’art. 133, commi 1 n. 3 e 2 n.
2 cod.pen.; può soggiungersi che, come recentemente ribadito dalla

aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al
relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri
di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena
equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o
alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata
spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media dì quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017,
Mastro e altro, Rv. 271243); nella specie, la pena inflitta all’odierno ricorrente è
ampiamente inferiore a tale soglia, anche (ma non solo) per effetto della
diminuente per il rito4. ; ciò che rende ulteriormente congrua, sui punto, la
motivazione della sentenza impugnata.

Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno
2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non
sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente
va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in C
2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 5 aprile 2018.

Il

si dente

giurisprudenza di legittimità, la graduazione della pena, anche in relazione agli

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