Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21878 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21878 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: NARDIN MAURA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
AIELLO RAFFAELE
ESTASI VINCENZO nato il 20/08/1978 a TORRE ANNUNZIATA
GARGIULO RAFFAELE nato il 19/11/1956 a TORRE ANNUNZIATA
ILARDI ROBERTO nato il 02/02/1982 a CASTELLAMMARE DI STABIA
MASOLO VINCENZO nato il 01/04/1969 a NOLA
TAMARISCO FRANCESCO nato il 23/08/1973 a TORRE ANNUNZIATA

avverso la sentenza del 19/07/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MAURA NARDIN
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE
FIMIANI •
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ PER TUTTI E RETTIFICA AD ANNI 8
PER TAMARISCO FRANCESCO.
Udito il difensore
E’ presente l’avvocato SPADAFORA PIERLUIGI del foro di SALERNO in difesa di:
MASOLO VINCENZO IL QUALE SI RIPORTA AI MOTIVI.

Data Udienza: 21/03/2018

E’ presente l’avvocato GIANZI GIUSEPPE ANTONIO del foro di ROMA in difesa di:
TAMARISCO FRANCESCO IL QUALE SI RIPORTA AI MOTIVI.
E’ presente l’avvocato PIGNATARO ALESSANDRO DI PAOLA IN SOSTITUZIONE
ORALE DELL’AVV IRLANDO SALVATORE del foro di TORRE ANNUNZIATA PER
GARGIULO RAFFAELE DI CUI CHIEDE L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO E
DELL’AVV COLA SERGIO PER TAMARISCO FRANCESCO CHIEDENDO

L’ANNULLAMENTO DELLA SENTENZA.

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RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza del 19 luglio 2016 la Corte di appello di Napoli

parzialmente riformando la sentenza di primo grado, pronunciata nei confronti di
Aiello Raffaele, Estasi Vincenzo, Galli Marco, Gargiulo Raffaele, Ilardi Roberto,
Masolo Vincenzo, Scarpa Carmelo Alessandro, Scarpa Pasquale e Tamarisco
Francesco ha rideterminato, riducendole, la pena loro inflitte, in particolare,
riconoscendo ad Aiello, Estasi, Galli, Gargiulo, Ilardi, Scarpa Carmelo e Scarpa
Pasquale ed a Tamarisco le attenuanti generiche in misura equivalente alle

309/1990, mentre per Masolo, denegate le circostanze attenuanti generiche, la,
la riduzione è intervenuta in forza della rivalutazione del dell’entità dei fatti ed
alla personalità dell’imputato ex art. 133 cod. pen., confermando nel resto le
condanne anche con riferimento alla sussistenza del delitto di cui all’art. 74,
comma 2^, d.p.r. 309/1990 nei confronti di Vincenzo Estasi, Roberto Ilardi,
Vincecnzo Masolo, Tamarisco Francesco ed alla legittimità della confisca ai danni
di Roberto Ilardi, relativi a beni immobili e mobili registrati, nonché alle somme
depositate in depositi bancari nominativi e al portatore, certificati di deposito,
titoli ed oggetti di valore.
2.

Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione Francesco

Tamarisco, Raffaele Aiello, Roberto Ilardi, Raffaele Gargiulo, Vincenzo Masolo ed
Estasi Vincenzo.
3.

Francesco Tamarisco formula, a mezzo del proprio difensore, due motivi

di impugnazione. Con il primo lamenta che la sentenza della Corte territoriale,
pur riformulando nel corpo della motivazione il ricalcolo della pena- a seguito del
giudizio di equivalenza fra le circostanze- in modo corretto (pena base per il
reato più grave 10 anni di reclusione, aumentata per la continuazione fino ad
anni 12 ed indi ridotta per il rito ad anni 8 di reclusione) abbia indicato nel
dispositivo una pena superiore (anni 9 di reclusione), rispetto a quella frutto del
calcolo. Con il secondo si duole della ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui
all’art. 80, comma 2^ d.P.R. 309/1990, rilevando che il giudice d’appello, pur
investito della questione, si è limitato a richiamare quanto già affermato dal
primo giudice, senza tenere in nessuna considerazione né le note difensive, né la
decisione- prodotta nel giudizio di secondo grado- relativa al principale filone di
indagini relative al gruppo ‘Scarpa’ che in fattispecie analoga, ha escluso
l’aggravante dell’ingente quantità. Osserva come, in assenza del sequestro dello
stupefacente e quindi di una perizia che individuasse la percentuale di principio
attivo, non sia possibile affermare il superamento di duemila volte il valore
massimo in milligrammi (valore soglia) determinato dalla tabella allegata al D.M.
11 aprile 2006, il che avrebbe imposto di assolvere l’obbligo motivazionale

contestate aggravanti, ivi compresa quella di cui all’art. 80, comma 2^ d.p.r.

sull’applicabilità dell’aggravante dell’ingente quantità in modo ben più stringente
rispetto a quanto fatto dalla sentenza impugnata.
4.

Raffaele Aiello affida il ricorso, proposto personalmente, a due

doglianze. Con la prima fa valere il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta
equivalenza delle circostanze attenuanti generiche con le contestate aggravanti.
Rileva che l’incensuratezza e la piena confessione dell’imputato avrebbero
dovuto orientare il Collegio nel senso della prevalenza delle prime, mentre pur
essendo il giudice onerato della specifica motivazione sul punto, era mancata

non commisurata al caso di specie, non solo perché l’imputato ha reso piena
confessione, ma perché è stata acclarata la sua scarsa pericolosità sociale,
essendogli stato contestato uno solo degli episodi di cui all’art. 73 d.P.R.
309/1990.
5.

Roberto Ilardi formula, a mezzo del suo difensore, un solo articolato

motivo con cui rileva il vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata in
modo carente ed illogico confermato il giudizio di primo grado sulla legittimità
del vincolo cautelare sui beni oggetto di confisca, disposta ex art. 12 sexies L.
356/1992, senza in alcun modo esaminare le note tecniche tempestivamente
depositate dal consulente dell’imputato. Da siffatta relazione emerge, infatti, una
capacità economico-patrimoniale dell’Ilardi e della moglie Luisa Polise del tutto
congrua rispetto all’acquisto degli immobili, derivante dall’istituzione di un centro
scommesse autorizzato presso il bar Meeting, della Bar Meeting s.a.s., società
dell’Ilardi e della moglie; questo reddito è comprovato dalla fatture emesse dalla
società per le provvigioni ricavate per un importo totale di euro 93,932,48
relativo agli anni 2007-2010. Seppure non indicate ai fini del calcolo IRPEF,
nondimeno, le somme dimostrano la legittima provenienza delle risorse
necessarie all’acquisto degli immobili sequestrati, rispetto ai quali peraltro erano
prodotti tutti gli atti di compravendita. D’altro canto, i pagamenti, benché
all’epoca non fosse prevista la loro tracciabilità, erano stati effettuati con titoli di
credito riconducibili a conti correnti dell’Ilardi e della Polese, ed in un caso previa
accensione di apposito mutuo. Infine, gli acquisiti risalivano al periodo 20052011, mentre la contestazione associativa formulata ex art. 74 d.P.R. era
collocata nel 2013-2014. Del tutto ingiustificata, dunque, anche sotto questo
punto di vista la confisca per sproporzione, avendo la parte interessata
provveduto a dimostrare la lecita provenienza delle sostanze per l’acquisto dei
beni, anche se intervenuti molto tempo prima.
6.

Raffaele Gargiulo, a mezzo del proprio difensore, introduce un unico

motivo di impugnazione, con cui si duole della violazione della legge penale, con
riferimento agli artt. 73 ed 80, comma 2^, d.P.R. 309/1990 e del vizio di

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ogni spiegazione al riguardo. Con la seconda lamenta l’eccessività della pena,

motivazione per avere la sentenza affermato la sussistenza dell’aggravante
dell’ingente quantità, nonostante il mancato sequestro della sostanza e
l’impossibilità di determinare il principio attivo della sostanza secondo i criteri
indicati dalla giurisprudenza di legittimità (richiama Sezioni Unite 36258/2012 e
Sez. 6″ n. 543/2015) sul superamento della quantità determinata come duemila
volte superiore al valore soglia ai sensi del d.m. 11 aprile 2006. Sottolinea che il
quantitativo di stupefacente oggetto della contestazione riguardante il Gargiulo
(rispettivamente 30 e 90 Kg di cocaina) è costituito dal peso lordo della sostanza

conseguenza dell’impossibilità di stabilire in modo positivo i presupposti
dell’aggravante.
7.

Vincenzo Masolo, a mezzo del suo difensore, censura la decisione sotto

il profilo del vizio di motivazione perché, in modo illogico e del tutto
contraddittorio, riconosce la partecipazione dell’imputato all’associazione di cui
all’art. 74 d.P.R. 309/1990, benché dalle emergenze processuali risultino
esclusivamente contatti fra il Masolo e l’Ilardi, acquirente del gruppo ‘Scarpa’. E
ciò esclusivamente in occasione di due episodi -capi c) e d) dell’imputazione relativi all’importazione dalla Spagna di Kg. 10,00 di cocaina, affidata all’autista
Galli ed all’importazione

dall’Olanda di kg. 32,923 di cocaina affidata al

medesimo autista, oggetto di sequestro- e per un periodo di tempo assi limitato
(solo dal 27 aprile 2013 al 5 maggio 2013 per il capo c) e deal 3 maggio al 11
maggio 2013 per il capo d)). Rileva che la qualità di sodale è fatta derivare in
modo del tutto indiretto, senza spiegare come il Masolo, che ebbe con l’Ilardi un
così breve rapporto, potesse conoscere la stabilità dei suoi rapporti ed il gruppo
‘Scarpa’ o che gli acquisti avvenissero in Spagna o Olanda a seconda della
convenienza del mercato. Sottolinea che rispetto al coimputato Aiello, la Corte di
Cassazione, Sezione 6″ penale, aveva annullato un’ordinanza cautelare che, in
relazione alla partecipazione al sodalizio, faceva proprio riferimento all’esclusivo
rapporto dell’Aiello con l’Ilardi.

Evidenzia, infine, come la smentita circa il

contributo del Masolo, quale determinante per il raggiungimento degli obiettivi
associativi, emerga dal fatto che l’illecita transazione di cui al capo b)
dell’imputazione, relativo all’importazione di kg. 12,00 circa di cocaina, pur
prossima agli episodi contestati, è intervenuta senza la sua partecipazione, il che
dimostra che egli non era organico al sodalizio, che si serviva del contributo di
più esterni.
8.

Vincenzo Estasi formula, con ricorso presentato personalmente, un

unico motivo che articola in due profili.

Con il primo lamenta il vizio di

motivazione per non avere la sentenza specificato le modalità di calcolo sulla
pena, in particolare in ordine agli aumenti per la continuazione. Con il secondo si

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nel suo complesso, nulla essendo noto circa il principio attivo, con la

duole della genericità dell’iter logico-argomentativo sull’affermazione di
responsabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Conviene esaminare i motivi proposti in ordine logico trattando

congiuntamente quelli comuni fra i ricorrenti.
2.

La prima doglianza di cui occuparsi è quella relativa alla configurabilità

del reato di cui all’art. 74, comma 2^ d.P.R. 309/1990 proposta da Vincenzo
Masolo, avendo tutti gli altri coimputati rinunciato ai motivi inerenti alla

3.

La censura pone, fondamentalmente, la questione dell’individuazione

dei tratti specifici del reato associativo, rispetto ai quali lamenta il vizio logico e
l’omissione della motivazione, travalicante nell’errata applicazione dell’art. 74,
comma 2^, d.p.r. 309/1990, a fronte della loro chiara inconsistenza nel caso di
specie.
4.

La connotazione dell’associazione viene correttamente individuata dal

ricorrente nella proiezione dell’interesse del compartecipe oltre ai singoli episodi
che lo vedono direttamente coinvolto. Gli indici dell’espansione dell’interesse alla
finalità associativa andrebbero desunti nel caso di specie, quantomeno, dalla
durata del vincolo avente natura stabile e continuativa, e dall’esclusività della
fornitura, implicante la non concorrenza con altri soggetti cui viene devoluto il
medesimo compito. Siffatti elementi sintomatici, tuttavia, sarebbero stati del
tutto ignorati dalla motivazione, ove si ritiene integrata la fattispecie sulla basi
due soli episodi di organizzazione del trasporto sottovalutando, tra l’altro, la non
esclusività del contributo operativo, per avere l’organizzazione utilizzato la
prestazione di altri in occasione di altra importazione, se non coeva quantomeno
assai prossima a quelle oggetto delle imputazioni del Masolo, da cui si
ricaverebbe l’autonomia della sua posizione rispetto all’organizzazione..
Va subito osservato che la sentenza, contrariamente a quanto preteso con il
ricorso, dà conto, da un lato, dei motivi per i quali assegna un rilevante valore
partecipativo alla disponibilità manifestata dal Masolo alla fornitura degli
stupefacenti oggetto del traffico cui era finalizzata l’associazione, anziché alla
pluralità dei reati, dall’altro, delle ragioni per le quali ritiene sussistente la
partecipazione ed il vincolo associativo al di là dell’estensione temporale delle
attività illecite svolte.
In particolare, richiamando in modo pressoché integrale la sentenza di primo
grado, il cui corpo argomentativo costituisce un unico tessuto motivazionale con
quella di secondo grado, chiarisce che deve ritenersi integrata la condotta di
partecipazione all’associazione di cui all’art. 74 cit., a fronte della consapevolezza
di operare in un’organizzazione le cui singole attività, ancorché organizzate in

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responsabilità per i reati loro contestati.

sottogruppi, operanti con discreta libertà, contribuiscono- con vicendevole
integrazione- al fine comune costituito dal narcotraffico, per il conseguimento di
ingenti profitti. In questo quadro l’assenza di un rapporto di esclusività non
assume, secondo i giudici di merito, alcuna rilevanza allorquando si determini un
vincolo durevole fra i soggetti che fanno parte della struttura organizzata, anche
qualora non conoscano gli altri compartecipi. Dunque, la prova del
coinvolgimento in due soli episodi penalmente rilevanti è compatibile con
l’associazione laddove si possa ritenere il proposito del singolo associato sia

ciò dimostrato nel caso di specie non solo dalla delicatezza dei trasporti la cui
organizzazione era stata affidata al Masolo – il quale si era premurato di reclutare
l’autotrasportatore, dipendente della stessa società presso cui egli lavorava, per
affidargli il delicato incarico- ma anche dai continui contatti con l’Ilardi, a sua
volta in contatto costante con Francesco Scarpa e Giuseppe Mele, acquirenti
continuativi dello stupefacente.
Gli elementi di fatto sussunti nella fattispecie sono principalmente tratti dal
numero di contatti emersi dalle intercettazioni telefoniche e pin to pin su
Balckberry, da cui i giudici del merito ricavano, nonostante il breve periodo di
riferimento, la disponibilità del Masolo, stabile ed indefinita nel tempo, a fornire
al sodalizio l’apporto richiesto per l’organizzazione concreta dei trasporti.
L’esame del materiale consente, secondo il Collegio, di individuare – tramite la
decrittazione del linguaggio usato dai compartecipi – in ciascuno dei contatti,
largamente riportati- le modalità di regolazione dei rapporti. Ciò emerge, nel
ragionamento del provvedimento impugnato, anche dai riferimenti degli
appartenenti al sodalizio al suo contributo, definito dalla sentenza ‘essenziale’,
per l’importazione della sostanza stupefacente e dalla “supina disponibilità” nei
confronti degli organizzatori degli acquisti di narcotico, nonché dal ruolo di
raccordo fra corrieri e destinatari della droga, testimoniato dalla comunicazione
delle informazioni che egli curava, ricevendole e trasmettendole. Ed infine
dall’accordo, intervenuto con l’Ilardi, per il trasporto di ulteriori carichi (in tutto
cinque) di cocaina, per i quali era stato contrattato fra i due il prezzo.
Tornando alla doglianza, come proposta in questa sede, occorre verificare se
effettivamente possa affermarsi la logicità e la congruità della motivazione in
relazione alla corrispondenza fra gli elementi accertati – emergenti dalla
captazioni- e la fattispecie di cui all’art. 74 d.p.r. 309/1990, sotto il profilo della
ricorrenza degli indici dell’espansione dell’intento criminoso al programma
associativo, elemento distintivo del reato associativo.
Con riferimento alla lettura della disposizione di cui all’art. 74, comma 2^
del d.p.r. 309/1990, la soluzione del problema posto dall’impugnante va

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quello di contribuire causalmente ad una serie indeterminata di delitti, essendo

ricercata nel confronto con la copiosa giurisprudenza di questa Corte relativa
alla sussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato.
Sotto il primo profilo è stato anche ultimamente ribadito l’orientamento
secondo il quale il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti
prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente
agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non è incompatibile
con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione (cfr. “In tema di
associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, anche il

partecipazione, laddove le connotazioni della condotta dell’agente,
consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne riveli,
secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle
dinamiche operative e della crescita criminale dell’associazione. (Conf. sent. n.
1346 del 2016, non mass.)”. (Sez. 6, n. 1343 del 04/11/2015 – dep.
14/01/2016, Policastri, Rv. 26589001; conformi Sez. 1, n. 43850 del
03/07/2013 – dep. 25/10/2013, Durand e altri, Rv. 25780001).
La ragione sottostante siffatta interpretazione- che limita sino ad escluderla
la necessità di partecipazione al reato-fine -(cfr. in questo senso “In materia di
reati associativi, la commissione dei “reati-fine” dell’associazione, di qualunque
tipo essa sia, non è necessaria, né ai fini della configurabilità e nemmeno ai fini
della prova della sussistenza della condotta di partecipazione.” (Sez. 3, n. 9459
del 06/11/2015 – dep. 08/03/2016, Venere, Rv. 26671001) – risiede nella
classificazione del reato, come reato di mera condotta, consistente nella
compenetrazione nel sodalizio orientato alla realizzazione di un programma
criminoso e nella dimostrata disponibilità al perseguimento del fine comune,
anche tramite la realizzazione di reati-fine. Sicché la partecipazione ai reati fine
finisce per essere elemento sintomatico della disponibilità, intesa come
appartenenza associativa, ma non ne integra l’elemento oggettivo. La
particolarità della condotta di partecipazione sta, infatti, nella sua impermeabilità
alla consumazione del reato fine (cfr. di nuovo Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015),
tanto che di questo, o meglio di questi, risponde solo chi vi abbia materialmente
o moralmente contribuito causalmente, proprio come accade nell’ipotesi di mero
concorso di persone nel reato, restando esclusi coloro che condividono il
generale programma dell’organizzazione e contribuiscono al suo sviluppo,
laddove non personalmente coinvolti.
Sotto il profilo soggettivo, invece, ciò che connota il reato associativo è
proprio l’apporto individuale apprezzabile, che integri un contributo alla stabilità
dell’unione illecita: requisito questo, ampiamente motivato dalla Corte
territoriale, anche in termini temporali, nonostante la ridotta durata delle

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coinvolgimento in un solo reato-fine può integrare l’elemento oggettivo della

intercettazioni, attraverso l’esame di conversazioni da cui viene tratto positivo
riscontro degli accordi non solo per la predisposizione di efficaci mezzi di
trasporto che assicurarono il compimento dei reati fine direttamente attribuiti al
Masolo, ma anche per la stabile prosecuzione del rapporti, con particolare
riguardo alla predisposizione dell’organizzazione di successivi trasporti di droga,
per i quali viene concordato anticipatamente il prezzo, così dimostrando, come si
evince dalla motivazione, un solido programma futuro e comune.
Proprio a questo proposito può assumersi che, in generale, l’adesione al

appartenenza al sodalizio criminale, essendo sufficiente, da un lato, la
dimostrazione della sua condivisione per un tempo apprezzabile e dall’altro, la
prospettiva soggettiva di durevole intraneità all’organizzazione. Sicché è
sufficiente, come nel caso di specie, anche l’osservazione di un breve periodo di
contatti fra i compartecipi, quando dimostrino sia l’oggettiva sussistenza di una
collaborazione stabile nella programmazione criminale, che la soggettiva volontà
di condividere il progetto per un tempo apprezzabile.
Parimenti deve essere ritenuta, così come fanno i giudici del merito,
l’irrilevanza dell’esclusività del contributo fornito per la preparazione dei
trasporti, ben potendo l’associazione avvalersi di più di un compartecipe per
siffatta frazione dell’organizzazione del traffico di stupefacenti. Non è infatti
necessario che per appartenere al sodalizio al soggetto coinvolto venga
assicurata l’unicità della funzione assegnatagli, ciò peraltro essendo pressoché
incompatibile con un’organizzazione estesa.
Né può darsi alcun rilievo al fatto che con ordinanza di altra Sezione della
Suprema Corte, relativa al’impugnazione di un provvedimento cautelare, sia
stato riconosciuta per l’imputato Aiello l’insussistenza della partecipazione del
medesimo all’associazione dedite al narcotraffico, in quanto egli avrebbe tenuto
rapporti solo con l’Ilardi e non con altri sodali. Da un lato, infatti, Aiello è stato
assolto anche in questo processo da quell’imputazione, proprio in relazione
all’assenza di un rapporto di intraneità, dall’altro, ciò che valutato è il contributo
fornito da ciascuno degli imputati all’attività associativa, dimostrata dalla natura
della collaborazione e dell’inserimento organizzativo non solo, come sembra
ritenere il ricorrente, dall’esclusività del rapporto telefonico con uno dei
compartecipi, peraltro valutato in una fase del procedimento in cui l’imputazione
è ancora “fluida”.
Il motivo va, dunque, definitivamente respinto.
5. Va, a questo punto, affrontato il tema proposto da diversi ricorrenti,
relativo alla configurabilità dell’aggravante dell’art. 80, comma 2^ d.P.R.
309/1990, ritenuta dai giudici del merito, e contestata, in assenza di sequestro

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programma associativo può prescindere dall’effettiva prova della duratura

della sostanza – in più episodi fra quelli contestati agli imputati- manca ogni
conoscenza sulla significatività del principio attivo.
E’ stato affermato in plurime pronunce, che nelle ipotesi in cui il traffico, la
detenzione o lo spaccio emerga da prove indiziarie o da dichiarazioni captate, in
assenza di sequestro dello stupefacente (quella che con un’espressione scorretta,
ma sicuramente efficace, viene definita droga parlata)

“la loro valutazione, ai

sensi dell’art.192, comma secondo, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal
giudice con particolare attenzione e rigore ed, ove siano prospettate più ipotesi

essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole
dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione
soltanto delle eventualità più remote. (Fattispecie relativa ad annullamento di
condanna per traffico di stupefacenti, nella quale la Corte ha censurato la
sentenza impugnata perché non aveva adeguatamente motivato sul fatto che, in
una conversazione intercettata, l’imputato accusava il suo interlocutore di averlo
“truffato”, circostanza che consentiva alla difesa di prospettare che la droga
ricevuta non aveva in realtà efficacia drogante). (Sez. 6, n. 27434 del
14/02/2017 – dep. 01/06/2017, Albano, Rv. 27029901; Sez. 3, Sentenza n.
16792 del 25/03/2015 Ud. (dep. 22/04/2015 ) Rv. 263356; Sez. 2, Sentenza n.
44220 del 18/10/2013 Ud. (dep. 29/10/2013 ) Rv. 257666).
Ora, ciò che connota la credibilità della c.d. droga parlata è l’assenza di altra
spiegazione sul significato delle conversazioni captate o sulla capacità
sintomatica degli indizi raccolti di rappresentare una realtà difforme da quella
della determinazione del traffico di stupefacente la cui efficacia drogante possa
dirsi superiore alla soglia minima come stabilita ravvisabile quando la quantità
risulti pari a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia),
determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al D.M. 11 aprile 2006.
(Sez. 3, n. 42827 del 04/05/2016 – dep. 11/10/2016, Eke e altro, Rv.
26790201).
Sull’elemento specifico del ‘superamento’, dunque, la motivazione della
sentenza deve mostrare l’univocità logica degli elementi non direttamente
rappresentativi dell’efficacia drogante dello stupefacente oggetto delle
conversazioni captate o comunque delle prove raccolte da cui si ricavi il
quantitativo del traffico. Ciò perché l’assenza di una prova diretta implica di per
sé la possibilità che il quantitativo effettivamente detenuto o trasportato o
compravenduto non corrisponda a quanto emergente dall’analisi delle
intercettazioni, ma altresì perché il quantitativo di per sé non significa che la
sostanza lorda contenga una quantità di principio attivo sufficiente al
‘superamento’ appena indicato.

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ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve

Occorre, tuttavia, occuparsi anche di un altro aspetto, perché sia la sentenza
di secondo, che quella di prima grado configurano l’aggravante facendo
riferimento al quantitativo complessivo, senza riferire l’aggravante a ciascun
singolo episodio. E ciò, sebbene vi sia un orientamento secondo cui “qualora si
tratti di una pluralità di reati in materia di stupefacenti, la ricorrenza della
circostanza di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, che accede ai
delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, va verificata in relazione a
ciascuno dei delitti commessi, dovendosi escludere che di ingente quantità si

detenuti e così via, a meno che non sia possibile identificare una antecedente
condotta avente ad oggetto l’intero quantitativo, solo frazionato in successivi
quote. Del pari, l’aggravante in parola è sì configurabile anche se la materiale
disponibilità della sostanza sia frazionata tra più persone, in modo che solo dalla
somma dei diversi quantitativi risulti superato il dato ponderale necessario, ma
sempre che tra esse sia ravvisabile il concorso nel reato”. (Sez. 6, n. 47984 del
27/11/2012 – dep. 12/12/2012, Kamberaj e altro, Rv. 254276; cfr anche: “In
tema di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, la ricorrenza della
circostanza aggravante della ingente quantità va verificata in relazione a
ciascuno dei delitti commessi, dovendosi escludere che la stessa sia configurabile
in ragione della sommatoria dei quantitativi di volta in volta singolarmente
detenuti, a meno che non sia possibile identificare una condotta antecedente
unica, avente ad oggetto l’intero quantitativo, successivamente frazionato in
quote distinte.” (Sez. 4, n. 27736 del 11/04/2014 – dep. 26/06/2014, S. e altri,
Rv. 26105801).
Ora, la sentenza impugnata, integrata con la motivazione del primo grado di
giudizio implicitamente -ma chiaramente- richiama la massima di esperienza
secondo cui lo stupefacente importato è di elevato grado di purezza, perché è
destinato a successivo frazionamento, in vista del soddisfacimento di un
amplissimo numero di acquirenti finali.
Sicché l’intercettazione da cui si desuma la prova della responsabilità è
prova non solo del quantitativo, ma altresì di una ‘qualità’ della droga ai fini
della valutazione del limite fissato -e riconosciuto dalla giurisprudenza di
legittimità- come quantitativo ‘ingente’.
La decisione gravata, dunque, regge alla loro applicazione anche avuto
riguardo a ciascuno dei singoli episodi, proprio in considerazione della
circostanza, più volte ricordata dalla pronuncia, relativa all’enormità dei
quantitativi ricavabili delle captazioni, mai inferiori ai 10 kg cocaina e con punte
sino a 90 kg..

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possa parlare in virtù della sommatoria dei quantitativi trasportati, ceduti,

L’aggravante è stata, pertanto, riconosciuta correttamente dalla sentenza
impugnata (così come da quella del primo grado).
6.

Ne consegue che tutti i ricorsi sul punto vanno rigettati.

9.

Può essere affrontato, a questo punto, il motivo di impugnazione

formulato da Ilardi Roberto relativo al vizio di motivazione per avere la decisione
confermato il giudizio di primo grado sulla legittimità del vincolo cautelare sui
beni oggetto di sequestro finalizzato alla confisca, disposta ex art. 12 sexies L.
356/1992. La censura, come risulta dell’esposizione, si concentra in modo

dell’imputato e della moglie Luisa Polise, da ritenersi del tutto congrua rispetto
all’acquisto degli immobili; il secondo sulla mancanza di contiguità temporale fra
l’acquisto di alcuni degli immobili ed il periodo in cui ricade l’attività illecita
contestata. Ciò emergerebbe, da un lato, dai proventi derivanti dal centro
scommesse autorizzato presso il bar Meeting, della Bar Meeting s.a.s., -società
dell’Ilardi e della moglie- nella misura totale di euro 93,932,48 relativo agli anni
2007-2010, che dimostrerebbero la legittima provenienza delle somme utilizzate
per l’acquisto dei beni oggetto del provvedimento. Dall’altro, dal tempo in cui
intervennero gli acquisiti, risalenti al 2005-2011, rispetto al tempo cui viene
riferita la contestazione associativa, formulata ex art. 74 d.P.R., nel periodo
2013-2014.
7.

Anche con riferimento a queste doglianze la sentenza è congruamente e

logicamente motivata, perché muove dal principio ripetutamente affermato
secondo cui “In tema di confisca ai sensi dell’art. 12 sexies, D.L. 8 giugno 1992
n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356, essendo
irrilevante il requisito della “pertinenzialità” dei beni rispetto al reato per cui si è
proceduto, la confisca non è esclusa per il fatto che questi siano stati acquisiti in
epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro
valore superi il provento del medesimo reato. (ex multis Sez. 2, n. 18951 del
14/03/2017 – dep. 20/04/2017, Napoli e altro, Rv. 26965701;

Sez.

6,

Sentenza n. 22020 del 22/11/2011 Cc. (dep. 07/06/2012 ) Rv. 252849 Sez. 6,
Sentenza n. 22020 del 22/11/2011 Cc. (dep. 07/06/2012 ) Rv. 252849; , Sez.
1, Sentenza n. 8404 del 15/01/2009 Ud. (dep. 25/02/2009 ) Rv. 242863).
8.

Le ragioni per cui deve ritenersi che la confisca di cui all’art. 12 sexies

D.L. n. 306 del 1992 non richieda l’accertamento di un nesso eziologico tra il
reato e i beni, rendendo irrilevante che detti beni siano o meno derivanti dal
reato per il quale è stata inflitta la condanna, sono state oggetto di una
pronuncia delle Sezioni unite che ha ampiamente spiegato che se “si richiedesse
un carattere immediato e diretto della pertinenza della cosa col delitto, tale
relazione corrisponderebbe o alle cose utilizzate per il reato o alla nozione di

11

particolare su due aspetti: il primo riguarda la capacità economico-patrimoniale

prezzo o di prodotto o di profitto, la cui confiscabilità è già prevista dall’art. 240
c.p. E quindi (…) l’articolo 12 sexies (…) si limiterebbe a rendere obbligatoria la
confisca facoltativa prevista per le cose destinate a commettere il reato, il
prodotto ed il profitto di questo. Ma considerando che l’obbligatorietà è già
specificamente prevista dal codice per i delitti di associazione mafiosa e di usura,
la norma in esame, per questi delitti, costituirebbe un’inutile replica di un istituto
già esistente nell’ordinamento, così come in generale lo sarebbe per la confisca
del prezzo del reato (…). Rimane pertanto da verificare se, nonostante la

uno dei reati che essa stessa indica, richieda un accertamento della provenienza
dei beni non dal reato oggetto del giudizio, ma dall’attività illecita del
condannato. (…). Tuttavia “L’innesto della confisca in esame nel processo non
può allargare indefinitamente il thema decidendum di quest’ultimo. I limiti della
contestazione, con i connessi diritti della difesa al contraddittorio, impediscono al
giudice di occuparsi di condotte varie e multiformi, pregresse o successive al
fatto per cui si procede. Il quale giudice dovrebbe invece conoscere di queste
condotte non incidenter tantum, ma nella pienezza delle sue attribuzioni di
cognizione, sia pure ai limitati fini della sussistenza di un presupposto della
misura di sicurezza patrimoniale. Con la conseguenza che l’istituto in parola o
resterebbe di fatto inapplicato per incompatibilità con i meccanismi processuali in
cui s’è cercato di introdurlo o che un accertamento del nesso di derivazione del
bene dall’attività criminosa non è richiesto dall’art. 12 sexies. Tutto quanto s’è
fin qui osservato conduce allora a ritenere che il legislatore, nell’individuare i
reati dalla cui condanna discende la confiscabilità dei beni, non ha presupposto la
derivazione di tali beni dall’episodio criminoso singolo per cui la condanna è
intervenuta, ma ha correlato la confisca proprio alla sola condanna del soggetto
che di quei beni dispone, senza che necessitino ulteriori accertamenti in ordine
all’attitudine criminale. In altri termini il giudice, attenendosi al tenore letterale
della disposizione, non deve ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni
confiscabili e il reato per cui ha pronunziato condanna e nemmeno tra questi
stessi beni e l’attività criminosa del condannato (…) Con il corollario che, essendo
la condanna e la presenza della somma dei beni di valore sproporzionato realtà
attuali, la confiscabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di
pericolosità presente, non è certo esclusa per il fatto che i beni siano stati
acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto o che il
loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna.”
9. Sulla base di questa premessa, ritenuta dalla Corte territoriale e prima
ancora dal Tribunale, quale presupposto del ragionamento, sono state svolte
idonee ed incensurabili argomentazioni in relazione a ciascun singolo bene

12

presunzione posta dal legislatore, la norma, pur muovendo dalla condanna per

immobile e mobile, chiarendo anche perché si è ritenuto che le somme
necessarie agli acquisti non fossero qualificabili come di lecita provenienza,
andando cioè ben oltre a quanto richiesto, secondo la lettura appena offerta,
dalla norma per sottoporre al provvedimento di confisca i beni dell’interessato e
del suo nucleo familiare. Così come la sentenza impugnata ha esaurientemente
spiegato perché le deduzioni del ricorrente non costituissero una prova contraria
sufficiente a vincere la presunzione posta dalla norma in discussione.
10. Anche questo motivo deve, pertanto respinto.

il dispositivo e la motivazione in relazione al calcolo della pena irrogatagli- i
motivi formulati da Aiello in ordine all’eccessività della pena e quelli formulati da
Estasi in riferimento al calcolo della continuazione. Partendo da quest’ultimo va
semplicemente rilevato che la Corte si è limitata, nel riconoscere l’equivalenza
delle attenuanti generiche con l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2^ d.P.R.
309/1990, a detrarre l’aumento di pena riconosciuto dal primo giudice,
mantenendo gli aumenti per la continuazione e la riduzione per il rito. Riguardo
alla doglianza formulata da Aiello, invece. Va ricordato che la Corte ha
confermato il giudizio del primo giudice, anche qui solo scomputando
l’aggravante per effetto del giudizio di equivalenza. A proposito dell’eccessività
della pena applicata all’Aiello, occorre osservare che le ragioni della sua concreta
definizione si rinvengono nel complesso della motivazione della sentenza – si
deve rammentare infatti che l’interessato, sebbene assolto per il reato
associativo, nondimeno è stato condannato per l’importazione di un quantitativo
notevolissimo di droga (kg. 32,923) oggetto di sequestro e che del suo
comportamento processuale e collaborativo si dà atto in quella parte della
sentenza in cui si giustifica l’applicazione delle attenuanti generiche. Mal si
comprende, infine, di cosa si dolga l’Estasi in relazione al calcolo della
continuazione fra i reati, tenuto conto che la pena per il reato associativo è stata
quantificata in anni 9 di reclusione e per ciascuno dei reati di cui all’art. 73,
commi 1^ e 1^ bis d.P.R. 309/1990, l’aumento è stato determinato in misura
rispettivamente in anni 1, cioè in misura assai ridotta, sino a determinare la
pena finale in anni 11, che con la diminuzione per il rito sono stati ridotti ad anni
7 e mesi 4 di reclusione. L’ulteriore motivo proposto dall’Estasi, relativo alle
modalità di accertamento della responsabilità, è

inammissibile in quanto

assolutamente generico.
12. In ordine al motivo proposto da Tamarisco in relazione al preteso erroe
contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata va premesso come nella
motivazione sia effettivamente contenuto un calcolo della pena che- fissando la
pena base relativa al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 in anni 10 di

13

11. Restano- prima di occuparsi della discrasia denunciata da Tamarisco fra

reclusione, considerato il reato più grave,

opera gli aumenti per la

continuazione in relazione ai due reati meno gravi di cui all’art. 73, commi 1^ e
1^ bis d.P.R. cit., fissando così la pena in anni 12 di reclusione, cui applica la
riduzione per il rito- giunge alla determinazione della pena in anni 8 di
reclusione, mentre nel dispositivo viene applicata al Tamarisco quella di anni 9
di reclusione.
13. L’argomento fondante la doglianza è quello secondo cui la chiarezza del
calcolo contenuto nella motivazione consente di comprendere che il Collegio la

corretto anche in sede di legittimità.
Deve ribadirsi, a questo proposito, il principio della prevalenza del
dispositivo sulla motivazione -molto correttamente riportato anche dal
ricorrente- orientamento ampiamente maggioritario nella giurisprudenza di
questa Corte secondo cui : “In caso di difformità tra dispositivo e motivazione, il
primo prevale sulla seconda, in quanto il dispositivo costituisce l’atto con il quale
il giudice estrinseca la volontà della legge nel caso concreto, mentre la
motivazione ha una funzione esplicativa della decisione adottata. (Sez. 2, n.
15986 del 07/01/2016 – dep. 19/04/2016, Marzico, Rv. 26671701; Sez. 3,
Sentenza n. 37849 del 19/05/2015 Ud. (dep. 18/09/2015 ) Rv. 265183; Sez. 6,
Sentenza n. 29348 del 13/06/2013 Ud. (dep. 09/07/2013 ) Rv. 257212; Sez. 6,
Sentenza n. 29348 del 13/06/2013 Ud. (dep. 09/07/2013 ) Rv. 257212 Sez. 4,
Sentenza n. 34177 del 19/07/2012 Ud. (dep. 06/09/2012 ) Rv. 253530).
In questo caso, va constatato che la motivazione non contiene alcuna
giustificazione in ordine alla determinazione della pena concretamente applicata
in nove anni di reclusione, perché utilizza parametri che non consentono di
risalire al calcolo, anche avuto riguardo ad altri coimputati che si trovano in
posizione analoga. Ne discende l’annullamento della sentenza sul punto, in
quanto il dispositivo, prevalente sulla motivazione, resta privo di giustificazione
alcuna.
14. All’integrale rigetto dei ricorsi di Raffaele Aiello, Roberto Ilardi, Raffaele
Gargiulo, Vincenzo Masolo e Vincenzo Estasi consegue la condanna al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
– Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Tamarisco Francesco
limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte
di Appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto.
Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità del predetto imputato.
Rigetta i ricorsi di Aiello Raffaele, Estasi Vincenzo, Gargiulo Salvatore, Ilardi
Roberto e Masolo Vincenzo che condanna al pagamento delle spese processuali.

14

difforme compilazione del dispositivo è frutto di un mero refuso, che può essere

Così deciso il 21/03/2018

Maura ardin

Il Presidente
Giaco

Fumu

Il Consigliere estensore

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