Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21874 del 27/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21874 Anno 2018
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BEN MAHMOUD HEDI nato il 13/05/1974

avverso la sentenza del 13/02/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente SALVATORE DOVERE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE
FIMIANI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore
Nessun difensore e’ presente.

Data Udienza: 27/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha
confermato la pronuncia emessa nei confronti Ben Mahmoud Hedi dal Tribunale
di Pavia, con la quale questi era stato giudicato responsabile dei reati di fuga e di
omissione di soccorso [art. 189, co. 6 e 7 Cod. str., commessi il 22.4.2012] e
condannato alla pena di mesi nove di reclusione.
Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito il 22.4.2012 l’imputato,
alla guida dell’autovettura Ford Focus targata AZ038ZF, mentre percorreva una

Polo targato CE149NY, condotto da Francesco Garcea; nonostante l’impatto egli
ometteva di fermarsi e si dava alla fuga senza prestare assistenza alla persona
ferita nell’occorso.

2.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del

difensore di fiducia, avv. Barbara Bertoni.
2.1. Con un primo motivo deduce il vizio della motivazione in merito
all’affermazione di responsabilità, perché essa sarebbe fondata su elementi non
univoci (il ritrovamento della targa anteriore della Focus all’interno del
copricerchio della Polo non consentirebbe di ritenere certamente verificatosi
l’incidente), sulle dichiarazioni della teste Acosta (a riguardo delle quali si deduce
il travisamento della prova) e il silenzio legittimamente serbato dall’imputato.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 42 e 43 cod.
pen., in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo, per essere inidonei gli
indicatori fattuali del dolo eventuale indicati dalla sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. La giurisprudenza di legittimità insegna che è inammissibile il ricorso
per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente
respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito
adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che,
così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico
determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 – dep. 28/10/2014, Cariolo e altri,
Rv. 260608).
3.2. Nel caso che occupa il ricorrente afferma, invero contraddittoriamente,
che la Corte di Appello ha ritenuto che vi fosse stata una collisione violenta tra i
veicoli nonostante l’assenza di rilievi, di documentazione fotografica, di indagini
sui veicoli, che dimostrassero l’avverarsi dell’incidente; e che la teste Caruso
aveva riferito che l’urto tra le autovetture era avvenuto da tergo. Si tratta di una
censura già sottoposta al giudice territoriale e che ha trovato adeguata replica
2

strada urbana nel territorio del Comune di Pavia, urtava il veicolo Volkswagen

nella considerazione che la targa anteriore della Ford Focus era stata trovata ad
una ventina di metri dal luogo dell’impatto, impigliata all’interno del copricerchio
mancante della Volkswagen. Con tale rilievo la Corte di Appello ha escluso
ragionevolmente che quella targa potesse essere stata smarrita in un momento
diverso da quello dell’impatto e che questo aveva avuto una certa violenza.
3.3. Anche la censura che coglie la valutazione della testimonianza Acosta è
stata già vagliata dal giudice di secondo grado. Questi ha correttamente riportato
il passaggio delle dichiarazioni che il ricorrente sostiene esser stato pretermesso

alle ore 2,00 circa, dipende dai giorni”) ed ha affermato che da tale dichiarazione
risultava che gli orari di lavoro dell’imputato potevano variare a seconda dei
giorni. Questa asserzione identifica uno dei possibili significati della frase, atteso
che la variabilità risulta indicata dalla teste con espressioni che lasciano il dubbio
se ella avesse inteso riferiris all’intero orario di lavoro o solo all’orario di
cessazione dell’attività lavorativa. Ciò implica che non si è certamente in
presenza di un travisamento della prova, che ricorre laddove l’errore cada sul
significante e non sul significato (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011 – dep.
11/05/2011, Carone, Rv. 250168). Ma, soprattutto, si tratta di affermazione che
va letta unitamente all’altra, fatta dalla Corte di appello, che attiene alla mancata
segnalazione da parte dell’imputato anche solo del nominativo del proprio datore
di lavoro. La doglianza della difesa, secondo la quale in tal modo si sarebbero
tratti elementi di reità dall’esercizio di un diritto, è del tutto infondata; invero, gli
elementi di reità sono stati rinvenuti aliunde e il giudice di merito ha soltanto
osservato che dall’imputato non sono venuti elementi in grado di contrastarli. Si
insegna, da questa Corte, che il silenzio serbato dall’indagato in sede di
interrogatorio di garanzia non può essere utilizzato quale elemento di prova a
suo carico, ma da tale comportamento processuale il giudice può trarre
argomenti di prova, utili per la valutazione delle circostanze “aliunde” acquisite
(Sez. 2, n. 6348 del 28/01/2015 – dep. 13/02/2015, Drago, Rv. 262617).
Ancorchè nella fattispecie non si tratti del silenzio mantenuto nell’interrogatorio
di garanzia ma di mancata offerta di adeguata prova contraria nel processo, il
principio appare utilmente riproponibile anche in questa sede.
Osservazioni non dissimili si devono svolgere a riguardo della evocazione
fatta dalla Corte di Appello della mancata presentazione da parte dell’imputato,
di osservazioni o di impugnazione al verbale redatto dalla Polizia locale di Pavia a
fini amministrativi.
Anche da tale circostanza la corte territoriale ha legittimamente tratto
argomenti di prova, risultando le ipotetiche ragioni dell’acquiescenza indicate dal

(“Sono sicura che era a Milano per lavoro, perché inizia alle ore 20,30 e termina

ricorrente non avvalorate dalla sentenza impugnata, non tacciata per tale profilo
di pretermissione delle prove.
Emerge, quindi, dalla motivazione impugnata, una non manifestamente
illogica valutazione della insufficienza della prova del fatto che l’imputato si
trovasse al lavoro nell’orario e nel giorno in cui si verificò il sinistro che vide
coinvolto il veicolo da questi posseduto.
3.4. Quanto alla motivazione attinente all’elemento soggettivo del reato,
come rammenta il ricorrente medesimo, questa Corte ha puntualizzato che, nel

dolo, necessario anche se esso sia di tipo eventuale, va compiuto in relazione
alle circostanze concretamente rappresentate e percepite dall’agente al momento
della condotta, laddove esse siano univocamente indicative del verificarsi di un
incidente idoneo ad arrecare danno alle persone (Sez. 4, n. 16982 del
12/03/2013 – dep. 12/04/2013, Borselli, Rv. 255429). Va aggiunto, in
considerazione delle censure avanzate con il ricorso, che la valutazione
concernente la attitudine delle circostanze concrete del sinistro a far
rappresentare nei conducenti coinvolti la possibile derivazione di danni alle
persone rappresenta un giudizio di merito che può essere sindacato da questa
Corte solo in caso di manifesta illogicità.
Nel caso che occupa la Corte di Appello ha osservato che l’impatto tra i
veicoli aveva determinato lo spargimento di pezzi dei due mezzi a considerevole
distanza dal luogo della collisione, che era avvenuta sulla fiancata posteriore
della Volkswagen, e da ciò ha tratto la evidenza della possibilità che le persone
trasportate su questo veicolo avessero riportato danni, anche “non
necessariamente di gravità tale da non consentire un iniziale inseguimento”. Si
tratta di motivazione non manifestamente illogica, che i rilievi del ricorrente,
incentrati sull’alternativo giudizio di una carenza di pregnanza degli indici
utilizzati, non valgono a dimostrare viziata, risolvendosi in un antagonistico
giudizio di merito che si vorrebbe avallato dal giudice di legittimità.
Si tratta quindi di un motivo non consentito.

4. Segue alla declaratoria di inammissibilità, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di duemila euro in favore della cassa delle ammende.

4

reato di fuga previsto dall’art. 189, comma sesto, cod. strad. l’accertamento del

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27/2/2018.

Salv

estensore
Dovere

Il Presid

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