Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21868 del 08/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21868 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: NARDIN MAURA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
CREMONA PATRIZIA nato il 01/09/1952 a PIACENZA
SELVA CINZIA nato il 28/05/1965 a BRESCIA

avverso la sentenza del 09/03/2017 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MAURA NARDIN
Il Proc. Gen. PAOLA FILIPPI conclude per l’inammissibilita’ dei ricorsi.

r

E’ presente l’avvocato VENEZIANI PAOLO del foro di PIACENZA in difesa di
CREMONA PATRIZIA che insiste per l’accoglimento del ricorso riportandosi ai
motivi.
E’ presente l’avvocato FIORI PAOLO del foro di PIACENZA in difesa di SELVA
CINZIA che insiste per l’accoglimento del ricorso e in subordine per la
dichiarazione della prescrizione.

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i

Data Udienza: 08/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 9 marzo 2017 la corte d’appello di Bologna ha
confermato la sentenza del tribunale di Piacenza con cui è stata ritenuta la
penale responsabilità di Patrizia Cremona e Cinzia Selva in ordine al reato di cui
all’art. 590, comma 1^ e 2^ cod. pen., in relazione all’art. 583, comma 1^ nn.1
e 2) per avere causato ad Andrea Alejandra Arroyo lesioni personali gravi
(aneminzzazione acuta con pericolo di vita, frattura del 2^ dente dell’arcata
superiore sinistra) da cui derivava malattia tale da metterne in pericolo la vita.

può essere riassunto come segue: Andrea Alejandra Arroyo in data 18 gennaio
2010 viene sottoposta ad interruzione volontaria di gravidanza, alla 16^
settimana di gravidanza, a seguito della diagnosi di grave malformazione del
feto. L’intervento avviene per via farmacologica, attraverso la somministrazione
di farmaco specifico. Il giorno 20 gennaio 2010, dopo essere stata sottoposta a
due diverse ecografie, al fine di accertare l’eventuale presenza di materiale
deciduo-coriale o di coaguli, viene dimessa con la prescrizione del farmaco
antiemorragico Methergin, da assumere con posologia 15 gg. per 3 gg. Nei
giorni successivi la paziente presenta perdite ematiche in progressiva
attenuazione, finché nel pomeriggio del 5 febbraio si verifica una perdita
emorragica rilevante, con dolori, espulsione di coaguli e lipotimia. Santiago
Monteagudo, marito della Arroyo, interpella la ginecologa di fiducia della moglie
che telefonicamente consiglia l’assunzione del medesimo farmaco antiemorragico
Methergin, già prescritto in precedenza. Mentre il Monteagudo si reca in
farmacia per l’acquisto della medicina, viene chiamato dalla Arroyo che lo
avverte del peggioramento della situazione emorragica, riferendo che si era
accasciata a terra e si sentiva svenire. Rientrato a casa il Monteagudo trova la
moglie priva di sensi, telefona al 118 e la Arroyo viene condotta al Pronto
Soccorso dell’ospedale, ove al triage riceve il codice verde. Sottoposta a visita
dal medico di turno Cinzia Selva- che effettua esami ematochimici (valore HB
pari ad 11,2) e somministra di soluzione fisiologica 500 cc- viene avviata alle ore
20.50 alla consulenza ginecologica, effettuata da Patrizia Cremona, che, a sua
volta, la sottopone a visita ed a ecografia transvaginale. All’esito della
consulenza la Cremona referta: “genitali esterni e vagina regolari. Collo
dell’utero beante, perdite ematiche frammiste a coaguli. Corpo dell’utero
contratto. Ecografia TV., trans vaginale, non materiale deciduo-coriale. Coaguli
in cavità. Si consiglia Methergin, una fiala intramuscolo per 3 gg., più 25 gocce al
mattino. Controllo temperatura”. Indi la Arroyo rientra intorno alle 21 in Pronto
Soccorso. Sottoposta a misurazione della pressione arteriosa rivela un valore di
95/60. Alle 22,37 la Selva dispone le dimissioni, con le seguenti indicazioni:
1

2 . Il fatto, per quanto non contestato con i motivi formulati in questa sede,

”Ripete emocromo lunedì. Da rivedere se peggioramento.”, oltre alla prescrizione
del farmaco consigliato in sede di consulenza ginecologica. Successivamente, a
seguito di una nuova perdita emorragica, con contestuale lipotimia, verificatesi
quando si trova nel bagno dell’ospedale, la paziente viene ricondotta al Pronto
Soccorso. Vengono nuovamente misurati i parametri vitali. L’annotazione indica
una pressione arteriosa pari a 70/, Saturazione 98% AA FG 60. Viene, dunque,
prescritta e somministrata, alle ore 23, soluzione fisiologica nella misura di 500
cc. più 500 cc. Si effettua, inoltre, nuovo elettrocardiogramma, da cui risulta un

100/60. La paziente viene successivamente dimessa, immutate le prescrizioni.
La Arroyo, rientra a casa, dopo avere cenato fuori con il marito, in un fast food.
Non assume il farmaco prescritto intramuscolo, che non acquista all’uscita
dell’Ospedale. Durante la notte è nuovamente soggetta a perdite ematiche
rilevanti. Alle ore 5 del 6 febbraio, cadendo nel bagno dell’abitazione, a seguito
dell’urto del viso contro il bordo della lavatrice, si procura la frattura di un dente.
Nuovamente trasportata in ambulanza al pronto soccorso vi giunge alle 6.48, con
assegnazione di codice giallo. Viene presa incarico dalla Selva, che, sottoposta la
paziente a nuovi esami ennatochimici (HB 8,3), richiede visita ginecologica
urgente e procede a nuova somministrazione di soluzione fisiologica. La Arroyo
viene, quindi, ricoverata presso il reparto di ginecologia, ove le viene iniettata
intramuscolo una fiala di Methergin e programmata revisione cavitale uterina.
L’esame obiettivo ginecologico riscontra “collo uterino cilindrico beante. Corpo
uterino rilasciato. Nulla agli annessi. Abbondanti perdite ematiche in atto.”.
L’ecografia transvaginale svolta alle 12.15, in vista della RCU, dimostra “utero
subcontratto di volume aumentato cavità dilatata dalla presenza di materiale
disomogeneo 17 mm. Ovaie bilateralmente visualizzate, nella norma. Non free
fluid. Perdite ematiche abbondanti”. In sede di RCU, a mezzo di isterosuzione,
viene annotata “abbondante materiale apparentemente deciduo coriale”. Al
termine dell’intervento la cavità uterina risulta vuota. Vengono effettuate nuove
misurazioni pressione: alle 13, con valore 90/50, alle 15 con valore 100/60 ed
alle 15.45 con valore 100/40. Alle 14.30 viene eseguito nuovo emocromo, da cui
emerge un valore di emoglobina HB pari a 4,4. Alle 15.55 la Arroyo presenta
forte astenia, cefalea e tremori. Vengono disposte trasfusioni di 3 sacche di
emazie concentrate. Alle ore 19.15 il nuovo emocromo dimostra la risalita
dell’emoglobina, con valore HB pari a 7,3. Il giorno successivo alle ore 11.55
l’emoglobina raggiunge il valore di 8,1, valore che mantiene il giorno 9 febbraio.
Il giorno 10 la paziente viene dimessa, a seguito di controllo ecografico che
risulta negativo, con endometrio lineare.

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tracciato nella norma. Alle ore 23.50 nuova misurazione pressoria, con valori

3.

Le sentenza di primo grado e di appello ritengono la sussistenza della

condotta colposa della Cremona, definita gravissima, per non aver riconosciuto il
materiale deciduo coriale, certamente presente nella cavità uterina, nel corso
dell’ecografia transvaginale, svolta in sede di consulenza e per non aver
effettuato revisione strumentale della cavità, o quantomeno diagnosi
differenziale, mantenendosi nell’erronea posizione diagnostica iniziale, anche
dopo il secondo episodio emorragico, avvenuto in Pronto soccorso e del quale
l’imputata sarebbe stata avvisata dalla Selva, che le richiedeva telefonicamente

dalla Cremona e per contro affermato dalla Selva, la motivazione delle sentenze
ne rinviene conferma nella testimonianza del marito della Arroyo, che ha
dichiarato di avere assistito alla telefonata, potendo riferire quanto inteso dalle
domande e dalle risposte della Selva.
4.

La condotta colposa della Selva, invece, consiste, secondo le decisioni

dei giudici di merito, nell’avere omesso, per imperizia ed imprudenza, una nuova
autonoma valutazione delle condizioni della paziente, dopo il secondo episodio
emorragico, successivo alle dimissioni disposte alle ore 22,37 e dopo la
consultazione telefonica con la collega ginecologa, nonostante avesse compreso
che poteva essere fatta diagnosi diversa da quella proposta dalla Cremona, il cui
errore non era né eccezionale, né imprevedibile ed anzi, palesemente smentito
dal malore e dai sintomi in atto, privilegiando la non contrapposizione alla
collega rispetto alla salute della paziente.
5. Ad entrambe, infine, si attribuisce la colpa di non avere indicato alla
Arroyo la necessità di provvedere immediatamente all’acquisto del farmaco ed
alla sua assunzione intramuscolare.
6. Avverso la sentenza della Corte territoriale propongono impugnazione
Patrizia Cremona e Cinzia Selva, mezzo dei rispettivi difensori.
7. La prima affida il ricorso a sei motivi.
8.

Con il primo censura la sentenza per la violazione della legge penale con

riferimento agli artt. 43 e 590 cod. pen., nonché per vizio di motivazione, sotto il
profilo del travisamento della prova. Rileva che del tutto assertivamente la Corte
territoriale ha ritenuto che la presenza di utero beante e di perdite ematiche,
rilevate in sede ecografica dalla Cremona, siano elementi “certamente indicativi
di ritenzione di materiale deciduo coriale”, essendo questa una “circostanza (…)
riferita da tutti i consulenti del pubblico ministero e delle parti civili e non posta
in discussione neppure dai consulenti della difesa”. Al contrario, nessun
consulente aveva posto la questione in termini di certezza, alcuni assumendone
solo la verosimiglianza
l’ambiguità

diagnostica

(consulenti del p.m.), ciò comunque riconoscendo
intrinseca

dell’esame

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ecografico,

condizionato

di procedere a nuova consulenza. Essendo l’episodio della telefonata contestato

dall’esperienza dell’operatore e dalla qualità degli strumenti. Altri negando la
valenza del riscontro clinico come suggestivo della presenza di detto materiale,
ben potendo il collo beante presentarsi per la presenza in cavità uterina di
frammenti deciduio-coriali, ma alternativamente anche quando i medesimi siano
appena stati espulsi, con conseguente valore diagnostico del sintomo, non come
certezza, ma solo come principio di un percorso logico diagnostico. Osserva che,
muovendo dall’errata affermazione di un quadro diagnostico certo, la sentenza
ne fa derivare una serie di conseguenze in ordine alla riconoscibilità, prevedibilità

mettere la paziente in pericolo di vita. In particolare, con riferimento all’omessa
diagnosi differenziale, asseritannente dovuta a seguito dell’episodio emorragico
intervenuto in Pronto Soccorso, dopo le 22,37, del quale la Cremona sarebbe
stata telefonicamente avvertita dalla Selva, evidenzia che non esiste riscontro
nella documentazione ufficiale del contatto fra i due medici, mentre il contenuto
della telefonata viene ricostruito sulla base del racconto dell’altra imputata,
interessata, della persona offesa e del marito, e parti civili, anch’esse
interessate, peraltro gravemente contraddittorie. Ed invero, la Selva riferisce
che, nel corso della telefonata, la Cremona la rassicurò dicendole che “il corpo
dell’utero è contratto”, laddove appena prima ella aveva refertato l’opposto “collo
dell’utero beante”. Dunque, la Cremona non venne mai a sapere della seconda
emorragia e non poté disporre il ricovero. Tutto ciò dimostra il travisamento delle
risultanze processuali poste a fondamento dell’intero ragionamento dei giudici,
che non supera i rilievi critici sollevati dalla difesa in ordine alla ricostruzione del
fatto.
9. Con il secondo motivo fa valere la violazione di legge con riferimento
all’art. 3 del d.l. 158/2012 conv. con modifiche nella L. 189/2012. Rileva che la
sentenza impugnata, seppure sotto diverso profilo rispetto al primo giudice,
esclude l’applicabilità della c.d Legge Balduzzi. Il Tribunale, infatti, ha ritenuto
inapplicabile la normativa, essendo emersa la contrarietà della condotta
dell’imputato alle Linee guida accreditate e alle virtuosi prassi mediche, mentre
la Corte d’appello ha ritenuto l’inapplicabilità dell’art. L. 189/2012, affermando la
sussistenza di una colpa non semplicemente “grave”, ma “gravissima”. Siffatta
ultima conclusione viene motivata sostenendo che la Cremona abbia
pervicacemente mantenuto la propria diagnosi, nonostante la richiesta di
rivalutazione della Selva, a seguito del sanguinamento avvenuto dopo le 22,37.
Afferma l’applicablità della normativa di cui alla L. 189/2012 in quanto norma più
favorevole rispetto alla disciplina introdotta dalla Legge 24/2017 (c.d. Legge Gelli
Bianco, come già ritenuto dalla Suprema Corte con sentenza n. 28187/2017),

4

ed evitabilità dell’evento emorragico successivo, ritenendolo sinanco idoneo a

con la conseguenza che del configurarsi la sussistenza della responsabilità penale
per i soli casi di colpa grave.
10. Con il terzo motivo censura la sentenza impugnata per vizio di
motivazione e per violazione della legge processuale penale in relazione
all’applicazione dell’art. 516 cod. proc. pen. con conseguente inosservanza
dell’art 522 cod. proc. pen., per avere rigettato l’eccezione di nullità della
sentenza del tribunale di Piacenza. Lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto
infondata la doglianza con la quale era stata dedotto il difetto di correlazione fra

ritenuta penalmente rilevante dalla motivazione della sentenza, condotta questa
rispetto alla quale non si era sviluppato il contraddittorio fra accusa e difesa, né
nella fase delle indagini preliminari, né in quella dibattimentale. Osserva che con
il capo d’imputazione è stato contestato all’imputata di “aver eseguito la visita
ginecologica con controllo ecografico sulla persona dell’Arroyo senza impiegare la
dovuta diligenza e perizia, e senza utilizzare strumentazione dotata di maggiore
risoluzione, condizioni che si rendevano opportune in relazione alla tecnica di
induzione all’aborto precedentemente utilizzata, così concludendo “non materiale
deciduo curiale, coaguli in cavità”sebbene i dati anamnestici nonché il rilievo del
collo uterino beante fossero indicativi di ritenzione di materiale placentare che, in
effetti, risultava ancora abbondantemente presenti in cavità uterina”. Nondimeno
la visita e l’ecografia sono eseguite dalla Cremona prima delle ore 22,37 del 5
febbraio 2010 e cioè prima dell’episodio del secondo sanguinamento, posteriore
all’orario della formale dimissione della paziente dal Pronto soccorso, firmata
dalla Selva. Al contrario, la sentenza ha ritenuto di affermare la responsabilità
della Cremona anche con riferimento a quanto accaduto successivamente ed in
particolare in relazione alla mancata diagnosi differenziale, ritenuta necessitata a
seguito del secondo sanguinamento, successivo alle 22,37, che la Cremona nega
esserle stato riferito dalla Selva, per via telefonica. Rileva che le due condotte
non solo sono temporalmente distinte, ma sono due condotte effettivamente
differenti, rispetto alle quali è irrilevante l’orientamento di legittimità richiamato
dalla sentenza di appello, inerente la facoltà del giudice di aggiungere agli
elementi di fatto contestati, in sede d’imputazione, altri elementi che emergano
dagli atti processuali e che rivestano gli estremi di comportamento colposo o di
specificazione della colpa, allorquando questi non siano sottratti al concreto
esercizio del diritto di difesa. Infatti, gli arresti cui la Corte territoriale si riferisce
assumono quale presupposto dell’estensione del comportamento in valutazione,
l’unicità della condotta, cui possono essere aggiunti ulteriori profili di colpa senza
che ciò comporti la necessità di una contestazione suppletiva, ai sensi dell’art.
516 cod. proc. pen.. Al contrario, in questo caso si è in presenza di una pluralità

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la contestazione mossa alla Cremona nel capo d’imputazione e la condotta

di condotte l’una collocabile temporalmente prima delle 22,37 e l’altra dopo
quell’ora -e quindi dopo le dimissioni formali- che consistono l’una, nella diagnosi
imperita e l’altra nell’omessa diagnosi differenziale, successiva al secondo
sanguinamento e nella mancata sottoposizione a revisione della cavità uterina,
causa della successiva emorragia. Siffatto secondo episodio è diverso e ulteriore
rispetto a quello originariamente contestato, tanto che la consulenza tecnica del
pubblico ministero non vi fa cenno. Dunque la sentenza, travalicando i confini
dell’imputazione, viola le forme prescritte dal codice di procedura penale che

valutazione da parte del giudice, dovendosi altrimenti ritenere gravemente
violato il contraddittorio.
11. Con il quarto motivo si duole dell’erronea applicazione della legge penale
in relazione all’art. 40, commi 1^e 2^ cod. pen. Per inosservanza sulla disciplina
del nesso causale tra le condotte ascritte all’imputata e l’evento lesivo. Sottolinea
che la prescrizione del farmaco Methergin in sede di consulenza, da parte della
Cremona, aveva il precipuo scopo di evitare una nuova emorragia, con
conseguente anemizzazione acuta. Rileva che la terapia non poteva essere
somministrata dalla Cremona, chiamata a rendere un consulto, spettandole
esclusivamente il compito di “consigliare” la prescrizione, tanto è vero che la
ricetta fu, infatti, predisposta dalla Selva. Il ragionamento controfattuale da
svolgere, dunque, riguarderebbe la verifica sul prodursi dell’evento lesivo del
comportamento doveroso altrui, consistente nel somministrare da parte della
Selva od assumere da parte della paziente il farmaco, prescritto dalla Cremona,
Il che pacificamente non accadde perché la Arroyo, non si recò ad acquistarlo, né
il medesimo venne in precedenza somministrato dalla Selva. Rileva che sotto
questo profilo la motivazione della sentenza è del tutto mancante, né alcuna
indicazione si può ricavare della sentenza di primo grado, sicché non è stato
smentito in giudizio che qualora fosse stato assunto, nella posologia indicata, il
Methergin avrebbe evitato l’evento in base ad un giudizio di alta probabilità
logica. Ciò posto, non potendo invertirsi l’onere probatorio, dovrebbe, comunque,
affermarsi la sussistenza quantomeno del ragionevole dubbio in ordine alla
sussistenza del nesso causale fra la condotta ed evento. D’altro canto,
contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, non può ritenersi che un
tempestivo ricovero avrebbe evitato la caduta nell’abitazione della persona
offesa, perché la signora Arroyo avrebbe potuto cadere anche in ambiente
ospedaliero, causandosi le stesse lesioni, salva l’ipotesi inverosimile di adozione
di mezzi contenitivi.
12.

Con il quinto motivo fa valere il vizio di travisamento della prova

ricavabile dalla contraddizione fra quanto ritenuto nella motivazione e gli atti
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impongono la stretta correlazione fra la contestazione e la condotta oggetto di

Sostiene che la Corte bolognese

processuali, aventi contenuto probatorio.

trasforma in certezza il giudizio di verosimiglianza espresso dai consulenti del
pubblico ministero relativamente alla corrispondenza fra il sintomo del collo
dell’utero beante e la presenza di materiale da espellere, senza neppure porsi a
confronto con il parere reso dal consulente tecnico dell’imputata, secondo cui il
sintomo era del tutto equivoco, ben potendo indicare l’espulsione appena
intervenuta del materiale deciduo-coriale e benché uno dei consulenti del
pubblico ministero avesse riconosciuto l’ambiguità diagnostica intrinseca al

travisamento delle risultanze processuali non emergendo dalla consulenza del
pubblico ministero una condotta della Cremona, cronologicamente collocabile
dopo le formali dimissioni della paziente alle 22,37, anche perché le dimissioni
erano di competenza della Selva- medico del pronto soccorso- e non della
ginecologa. Dal che quanto descritto dai consulenti del pubblico ministero in
ordine all’intempestività delle dimissioni con rivalutazione “se peggioramento”,
rimettendo la decisione alla paziente, era riferibile solo ed unicamente alla Selva.
13.

Con il sesto motivo lamenta il vizio motivazionale della sentenza

impugnata per illogicità, nella parte in cui non concede le attenuanti generiche
basandosi, fra l’altro, sul comportamento processuale e sulla mancata
resipiscenza, e ciò nonostante la presunzione costituzionale di non colpevolezza,
ed il fermo convincimento in capo alla Cremona della sua innocenza. In più, la
sentenza attribuisce alla medesima una condotta processuale smentita dalla
lettura degli atti, laddove con la decisione sostiene che “mente l’appellante
Cremona quando afferma di non avere saputo nulla dell’ulteriore malore”, benché
l’imputata sia rimasta contumace sia in primo che in secondo grado. Infine,
lamenta l’eccessività del trattamento sanzionatorio, rimasto senza altra
giustificazione che non sia la gravità della colpa, smentita da tutte le emergenze
processuali.
14. L’imputata Cinzia Selva affida il ricorso a due articolati motivi.
15. Con il primo lamenta la violazione della legge processuale e censura la
nullità della sentenza impugnata per erronea applicazione degli artt. 521 e 522
cod. proc. pen. per mancata correlazione fra l’imputazione contestata e la
motivazione. Sottolinea che la sentenza non si è limitata ad aggiungere profili
colposi non considerati dall’originaria imputazione, ma ha affermato la
responsabilità del medico del Pronto Soccorso per profili fattuali del tutto diversi
da quelli ivi contenuti e segnatamente sui fatti accaduti dopo le 22,37, a partire
dal malore accusato dalla Arroyo dopo quel momento e fino alle effettive
dimissioni intervenute intorno alla mezzanotte del giorno 5, rispetto ai quali non
vi è alcun riferimento nell’imputazione. Ed invero, il profilo di colpa contestato
7

problema dell’interpretazione dell’ecografia. Inoltre, ancor più grave è il

alla Selva riguardava esclusivamente l’imprudente dimissione della paziente, alle
ore 22,37, a fronte del quadro clinico determinato dalla presenza di metrorragia,
che avrebbe richiesto il ricovero, o quantomeno la stretta sorveglianza delle sue
condizioni, mentre nel momento in cui furono annotate in cartella clinica le
dimissioni, non erano in atto episodi metrorragici e la consulenza specialistica
richiesta aveva escluso la gravità del quadro clinico, prescrivendo terapia
esclusivamente domiciliare. Rileva che la mancata correzione dell’orario di
dimissioni nessun rilievo assume in relazione al prodursi dell’evento, trattandosi

tutto ciò che avvenne successivamente e che fu puntualmente descritto sotto la
voce “decorso clinico”. Osserva che quanto ritenuto in sentenza e cioè che la
Selva abbia potuto difendersi, rispetto alla condotta costituita dall’avere
perseverato nelle dimissioni, avvenute di fatto alle 23,50, perché negli atti
processuali presenti al momento del rinvio a giudizio emergeva tale profilo di
colpa, non corrisponde al vero. Non solo, infatti, la Corte non indica quali siano
gli atti cui si riferisce, non solo la condotta di “perseveranza” non è contestata
nell’imputazione, ma la circostanza che la Selva abbia descritto in cartella
quanto avvenuto tra il ricovero e le dimissioni effettive della paziente- e quindi
anche l’intervento della Cremona dopo l’episodio di lipotimia, occorso nel bagno
del Pronto soccorso- non implica che l’imputata avesse la consapevolezza che
anche i fatti accaduti dopo le 22,37, dei quali non vi era menzione nel capo
d’imputazione, le fossero ascritti a titolo di colpa. Il che integra la violazione
della legge processuale di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., mancanza di
correlazione fra imputazione e motivazione.
16. Con il secondo contesta il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà
della sentenza, in ordine alla responsabilità dell’imputata. Afferma che,
contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, la Selva alle 22,37 non aveva
motivo di trattenere la paziente, non solo perché gli esiti della consulenza
ginecologica erano del tutto rassicuranti ed il medico del pronto soccorso non
aveva alcuna ragione di disattenderli, ma perché la stessa Arroyo, dopo essere
stata trattenuta in osservazione per un’ora dopo il rientro dal reparto di
ginecologia, si era allontanata dai locali del Pronto soccorso per recarsi in bagno,
con ciò dimostrando di essersi ripresa dal malessere per il quale si era rivolta alle
cure dell’ospedale. Inoltre, avendo nuovamente consultato la ginecologa dopo il
nuovo episodio di lipotimia, il medico del pronto soccorso non poteva ritenere
smentita la diagnosi ribadita dalla collega, né poteva, a fronte del suo
convincimento, circa la sufficienza delle cure domiciliari, disporre il ricovero nel
reparto di ginecologia contro il parere dello specialista. Il che dimostra l’illogicità
della motivazione nella parte in cui afferma che la Selva dimise la paziente pur
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di una mera dimenticanza, priva di conseguenze, anche perché la Selva annotò

avendo maturato la convinzione dell’erroneità del referto ginecologico. La
sussistenza della colpa medica in capo alla Selva è, dunque, motivata in modo
del tutto carente, perché smentita dal secondo interpello della specialista e dalla
non rappresentabilità della diagnosi erronea, laddove ribadita dalla ginecologa.
Infine, del tutto apodittica è la sentenza di secondo grado, laddove richiama per
relationem la sentenza di primo grado che esclude l’applicabilità dell’art. 3 della
legge 158/2012, affermando essere chiaramente emerse la contrarietà dell’agire
di entrambe le imputate alle linee guida accreditate e alle virtuose prassi

dalla A.S.L. di Piacenza. La censura espressamente introdotta in appello, infatti è
stata respinta solo con il sintetico richiamo della pronuncia di primo grado, in
assenza di ogni ulteriore supporto motivazionale. Avendo, dunque, la Selva posto
in essere tutte le condotte a lei richieste dalla posizione di garanzia assunta, la
circostanza che non abbia ulteriormente trattenuto la paziente è dipesa
unicamente dal verdetto specialistico erroneo, che, come tale, rappresenta un
evento eccezionale imprevedibile tale da escludere il nesso causale tra la
condotta della Selva e l’evento lesivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Va, innanzitutto, premesso che successivamente alla pronuncia della

sentenza di secondo grado è maturato il termine di prescrizione dei reati
rispettivamente ascritti alle imputate, sicché ne deve essere pronunciata
l’estinzione, a fronte dell’ammissibilità dei ricorsi proposti e della loro fondatezza
nei termini di cui infra. La sentenza va, dunque , annullata senza rinvio agii
effetti penali, mentre si deve procedere all’esame dei ricorsi agli effetti civili.
2.

La prima doglianza che occorre affrontare, in ordine logico, riguarda il

vizio di
di violazione della legge processuale inerent (l’applicazione degli artt. 516 e
522 cod. proc. pen. per difetto di correlazione tra l’imputazione contestata e la
medesima sentenza di primo grado, cui si riferiscono il terzo motivo proposto
dalla Cremona ed il primo proposto dalla Selva.
3.

Si tratta di una di questione estremamente delicata perché involge il

diritto di difesa, alla luce del canone di cui all’art. 24 Cost., rispetto all’esercizio
del quale viene messa in dubbio l’estensione della condotta giudicabile rispetto a
quella contestata all’atto del rinvio a giudizio, in assenza di una modifica del capo
di imputazione. Entrambe le imputate, infatti, lamentano che i giudici di merito,
sia di primo che di secondo grado, abbiano tenuto in considerazione, ai fini della
valutazione della colpevolezza, condotte successive all’atto di formali dimissioni
intervenuto alle ore 22,37, laddove la contestazione per entrambe si limita a
comportamenti antecedenti quel limite orario, rilevando per la Cremona solo
9

mediche, senza neppur approfondire il tema delle linee guida e protocolli adottati

l’errata interpretazione dell’ecografia effettuata sulla paziente e per la Selva
l’imprudente dimissione, a fronte del quadro metrorragico presentatosi e della
diagnosi di collo uterino beante.
4.

La sentenza, effettivamente, addebita alla Cremona non solo l’imperita

effettuazione dell’ecografia e la mancata diagnosi relativa alla presenza di frustoli
deciduo-coriali, nonostante il collo dell’utero beante fosse indicativo della
presenza di materiale placentare, ma altresì l’omessa diagnosi differenziale, a
seguito della lipotimia e dell’emorragia manifestetasi dopo l’orario di formali

avesse reso edotta la specialista del permanere degli episodi nnetrorragici. Il
capo di imputazione pacificamente non contiene l’indicazione degli episodi
successivi all’ecografia svolta dalla Cremona, limitandosi l’imputazione alle
condotte di omessa diligenza e perizia nell’effettuazione dell’esame strumentale,
considerato concausa del prodursi dell’evento emorragico, da cui si assume
essere derivato il pericolo di vita della Arroyo.
5.

Con riferimento alla Selva, il capo di imputazione riguarda la

contestazione della condotta di ricovero della paziente e delle dimissioni della
medesima, riferite all’orario delle 22,37, nonostante il quadro di metrorragia e
l’elevata possibilità di errori, episodi questi, a fronte dei quali il medico del
pronto soccorso si sarebbe limitato alla prescrizione del farmaco consigliato dallo
specialista, oltre all’indicazione della necessaria ripetizione dell’emocronno il
lunedì successivo, salva la necessità di rivedere la paziente in caso di
peggioramento.
6.

La lettura dei capi di imputazione consente di chiarire sotto quale

profilo le eccezioni siano sollevate dalla Cremona e dalla Selva. Nel primo caso,
infatti, la condotta successiva all’orario di formali dimissioni (22,37) annotato sul
diario clinico, è certamente diverso da quello oggetto della contestazione, in
quanto implica non solo l’imperizia nell’effettuazione dell’esame strumentale, da
valutarsi peraltro in relazione alla tipo di ecografo disponibile, ma riguarda un
fatto di cui la Cremona nega l’esistenza. Si tratta della telefonata intercorsa tra il
medico del Pronto soccorso e la specialista di ginecologia, successiva alla
disposizione delle dimissioni, allorquando la paziente ebbe un nuovo malore nel
bagno dell’ospedale. La Cremona sostiene di non essere mai stata avvisata del
secondo episodio emorragico e -non essendole ciò stato contestato- afferma di
non aver potuto svolgere l’opportuna difesa. Nel secondo caso, invece, il capo di
imputazione riguarda la contestazione della condotta di ricovero della paziente e
delle dimissioni della medesima, riferite all’orario delle 22,37, mentre la sentenza
attribuisce alla Selva le condotte successive a quel momento e cioè l’avere
provveduto alle dimissioni della Arroyo, dopo il nuovo episodio di metrorragia e
10

dimissioni da parte della Selva, nonostante quest’ultima, con una telefonata,

l’elevata possibilità del ripetersi di ulteriori sanguinamenti, senza provvedere al
ricovero, nonostante l’evidenza della diagnosi errata formulata dalla Cremona.
7.

Né L’eccezione di nullità della sentenza svolta dall’imputata Cremona,

né quella svolta dalla Selva appaiono fondate.
8.

Va richiamato, in prima battuta, l’arresto delle Sezioni Unite che hanno

chiarito come “In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza,
per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi
elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi

dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne
consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto
non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra
contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la
violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del
processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine
all’oggetto dell’imputazione. (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 – dep.
13/10/2010, Carelli, Rv. 24805101)
9.

Si tratta di un principio che è stato declinato anche in materia di reati

colposi, rispetto ai quali si è ritenuta insussistente “la violazione del principio di
correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne
globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice
di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento
colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come
tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 35943 del
07/03/2014 – dep. 19/08/2014, Denaro e altro, Rv. 26016101;

Sez.

4,

Sentenza n. 19028 del 01/12/2016 Ud. (dep. 20/04/2017 ) Rv. 269601).
10. Ora, dalla sentenza impugnata risulta che entrambe le imputate, nel
corso del procedimento, sono state messe nella condizione di difendersi. La
Cremona perché dal deposito della consulenza del ministero è emersa la
condotta successiva alle formali dimissioni, indicate nelle 22,37 dalla Selva,
inerente il comportamento tenuto dalla ginecologa a seguito del secondo
episodio emorragico accompagnato dalla lipotimia. Condotta quest’ultima
oggetto di ampio contraddittorio in sede di escussione dei testi e di esame dei
consulenti. La Selva, perché la condotta contestata è sostanzialmente quella
posta in essere dall’ingresso sino all’effettiva dimissione della Arroyo,
indipendentemente dall’indicazione dell’orario indicato. D’altro canto, è stata
proprio la Selva ad insistere sull’intervento della telefonata intercorsa con la
Cremona, così dimostrando di essersi effettivamente difesa anche in relazione a

11

astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto

quella frazione di comportamento successiva alle ore 22,37, fino a che la
paziente non lasciò l’ospedale alle 23,50.
11. Vanno affrontate, a questo punto, le doglianze formulate dall’imputata
Cremona in ordine all’illogicità della sentenza per travisamento del quadro
probatorio emergente in giudizio. Si lamenta, in buona sostanza, che la Corte
abbia ritenuto “certo” che i sintomi rilevati al momento della visita e
dell’ecografia, in sede di consulenza, fossero indicativi della presenza di
materiale deciduo coriale nella cavità uterina, mentre gli stessi consulenti del
giudizio di verosimiglianza,

riconoscendo l’ambiguità diagnostica di siffatto tipo di esami strumentali, il cui
esito dipende anche all’esperienza dell’operatore e dalla strumentazione
utilizzata. Ma si rileva anche come sia emersa l’equivocità dei sintomi (utero
beante), ben espressa dalla relazione del consulente di parte, compatibili sia con
la presenza di materiale in cavità uterina, che con la recente espulsione. La
contestazione si concentra poi sulla conseguenza tratta dai giudici del merito in
ordine alla sussistenza di una condotta colposa consistita nel non avere proposto
alla paziente un’immediata revisione della cavità uterina.
12. Va premesso che la difesa della ricorrente Cremona, al fine della
valutazione del travisamento della prova, ha prodotto, allegandole al ricorso, sia
le relazioni scritte ed i verbali dell’esame dei consulenti tecnici delle parti, che i
verbali di interrogatorio dell’imputata Selva.
13. Come sottolineato dalla difesa, la relazione dei consulenti del pubblico
ministero, non smentita in sede di esame, afferma che l’ecografia presenta
ambiguità diagnostiche intrinseche, perché i coaguli non sono facilmente
distinguibili dai residui deciduo-coriali. La considerazione svolta in relazione alle
prime due ecografie, immediatamente precedenti la dimissione a seguito di
interruzione di gravidanza, viene richiamata dalla sentenza laddove si affronta la
posizione della Cremona, cui inizialmente gli stessi consulenti del pubblico
ministero attribuiscono anche il non avere provveduto ad effettuare altra
ecografia con strumentazione più efficace, salvo sottolineare, in sede di esame
dibattimentale, che nessuno ha potuto valutare gli apparecchi a disposizione,
ritenendo in ogni caso l’apparecchio inconferente sotto il profilo causale.
14. Vale la pena di partire dalla considerazione svolta dalla difesa -e che
deve certamente essere condivisa- secondo cui non può ritenersi che laddove un
qualsiasi esame sia previsto e reputato valido per effettuare una diagnosi
differenziale, il sanitario possa non tenerne conto nel proporre la terapia, ché
altrimenti deve ritenersi la sua inutilità intrinseca.
15. La sentenza, tuttavia, in prima battuta afferma con certezza che
allorquando la Cremona fece l’ecografia errò nella sua esecuzione non
12

pubblico ministero, avevano espresso un

avvedendosi della presenza di frammenti deciduo-corali ed a fronte del collo
dell’utero beante e della presenza di sanguinamento non ricoverò la Arroyo per
effettuare la revisione cavitaria. In seconda battuta afferma che,
indipendentemente dall’errore nell’esecuzione, la Cremona avrebbe dovuto
provvedere al ricovero, a fronte della mera sussistenza dei sintomi.
16. Ebbene, la lettura della motivazione ne mette in evidenza l’incoerenza
argomentativa perché, da un lato, attribuisce rilievo all’effettuazione dell’esame
ecografico ritenendolo indispensabile a fini diagnostici, dall’altro afferma che

dalla Cremona- la ginecologa avrebbe dovuto disporre il ricovero, perché si
imponeva la revisione della cavità uterina. Ma, delle due l’una, o l’ecografia è
indispensabile ai fini della diagnosi differenziale ed allora quel che va valutato è
semmai l’eventuale erroneità della diagnosi strumentale, oppure non lo è e
quindi deve affermarsene l’inutilità, facendo conseguire alla semplice
constatazione della presenza di collo uterino beante e delle perdite ematiche
l’obbligo del ricovero e della revisione, essendo siffatti elementi “certamente
indicativi di ritenzione di materiale deciduo coriale”, come conclusivamente
ritenuto dal Collegio.
17.

Nondimeno- e qui interviene il lamentato travisamento della prova- la

Corte nel sostenere che detti sintomi (collo dell’utero beante e perdite ematiche)
erano con “certezza” indicativi della ritenzione di materiale deciduo coriale, si
riferisce alle opinioni espresse sul punto da tutti i consulenti, non solo del
pubblico ministero e delle parti civili, ma sinanco dai tecnici delle difese delle
imputate.

Al contrario,

nessun consulente (le cui relazioni tecniche e

dichiarazioni dibattimentali, come si è detto, sono allegate al ricorso ai fini
dell’autosufficienza) aveva posto la questione in termini di certezza, avendo tutti
– ed in particolare il C.T. del pubblico ministero esaminato in dibattimentoriconosciuto

l’ambiguità

diagnostica

intrinseca

dell’esame

ecografico,

condizionato dall’esperienza dell’operatore e dalla qualità degli strumenti, ma
anche la mera “verosimiglianza” della presenza di materiale deciduo da espellere
(nella relazione dei consulenti del pubblico ministero si legge: “è possibile, anche
se non certo -poiché la presenza di qualche coagulo può indurre una relativa
ambiguità diagnostica- che l’ecografia sia stata condotta in modo superficiale”), a
fronte della presenza di perdite ematiche e di collo dell’utero beante, potendo,
come peraltro precisato dai consulenti della difesa, questi sintomi presentarsi
per la presenza in cavità uterina di frammenti deciduo-coriali, ma
alternativamente anche quando i medesimi siano appena stati espulsi, con
conseguente valore diagnostico del sintomo, non come certezza, ma solo come
principio di un percorso logico diagnostico.
13

qualunque fosse stato l’esito -e quindi anche a fronte dell’esito negativo ritenuto

18. E’ evidente, dunque, il travisamento del contenuto delle relazioni e delle
dichiarazioni del consulenti tecnici, avendo la Corte affermato in termini di
certezza ciò che viene invece riferito in termini di verosimiglianza. Non si tratta,
peraltro, di una circostanza ininfluente, essendo proprio su questa certezza della
corrispondenza fra i sintomi e la presenza del materiale deciduo coriale,
indipendentemente dall’esito ecografico, che la sentenza fonda il giudizio di
colpevolezza, ritenendo che il ricovero ai fini della revisioni cavitaria fosse
l’unica scelta praticabile ex ente.
Questa palese contraddittorietà fra l’accertamento di cui alla sentenza

e gli atti processuali che vengono richiamati a suo sostegno costituisce un vero e
proprio vizio di travisamento della prova.
20.

Da ciò, nondimeno, discendono ulteriori considerazioni relative a quanto

accaduto successivamente alla consulenza ginecologica su richiesta della Selva,
medico del Pronto soccorso.
21. Sgombrato il campo dalle eccezioni relative alla correlazione fra i fatti
addebitati con la sentenza e l’imputazione e tenuto conto dell’esito concreto della
disambiguazione conseguente l’effettuazione dell’ecografia, va affrontato il
secondo episodio verificatosi in ospedale, quando la Cremona, allertata dalla
Selva, la rassicurò sulla sufficienza della terapia indicata, stante l’esito della
precedente visita.
22.

Dato per scontato che la telefonata fra la Cremona e la Selva vi fu – e

qui non può certo affermarsi il travisamento della prova perché la Corte
territoriale si limita a dar credito le prove orali, sulla cui valutazione non si può
intervenire in questa sede- occorre valutare se, a quel punto, la Cremona,
consapevole del proseguire delle perdite ematiche e della nuova lipotimia della
paziente, non fosse tenuta ad approfondire ulteriormente la diagnosi, anziché
confidare nell’esattezza dì quella precedentemente effettuata, cosi perpetuando
l’errore.
23.

Ed invero, qualora il medico si trovi di fronte ad un peggioramento non

previsto dei sintomi o ad una situazione di evoluzione del quadro clinico od
ancora al perdurare della situazione già esistente incompatibile con la terapia
prescritta e somministrata (o – ma non è questo il caso- con eventuali manovre
chirurgiche poste in essere) egli deve ripetere la diagnosi differenziale, non
potendo semplicemente

mantenere la diagnosi già formulata,

al fine di

modificare eventualmente l’intervento (in questo senso: Sez. 5, n. 52411 del
04/07/2014 – dep. 17/12/2014, C, Rv. 26136301; Sez. 4, Sentenza n. 34729 del
12/07/2011 Ud. (dep. 26/09/2011 ) Rv. 251348; Sez. 4, Sentenza n. 4452 del
29/11/2005 Ud. (dep. 03/02/2006 ) Rv. 233238).

14

19.

24. Qui, nondimeno, quando la ginecologa fu interpellata dal medico del
Pronto Soccorso, a seguito del secondo sanguinamento e della transitoria
perdita di coscienza che l’accompagnò, la terapia prescritta, consistente nella
somministrazione per via intramuscolare del farmaco per il trattamento
dell’emorragia uterina (Methergin), non era stata praticata -per asserita
indisponibilità del medesimo – tanto è vero che più tardi – e dopo un periodo di
osservazione- al momento delle dimissioni la paziente fu avviata al domicilio,
dalla Selva, con la sola prescrizione del medicinale

valutazione della condotta della specialista che rimase ferma sulla prima
diagnosi, ma in assenza dell’applicazione della terapia da lei consigliata. La
sentenza omette qualsiasi considerazione sul punto e sull’obbligatorietà di una
rivalutazione dei sintomi, a fronte del mancato intervento terapeutico indicato.
Perché è indubbio che laddove il farmaco fosse stato tempestivamente
somministrato e la sintomatologia già esistente fosse perdurata la ginecologa
avrebbe necessariamente dovuto riesaminare il quadro clinico, ma resta da
approfondire – ed in giudizio ciò è stato omesso- se in quel momento, in
concreto, e con una valutazione esclusivamente ex ante,

vi fossero ragioni che

imponevano o quantomeno consigliavano una condotta della specialista diversa
dalla perseveranza nell’indicazione famacologica.
Non basta, infatti, a dare risposta a questo quesito l’affermazione contenuta
nella sentenza impugnata secondo cui “con certezza” – che, come si è detto, non
risulta dal parere dei tecnici- la Cremona doveva “già all’esame ecografico
accorgersi di dati sintomatici ed oggettivi”, ma che “senza ombra di dubbio, tale
diagnosi differenziale doveva essere effettuata all’esito dell’ulteriore episodio di
metrorragia con lipotimia verificatosi dopo le formali (non reali) dimissioni” e la
colpa della Cremona debba ravvisarsi, rispetto a siffatta ultima circostanza nella
pervicacia nell’escludere – sbagliando clamorosamente – “la possibilità che i
sintomi manifestati dalla paziente fossero connessi alla presenza di materiale
deciduo-coriale”.
Si tratta di affermazioni apodittiche che non tengono in considerazione la
situazione rappresentabile ex ante, a fronte di un’ecografia ritenuta negativa
dalla Cremona (e non univoca dai consulenti tecnici) e che non esaminano
l’eventuale correttezza della terapia consigliata e peraltro immediatamente
praticata all’ingresso in ospedale il giorno successivo, quando la paziente fu
sottoposta all’intervento chirurgico. Non solo, ma che non spiegano perché a
fronte del manifestarsi degli stessi sintomi già valutati, in assenza della
somministrazione dei farmaci prescritti, l’unica strada praticabile fosse quella
della revisione cavitaria. Circostanze queste la cui analisi è stata obliterata dalla
15

E’ rispetto a questa situazione che manca completamente nella sentenza la

Corte e nondimeno indispensabili per affermare la colpevolezza dell’imputata e qualora riconosciuta- l’eventuale grado della colpa.
25.

Siffatto esame, dunque, deve essere rimesso al giudice civile, che

attendendosi ai criteri di giudizio del giudice penale, che dovrà valutare, laddove
effettivamente sussistente, anche il grado della colpa, avuto riguardo alla legge
penale più favorevole, essendo, in tempi successivi al fatto, intervenute due
diverse discipline, rispettivamente l’art. 3 della legge 158/2012 e l’art. 6 della
legge 24/2017, che ha introdotto l’art. 590 sexies cod. pen.
Eguali considerazioni debbono essere fatte per la posizione della Selva,

medico del Pronto soccorso.
27. Alla medesima, infatti, la sentenza ascrive di avere dimesso la pazientenonostante avesse compreso la gravità della situazione, tanto da chiedere una
nuova consulenza dopo il secondo malore- perché anziché valutare
autonomamente la situazione, procedendo al ricovero e disponendo nuovi
accertamenti, aveva preferito non contrapporsi alla ginecologa, collega più
anziana, preferendo mantenere buoni rapporti con la medesima, invece di
tutelare la paziente.
28. Anche in questo caso, nondimeno, la Corte territoriale nulla argomenta,
accontentandosi di enunciare il disvalore del comportamento tenuto dalla Selva,
senza alcuna motivazione né sull’effettiva consapevolezza da questa raggiunta
circa l’erroneità della valutazione della ginecologa, cui si era rivolta per due volte
al fine di ottenere un parere specialistico, né sulla asserita subordinazione della
Selva alla Cremona, mancando ogni argomento, anche solo logico, da cui poter
desumere una simile sudditanza psicologica. Né nella sentenza si descrivono le
ragioni per le quali la Selva, pacificamente priva di competenze nello specifico
campo, avrebbe dovuto, dopo essere stata rassicurata sulla sufficienza del
trattamento farmacologico e domiciliare, e dopo aver ulteriormente trattenuto la
paziente per un’ora, a seguito del secondo episodio di metrorragia, constatata la
sua piena ripresa (è incontroverso che appena uscita la Arraoyo si recò in un
locale per cenare, senza procurarsi né assumere il farmaco indicato), trattenerla
in ospedale, anziché dimetterla con la prescrizione del Methergin, consigliata
dalla Cremona, disponendone la ripetizione dell’emocromo il lunedì successivo,
salva l’eventuale nuova valutazione in caso di peggioramento.
Orbene, sul punto, va senza dubbio riaffermato che nell’ipotesi di
cooperazione rnultidisciplinare fra diversi medici ognuno di loro è tenuto, oltre
che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche
mansioni svolte, anche all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza
di tutte le attività verso il fine comune ed unico, con la conseguenza ciascun

16

26.

sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o
contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal
controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano
evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni
conoscenze scientifiche del professionista medio (Sez. 4, n. 46824 del
26/10/2011 – dep. 19/12/2011, Castellano e altro, Rv. 25214001;

Sez. 4,

Sentenza n. 30991 del 06/02/2015 Ud. (dep. 16/07/2015 ) Rv. 264315; Sez. 4,
Sentenza n. 53315 del 18/10/2016 Ud. (dep. 15/12/2016) Rv. 269678).

sanitario nell’intervento, disponendo diversamente, occorre l’evidenza dell’errore,
cioè la sua rilevabilità secondo criteri di conoscenza comuni alle discipline
mediche e comunque, anche in questo caso, avuto riguardo ad una valutazione
esclusivamente ex ante.
Una simile analisi, deve essere calata nella situazione concreta tenuto conto
che la Selva, nel dubbio, non si accontentò dell’esito della consulenza, ma
interpellò la Cremona una seconda volta, venne rassicurata sull’idoneità della
terapia da assumere (non somministrata perché indisponibile in pronto soccorso)
e solo dopo l’ulteriore osservazione di un’ora, dopo la rivalutazione dei parametri
vitali e la perfusione di soluzione fisiologica, valutata la sua buona ripresa, con la
inviò al domicilio con la prescrizione.
29.

Ma la Corte, oltre ad omettere un serio esame di questi profili,

dimentica altresì di dare risposta al quesito centrale in tutta la vicenda, inerente
il giudizio controfattuale circa l’efficacia della tempestiva assunzione del farmaco,
nella posologia indicata, ai fini della ricostruzione del nesso causale fra le
condotte dei sanitari e l’evento, accontentandosi di attribuire ai sanitari la
responsabilità della mancata assunzione ospedaliera prima delle dimissioni, e
ritenendo che l’unica alternativa fosse il trattenimento presso il nosocomio.
Invero, ed anche questa questione deve essere rimessa al giudice civile, rispetto
a questa evenienza deve essere riesaminato anche il giudizio di “utilità” di una
simile eventualità, dovendo valutarsi se, invece, l’avvio al domicilio,
accompagnato da una diligente condotta della paziente circa l’assunzione del
medicinale prescritto fosse più idoneo ad evitare l’evento o a limitarne le
conseguenze, e ciò anche al fine dell’eventuale graduazione della colpa.
30. Deve, dunque, concludersi pronunciando l’annullamento della sentenza
anche agli effetti civili con rinvio al giudice competente per valore in grado di
appello, cui spetterà la valutazione delle condotte dei medici, nonché
eventualmente l’individuazione della disciplina applicabile secondo i criteri di
valutazione del giudice penale.

17

Tuttavia, per affrancarsi dal parere dello specialista che ha preceduto il

31. Pronunciata l’estinzione dei reati per intervenuta maturazione del
termine prescrizionale, con annullamento della sentenza agli effetti penali, la
medesima, annullata anche agli effetti civili, deve disporsi con rinvio al giudice
competente per valore in grado di appello, cui è rimessa anche la liquidazione
delle spese per questo giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato
è estinto per prescrizione. Annulla la medesima sentenza agli effetti civili con

Cosi deciso il 8/02/2018

Il Consig ere estensore
Mau a Nardin

r sidente
mo Fumu

rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

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