Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21864 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21864 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CASA FILIPPO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI GIOVANNI ANTONINO N. IL 11/05/1954
avverso l’ordinanza n. 6476/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 19/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;

Data Udienza: 18/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa in data 19.12.2014, il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingeva il
reclamo proposto da DI GIOVANNI Antonino avverso il decreto del Ministro della Giustizia del 6.8.2014,
con cui era stata disposta la proroga del regime di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., applicato con precedente
decreto del 18.8.2010.
Ad avviso del Tribunale, la proroga del disposto regime differenziato era giustificata da plurimi
elementi: l’elevato profilo criminale del DI GIOVANNI, gravato da condanna per reato associativo di

dell’associazione di appartenenza (famiglia dell’Acquasanta-Arenella di Palermo); la perdurante
operatività del sodalizio; l’assenza di elementi da cui inferire un distacco del condannato dai valori
devianti abbracciati in passato o una presa di coscienza della gravità dei reati commessi (viene richiamata
la relazione comportamentale del 9.12.2014).
Detti elementi convergevano, tutti, nel dimostrare la capacità del DI GIOVANNI di mantenere i
collegamenti con il sodalizio di riferimento e di conservare inalterato il suo ruolo di rilievo anche in regime
carcerario differenziato.
Ad avviso del Tribunale, non appariva determinante il mancato coinvolgimento del reclamante
nelle operazioni di P.G. che avevano interessato la famiglia di Resuttana, poiché il regime previsto
dall’art. 41-bis Ord. Pen. aveva proprio lo scopo di interrompere i rapporti con gli affiliati liberi, rapporti
che avrebbero potuto essere ripresi con i vertici nell’ipotesi di revoca del regime medesimo.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto dichiarazione d’impugnazione, per mezzo del suo
difensore, DI GIOVANNI Antonino, deducendo violazione di legge in relazione all’art. 41-bis, comma 2sexies, 0.P., travisamento della prova, carenza di motivazione nella forma della motivazione apparente.
Rispetto alle puntuali censure mosse dal reclamante, non vi era stata da parte del Tribunale
nessuna valutazione specifica e individualizzante della posizione del prevenuto, essendosi il Collegio
limitato a riprodurre gli stessi elementi contenuti nel decreto ministeriale.
Nulla aveva argomentato il Giudice a quo circa le “ripetute proroghe” in assenza di circostanze
oggettive o soggettive, tali da rappresentare un elemento di novità giustificante “il continuo
aggiornamento delle limitazioni”. Né erano stati individuati gli indici effettivi di pericolosità qualificata dai
quali avrebbe dovuto essere desunta la specifica e non generica capacità del soggetto di intrattenere
collegamenti criminosi.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a questa sezione per la
decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591, comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. L’art. 41-bis, comma 2-bis, Ord. Pen., sostituito dall’art. 2, legge 23 dicembre 2002, n. 279, e
da ultimo dall’art. 2, comma 25, lett. d), legge 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i provvedimenti
applicativi del regime di detenzione differenziato sono prorogabili nelle stesse forme per successivi
periodi, ciascuno pari a due anni, quando “risulta che la capacità di mantenere collegamenti con
l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.

2

stampo mafioso legittimante l’adozione del regime de quo; il ruolo di capo promotore rivestito nell’ambito

2.1. L’ambito del sindacato devoluto a questa Corte è segnato dal comma 2-sexies del novellato
art. 41-bis, a norma del quale il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore
possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza
del Tribunale per violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere nel senso che il
controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge
sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi
nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e

l’iter logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee
argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da
far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (tra le altre, Sez. U, n. 25080 del
28/05/2003, dep. 10/06/2003, Pellegrino S., Rv. 224611; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, dep.
26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692).
2.2. Nella specie, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha proceduto, con corretta interpretazione
ed esatta applicazione dei principi di diritto in materia, alla verifica della permanenza dei dati indicativi
della capacità di collegamento del ricorrente con la criminalità organizzata, evidenziando gli elementi sui
quali ha fondato la valutazione della pericolosità del medesimo e della legittimità e fondatezza
dell’applicazione, in proroga, della misura in oggetto.
Il Tribunale ha, al riguardo, congruamente motivato – con richiamo alle più recenti informative
degli organi preposti e con riferimento ai dati processuali – sia con riferimento alla posizione rivestita dal
ricorrente nel sodalizio di appartenenza e alla sua biografia penale, sia in relazione all’attualità del
pericolo, risultando lo stesso concretamente in grado – nonostante il regime più severo in atto – di
mantenere contatti con il predetto sodalizio.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, condotta nel rispetto dei principi di legge, come
interpretati dalla giustizia costituzionale e da quella di legittimità di questa Corte, nonché in conformità a
logica argomentativa coerente e lineare, si sottrae alle non fondate censure proposte dal ricorrente, solo
formalmente anche sulla base di assunte violazioni di legge, ma sostanzialmente su profili di merito o di
motivazione non proponibili in questa sede.
3. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi
atti a escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di 1.000,00 (mille) euro in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma di 1.000,00 (mille) euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015

DEPUbITATA

Il Presidente

logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile

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