Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2178 del 16/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 2178 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: RAMACCI LUCA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) SENATORE CARMINE N. IL 18/11/1962
2) SENATORE GAETANO N. IL 27/04/1968
3) SENATORE NEVIO N. IL 15/12/1974
avverso la sentenza n. 704/2010 CORTE APPELLO di SALERNO, del
17/01/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;

Data Udienza: 16/11/2012

Ritenuto:
— che la Corte di appello di Salerno con sentenza del 17.1.2012 ha confermato la sentenza
19.6.2009 del Tribunale di quella città con la quale si affermava la responsabilità penale di
SENATORE Carmine, SENATORE Gaetano e SENATORE Nevio in ordine ai reati di cui agli
artt. 110 cod. pen., 44, lett. c), 64, 65, 71, 72, 93, 95 D.P.R. n. 380/2001, 146, 181 d.lgs. 42\2004
(acc. in Vietri sul mare, il 31.1.2007);
— che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, rilevando, sotto il
profilo della violazione di legge ed il vizio di motivazione: 1) la non soggezione degli interventi
accertati, consistenti in mere rifiniture, al permesso di costruire; 2) l’omessa declaratoria di
estinzione dei reati per prescrizione; 3) la mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, rilevando
che i lavori accertati nel provvedimento impugnato non corrispondono a quelli, risalenti nel tempo,
descritti nel capo di imputazione;
— che la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato come il regime dei titoli abilitativi edilizi
non possa essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere
che concorrono a realizzarla astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate
per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. L’opera deve essere considerata
unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i
suoi singoli componenti, e ciò ancor più nel caso di interventi su preesistente opera abusiva (Cass.
Sez. III 28 maggio 2010, n. 20363; conf. Sez. III 24 settembre 2010 n. 34585, Sez. III 14 febbraio
2012 n. 4618). Inoltre, si è aggiunto, in particolare, che il reato urbanistico ha natura di reato
permanente la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla
cessazione dell’attività edificatoria abusiva (v. SS. UU. n. 17178, 8 maggio 2002). Si è poi precisato
(ex pL Sez. III n. 38136, 24 ottobre 2001) che la cessazione dell’attività si ha con l’ultimazione dei
lavori per completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad
esempio mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo
l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio. Si è inoltre chiarito che l’ultimazione dei
lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni quali gli intonaci e gli
infissi (Sez. III n.32969, 7 settembre 2005 ed altre prec. conf. nella stessa richiamate).Entro tale
preciso ambito deve dunque individuarsi il concetto di “ultimazione” che ha natura oggettiva e non
può, pertanto, dipendere da valutazioni soggettive. Nella fattispecie, la Corte territoriale ha
analizzato le opere nel loro complesso ed ha accertato in fatto che, al momento del sequestro, le
stesse erano ancora in corso di esecuzione non solo nelle finiture, circostanza di per sé già rilevante,
ma anche nelle tramezzature e nella distribuzione interna (pag.4 sentenza impugnata). Vi è peraltro
puntuale correlazione tra quanto contestato ed i fatti ritenuti in sentenza;
— che il termine ultimo di prescrizione del reato (accertato il 31.1.2007) dovrebbe coincidere con il
31.1.2012 come evidenziato dai giudici del gravame;
— che il ricorso, conseguentemente, va dichiarato inammissibile, in quanto manifestamente
infondato, e, poiché la inammissibilità non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione, non può tenersi conto della prescrizione del reato intervenuta successivamente alla
pronuncia della decisione impugnata ed alla proposizione del gravame;
— che, a norma dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità — non potendosi escludere
che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) segue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende,
della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al versamento della somma di euro 1.000,00 (mille/00) alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in ‘ IMA mera di consiglio del 16.11.2012

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